Politiche

Qual è il nesso tra ruoli di genere, norme sociali, politiche economiche e disuguaglianze? E perché è così importante recuperarlo per comprendere cosa accade a livello globale e arginare le disparità tra uomini e donne? Ne parliamo con Maurizio Bussolo, economista che si occupa di divari di genere in Asia meridionale per la Banca Mondiale

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Osservare norme sociali
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In alcune parti del mondo, nonostante i molti cambiamenti a livello economico e sociale, continuano a persistere delle profonde disuguaglianze di genere nella partecipazione al mercato del lavoro, con le donne in netto svantaggio rispetto agli uomini. Un fenomeno che può essere spiegato introducendo nelle analisi economiche il concetto di norme sociali.

Ne abbiamo parlato con Maurizio Bussolo, economista, in occasione della trentaduesima conferenza annuale della International Association for Feminist Economics (Iaffe), che ha avuto luogo a Roma dal 3 al 5 luglio 2024 e di cui inGenere è stata media partner. Bussolo si occupa di disuguaglianze di genere nell'Asia meridionale – Afghanistan, Pakistan, India, Bangladesh, Nepal, Sri lanka, Maldive e Butan – per la Banca Mondiale. L’obiettivo del suo lavoro è quello di individuare sul campo, in particolare in Nepal, Bangladesh e Pakistan, le norme e le attitudini che ostacolano l’accesso delle donne al mercato del lavoro.

Maurizio Bussolo
Maurizio Bussolo

Cosa si intende per norme sociali e come possono essere misurate?

Per rispondere a questa domanda è necessario fare una premessa partendo dai paesi dell’Asia del Sud, dove possiamo osservare una profonda disparità di genere nel livello di partecipazione al mercato del lavoro: vi accede, infatti, solo circa un terzo delle donne in età lavorativa, contro più di tre quarti degli uomini. In media, nel resto del mondo la partecipazione femminile al mercato del lavoro è di circa il 55%. È interessante notare come questo dislivello non sia cambiato negli ultimi due decenni o più, malgrado una crescita economica elevata e nonostante le donne abbiano guadagnato spazio a livello di istruzione e il numero di figli e figlie per donna sia diminuito. 

Perché, allora, questa disparità persiste? 

Da un po' di tempo la letteratura ha iniziato a parlare di cultura e ‘norme sociali’ (social norms), variabili soggettive non ancora molto utilizzate negli studi di economia, e che possono però spiegare perché nei paesi dell'Asia meridionale la partecipazione delle donne al mercato del lavoro non sia aumentata. In effetti, se ci basiamo sui pochi dati quantitativi che abbiamo a disposizione sulle cosiddette ‘attitudini’, vediamo che c’è una forte correlazione tra attitudini negative verso la parità di genere e partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

Ci può dare una definizione di norme sociali?

In base alla definizione contenuta in alcuni studi sul tema, le norme sociali “sono regole informali basate su convinzioni che le persone hanno a riguardo dei comportamenti da seguire in un dato contesto sociale e che sono approvati o disapprovati da un determinato gruppo di altre persone, il gruppo di referenza”.[1]

Può spiegarci che cosa significa, esattamente?

La definizione comprende diversi elementi: da una parte, le convinzioni sui comportamenti da adottare sono ‘personali’, basate cioè, sulle attitudini e le preferenze di ciascuna persona. Dall'altra, queste stesse convinzioni derivano dalla percezione che gli individui hanno riguardo ai comportamenti che le altre persone (il gruppo di referenza) si aspettano da loro in una determinata situazione. È importante sottolineare la differenza tra quello che pensiamo sia giusto fare, e quello che pensiamo che la società si aspetti come il comportamento corretto. Fino a poco tempo fa, la maggior parte dei dati disponibili riguardava esclusivamente le attitudini personali: quello che io, uomo o donna, penso sia giusto fare in una certa situazione. Una domanda tipica del World Values Survey, una delle inchieste sociali più usate a livello globale, è: “se i posti di lavoro sono scarsi, hanno precedenza gli uomini o le donne?”. La risposta a questa domanda rivela un'attitudine o una convinzione personale. 

Ci sono modi alternativi di porre la questione per raccogliere dati di tipo diverso?

