Sanità, assistenza, prestazioni sociali: ci sono pezzi dello stato sociale finora trascurati dal federalismo. Ma è urgente mettervi mano e vedere tutte le connessioni, per valutare al meglio risorse, progetti e soggetti responsabili
<p>Il welfare di domani
a rischio spezzatino</p>
Nonostante i tasselli da completare restino ancora tanti, la riorganizzazione federalista del nostro paese ha sinora avuto le realizzazioni più concrete in sanità. In quest’ambito si sono compiute scelte precise, se non altro sul piano metodologico, per l’individuazione delle regioni benchmark, la definizione degli standard di fabbisogno e di spesa e l’impostazione dei termini generali per far partire un percorso di convergenza.
Tuttavia, anche in quest’ambito sono rimasti elusi snodi importanti, sui quali bisognerà ritornare per fare chiarezza. Alcuni di questi snodi riguardano direttamente le modalità di attuazione della legge "madre" del federalismo (in particolare uno dei suoi decreti attuativi, il n. 68-2011), nella parte in cui si affrontano i risvolti operativi degli standard sanitari. Altri snodi hanno a che fare, invece, con le interconnessioni del sistema sanitario con il sistema delle prestazioni socio-sanitarie e assistenziali.
Queste interconnessioni sono importanti per almeno quattro ordini di ragioni:
1. Le sfere delle prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e assistenziali non sono “mondi” separati. Esse sono, al contrario, sovrapposte e integrate; e una definizione degli standard di spesa non può prescindere dalla valutazione del loro grado di sostituibilità/complementarità, che si riverbera sulle funzioni di produzione (strutture condivise, costi variabili evitabili con opportuno coordinamento, prestazioni che in molti casi sono sostituibili e in altri da combinarsi in filiera);
2. Le scelte relative alle varie prestazioni - dalla loro attivazione alla gestione operativa -, sono, allo stato attuale, disperse tra più livelli di governo (stato, regioni, enti locali). Questo fa sì che la riorganizzazione delle prestazioni incroci il federalismo in più direzioni, coinvolgendo direttamente i rapporti tra livelli di governo, il coordinamento istituzionale, le modalità di espressione del voto da parte dei cittadini ai vari livelli, etc.;
3. Anche i sistemi di finanziamento delle prestazioni sociali non possono prescindere dalle interdipendenze tra le varie loro sfere, e presuppongono la fissazione di standard. Le regole di finanziamento dovrebbero rispondere il più possibile a una visione di insieme, per ottimizzare l’allocazione delle risorse e per applicare logiche redistributive (tra territori, tra cittadini, inter e intra regioni) coerenti tra loro. Un sistema di finanziamento organico favorirebbe anche la programmazione delle risorse a medio termine, una delle note dolenti del welfare italiano, soprattutto per quanto riguarda gli istituti “minori” (cura dei figli, assistenza ai disabili, conciliazione vita-lavoro, prevenzione … tra l’altro proprio quelli che, se trascurati o sottosviluppati, finiscono spesso con lo scaricare gravami sulle donne);
4. Al di là di standard e regole di finanziamento, una chiara visione di insieme è necessaria per costruire una rete d’offerta senza “buchi”, senza funzioni che possano rimanere dimenticate all’intero di confini grigi tra definizioni di legge o tra sfere di competenza dei vari livelli di governo.
Chi decide sui "Lea"?
Uno sguardo riepilogativo alle leggi che attualmente definiscono i livelli essenziali delle prestazioni sociali (Lea: livelli essenziali di assistenza) permette di evidenziare le interconnessioni. I livelli essenziali sono quegli standard di quantità e qualità delle prestazioni sociali, che la Costituzione chiede vengano erogati in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Nel corpo normativo esistente sono riconoscibili quattro categorie:
- Lea sanitari, ovvero le prestazioni sanitarie vere e proprie, a carico del Sistema sanitario nazionale;
- Lea socio-sanitari a prevalenza sanitaria, ovvero le prestazioni che, pur mantenendo connotati di assistenza sanitaria (necessità della struttura ospedaliera o ambulatoriale, intervento del medico, somministrazione di farmaci, etc.), coinvolgono anche aspetti di assistenza sociale (forme di sostegno a domicilio durante la convalescenza, prestazioni di riabilitazione, prestazioni di assistenza continuata post acuzie, etc.);
- Lea socio-sanitari a prevalenza sociale, ovvero le prestazioni per le quali è centrale la componente sociale (sostegno inabilità/invalidità acquisite, contrasto povertà/indigenza, aiuti a nuclei familiari numerosi, prevenzione in senso lato, etc.), cui fa da corredo/complemento una forma di assistenza sanitaria (assistenza infermieristica a domicilio, risoluzione di problematiche acute che spesso accompagnano la non autosufficienza, analisi diagnostiche/specialistiche periodiche, etc.);
- I Liveas, i livelli essenziali assistenziali, in cui rientrano tutte le forme di sostegno monetario e/o in-kind per fronteggiare esigenze specifiche del singolo o della famiglia.
La definizione dei Lea sanitari (il loro perimetro) è di competenza esclusiva dello stato. L’organizzazione del sistema sanitario è, invece, materia di legislazione concorrente stato-regioni.