Nella nuova ricerca che abbiamo fatto, abbiamo chiesto: “secondo te, tra 10 delle persone a te vicine, quante pensano che sia giusto dare priorità agli uomini rispetto alle donne?”. Rilevare la differenza tra attitudini personali e aspettative sociali è molto importante per quantificare le norme sociali. Abbiamo cominciato a misurarle in Nepal, l’inchiesta è stata fatta anche in Bangladesh, e una variante – non sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro ma sull'educazione femminile – è stata fatta in Pakistan.

È possibile spiegare il divario tra partecipazione femminile e maschile al mercato del lavoro utilizzando i modelli economici standard, che non tengono conto delle norme sociali?

Il modello collettivo della famiglia (collective or bargaining model of the household), utilizzato per studiare le decisioni di una famiglia dove moglie e marito non hanno necessariamente preferenze identiche, può essere usato per spiegare la specializzazione degli uomini nelle attività lavorative retribuite fuori casa (breadwinning) e delle donne nei lavori domestici non retribuiti (homemaking, ad esempio crescere figlie e figli) quando c’è una differenza di produttività nelle due attività. Infatti, se esiste una differenza di salario, per cui l’uomo guadagna di più (e il salario misura correttamente la produttività) nel mercato del lavoro, mentre la donna è più produttiva ad accudire le figlie e i figli, la conclusione che deriva dall'uso di questo modello è che le donne si specializzano in una cosa e gli uomini nell'altra, in modo efficiente e massimizzando l’utilità (o il benessere) della famiglia. Secondo questo modello, se questi divari salariali o di produttività si abbassano, la differenza di partecipazione diminuisce. Però quando questo avviene, come nel caso dell’Asia del Sud, la partecipazione non aumenta, in contraddizione con quello che il modello predice. Infatti, nell'Asia del Sud la partecipazione femminile al lavoro è più alta nelle zone rurali dove il divario salariale (o di produttività) è più alto, se confrontato con le zone urbane. In altre parole, il modello prevede una partecipazione femminile più elevata nelle zone urbane, ma i dati contraddicono questa previsione. 

Come si può spiegare questo fenomeno?

Introducendo le norme sociali nel modello standard. Le norme sociali bilanciano la tendenza del modello a prevedere più partecipazione femminile quando il divario salariale diminuisce, introducendole nel modello standard. Come abbiamo detto, una norma sociale molto comune è quella relativa al ruolo dell’uomo come breadwinner che può essere approssimata dal fatto che il marito ha un reddito più elevato della moglie. Partiamo da un esempio – che proviene da tutt’altra zona del mondo ma che ci aiuta a capire: la studiosa Marianne Bertrand e il suo gruppo di ricerca hanno scritto un articolo interessante sull’aumento dei divorzi negli Stati Uniti in situazioni in cui le donne iniziano a guadagnare circa il 50% del salario familiare, quindi a contribuire in maniera paritaria.[2] Questo mostra che, quando la differenza salariale all’interno della famiglia è relativamente alta, l’uomo sente di avere maggior potere, il suo ruolo di breadwinner è al sicuro. Quando invece il divario tra i redditi si assottiglia, si crea una ‘disutilità’, ovvero una riduzione dell’utilità complessiva per la famiglia: le donne, allora, per non diminuire il benessere complessivo della famiglia, anche se il costo opportunità per non partecipare al mercato del lavoro aumenta, perché potrebbero guadagnare di più, decidono di non farlo. Aggiungere le norme sociali al modello standard permette quindi di risolvere questa apparente contraddizione.

Nella pratica, in che modo avete raccolto le informazioni per misurare le norme sociali?

Abbiamo individuato una serie di temi rilevanti alla partecipazione al lavoro e per ogni tema abbiamo misurato vari elementi. I temi sono stati identificati attraverso un’analisi qualitativa, che consiste in una serie di interviste non strutturate dove sia donne che uomini hanno ‘raccontato’ a chi conduceva le interviste quali sono, secondo loro, le problematiche fondamentali relative alla difficoltà nell’accesso delle donne al mondo del lavoro.

Quali sono i temi che avete individuato e gli elementi che avete misurato? 

Oltre ai ruoli di genere tradizionali (marito breadwinner, moglie homemaker), abbiamo identificato temi più specifici relativi all'onore maschile; al lavoro, in situazioni in cui donne e uomini lavorano insieme, o all'orario di lavoro; alla mobilità, considerando che in certi casi gli spostamenti possono essere lunghi e pericolosi per le donne; infine, alle molestie sessuali. Per ognuno di questi temi abbiamo misurato vari elementi: attitudini personali (o opinioni di primo ordine); aspettative sociali (o opinioni di secondo ordine, cioè opinioni su quello che le altre persone, i gruppi di riferimento, possono pensare); il gruppo di riferimento le cui opinioni sono rilevanti; le sanzioni (se io non rispetto la norma sociale, quali sono le possibili sanzioni sociali a cui mi espongo?). Un altro elemento importante è la misurazione della variazione delle attitudini personali e delle aspettative sociali a seconda del contesto. Per esempio, per una donna, essere vedova giustifica maggiormente la sua partecipazione al mercato del lavoro rispetto a quella di una donna che non lo è, così come il fatto di avere un marito alcolista o con problemi di salute (in Nepal abbiamo riscontrato questi fenomeni). 

Che cosa si ricava da queste osservazioni e misurazioni?

Utilizzando un’analisi fattoriale possiamo misurare la variabile latente che ci interessa: le norme sociali, che non sono osservabili direttamente. Con l’analisi fattoriale siamo in grado di riassumere le informazioni ottenute dall'inchiesta in due principali fattori (o indici): uno fa riferimento ai ruoli di genere (per gli uomini e per le donne) e l’altro al tema della mobilità e del lavoro fuori casa, e riassumono tutti questi dati sia dal punto di vista delle attitudini personali che da quello delle aspettative sociali. In un passo successivo misuriamo se questi indici sono in grado di predire o meno la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Cioè, se a variazioni del livello di permissività o ristrettezza dei fattori corrispondono analoghe variazioni della partecipazione femminile. 

Che cosa avete scoperto?

Quello che una regressione ci mostra è che c’è una relazione inversamente proporzionale forte tra ristrettezza dell’indice (più l'indice è conservativo) e partecipazione femminile. Questo vale anche controllando per effetti fissi, regione geografica, e stato socioeconomico. Questo è il risultato fondamentale che otteniamo in Nepal. Altri due risultati sono interessanti: uno è che le aspettative sociali normative (cioè quello che io penso gli altri pensino, o le convinzioni di secondo ordine) hanno un potere esplicativo maggiore delle attitudini personali, confermando che se si approssimano le norme sociali con attitudini personali si rischia di sottostimare il loro potenziale impatto sulla partecipazione femminile. L’altro è il fatto che le sanzioni hanno quasi la stessa correlazione con la partecipazione femminile delle norme sociali. 

Perché possiamo ritenerla una scoperta interessante?

Perché misurare le sanzioni è possibile con una domanda facile da porre e che viene ben compresa. Se le correlazioni tra norme sociali e partecipazione femminile da un lato, e tra sanzioni e partecipazione femminile dall’altro sono simili anche in altri paesi, potrebbe essere possibile sostituire al questionario – molto complesso – per misurare le norme sociali la semplice domanda per misurare l’intensità delle sanzioni. Questo permetterebbe di introdurre (a basso costo) la misurazione delle norme sociali in molte più inchieste sociali, e, dunque, di accumulare più dati sulle norme sociali ‘tra i vari paesi e nel tempo’ (across countries and across time). Un risultato tanto più importante se pensiamo che il punto di partenza era stato osservare che non disponiamo ancora di misurazioni di queste norme. 

Note

[1] La definizione di norme sociali come “informal rules that embody beliefs about which behaviors are approved or disapproved of in a specific context by a given social group” si può trovare in Görges, Nosenzo, 2020; Cislaghi, Heise, 2019; e Bicchieri, 2006, 2017.

[2] M. Bertrand, E. Kamenica, J. Pan, Gender Identity and Relative Income within Households.” Quarterly Journal of Economics, 130 (2): 571–614, 2015.

Riferimenti 

B. Cislaghi, L. Heise, “Using Social Norms Theory for Health Promotion in Low-Income Countries.” Health Promotion International, 34 (3): 616–23, 2019.

D. Nosenzo, L. Görges, “Measuring Social Norms in Economics: Why It Is Important and How It Is Done.” Analyse & Kritik, 42 (2): 285–312, 2020. 

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