La definizione dei Lea socio-sanitari è competenza esclusiva dello stato. Rientra nella legislazione concorrente stato-regioni la scelta delle modalità di organizzazione ed erogazione delle prestazioni a prevalente contenuto sanitario. È invece parte della legislazione esclusiva delle regioni la scelta delle modalità di organizzazione ed erogazione delle prestazioni a prevalente contenuto sociale. La gestione operativa vera e propria spetta al Ssn per le prestazioni a prevalenza sanitaria; per quelle a prevalenza sociale si distribuisce tra comuni e province, in ossequio al principio di sussidiarietà.
La definizione dei Lea sociali è competenza esclusiva dello stato. È invece materia di legislazione esclusiva delle regioni la scelta delle modalità di organizzazione ed erogazione delle prestazioni. La gestione operativa vera e propria si distribuisce tra comuni e province.
Se si scorrono gli elenchi delle prestazioni rientranti nelle quattro categorie descritte, ci si rende conto di quanto l’assetto normativo odierno resti lungi dal maturare una forma organica e completa, che possa funzionare da cornice per una fruttuosa collaborazione tra livelli di governo (anche per la sanità in senso stretto). Tutti e quattro gli ambiti sono definiti ad uno stadio molto generale e potenzialmente onnicomprensivo, non solo di quanto oggi potrebbe essere incluso nell’offerta, ma persino di quanto potrebbe emergere in un prossimo futuro, dell’offerta potenziale. Alcune prestazioni (in primis quelle long-term-care, da cui nei prossimi anni ci si attende forti pressioni sulla spesa e sul bilancio) potrebbero, nel contempo, rientrare in ciascuna delle quattro categorie, o potrebbero addirittura non essere prese in carico da alcun livello di governo, nella convinzione che l’obbligo spetti ad altri. Nessuna indicazione nazionale viene espressa sulla compartecipazione dei privati ai costi, anche se la selettività dell’universalismo si prospetta sempre più come una evoluzione obbligata dell’impianto del nostro welfare.
Questa approssimazione (che dura dal 2000-2001) appare ancor più grave se si pensa che, tra le “parole chiave” della sanità e del welfare di domani, occupano un posto di primo piano: deospedalizzazione; territorializzazione; informazione e prevenzione; integrazione socio-sanitaria; domiciliazione delle cure; contrasto delle situazioni di indigenza (materiali, ambientali, psicologiche) all’origine delle patologie e del sottosviluppo delle capacità; istituzionalizzazione e professionalizzazione dell’assistenza oggi svolta da parenti e amici (anche qui, bisogna dirlo, spesso donne); farmacia dei servizi; workfare; etc. … Tutte linee d’azione che puntano proprio alle zone di confine tra le quattro sfere sopra riepilogate o, meglio, a rimuovere i confini, a decompartimentare; e tutti progressi che, tra l’altro, se realizzati, avrebbero effettivi positivi sulla partecipazione al mercato del lavoro, sull’occupazione dei giovani e delle donne, sull’economia.
Una visione d'insieme
Nonostante l’importanza di sviluppare e governare le prestazioni sociali consapevoli che esse costituiscono un unico tessuto connettivo, molto poco si conosce, ad oggi, dell’universo delle prestazioni socio-sanitarie e assistenziali effettivamente erogate dagli enti locali, e anche di quelle eventualmente erogate dalla stessa regione all’esterno del Ssn. Non esiste una banca dati integrata di riferimento. Non si è mai provveduto a una ricognizione dei fabbisogni e delle risorse a loro dedicabili in maniera strutturale.
Le urgenze della situazione economica suggeriranno, almeno per i prossimi diciotto mesi (quanto manca alla fine del quinquennio della legislatura in corso), di “far battere passo” alla riforma federalista, per dare priorità a interventi di consolidamento dei conti e di rilancio del paese con effetti rapidi e certi. Questo lasso di tempo va messo a frutto in molteplici direzioni e, tra queste, anche quella di condividere un disegno del sistema di welfare in cui: i livelli essenziali non abbiano zone grigie; l’offerta di prestazioni sia coerente con le risorse a loro dedicate, potendo contare anche sulla selettività dell’universalismo e sulla diversificazione pubblico-privato delle fonti; le potestà e i doveri dei vari livelli di governo siano chiari e inequivocabili; le regole di finanziamento siano complete, codificate e trasparenti, inclini a premiare la collaborazione leale tra livelli di governo, e sufficientemente flessibili per lasciare adattare le modalità di offerta alle caratteristiche della comunità e del bacino territoriale; la programmazione a medio termine diventi la norma.
I passi avanti sul fronte della sanità, compiuti durante gli ultimi due/tre anni, costituiscono, senza con ciò voler ignorare le criticità ancora aperte, una base valida, quantomeno sul piano della logica e dell’architettura. Su questa base è necessario, adesso, completare la riorganizzazione del finanziamento del Ssn, ma all’interno di una prospettiva più ampia, coinvolgendo il più possibile i livelli essenziali socio-sanitari e assistenziali. Lo sforzo che serve è quello di una visione sistemica e a tutto tondo, per valutare i fabbisogni (anche quelli per le dotazioni strumentali), le risorse dedicabili, le modalità di intervento, i soggetti istituzionali da responsabilizzare.
Per saperne di più:
Legge n. 328 del 2000 (Liveas)
Dpcm del 14 Febbraio 2001 (Lea socio-sanitari)
Dpcm del 29 Novembre 2001 (Lea sanitari)