Fornire direttamente servizi, o dare soldi alle famiglie per comprarseli? Come lo strumento dei voucher nel campo della cura degli anziani può mettere d'accordo politiche della domanda e dell'offerta; e avere anche qualche buon effetto collaterale, come la lotta al lavoro nero
Buoni per la cura.
La strada dei "voucher"
La bassa partecipazione delle donne alla forza lavoro costituisce una delle più importanti “anomalie” italiane. Si tratta di un fenomeno correlato con la presenza di problemi di conciliazione tra lavoro e famiglia come è stato ben documentato, tra l’altro, da una recente indagine condotta dall’Istat. In particolare, da tale studio emerge che i tassi di occupazione femminile (età 25-54) si riducono drasticamente in presenza di figli e circa un quarto delle persone inattive con responsabilità di cura dichiara che lavorerebbe se potesse ridurre il tempo dedicato al cura. Tra le donne che lavorano a part-time (circa 1,4 milioni) e che hanno responsabilità di cura oltre il 14% dichiara di non potere lavorare a tempo pieno a causa dell’indisponibilità di servizi di supporto adeguati in termini di costi, orari e vicinanza alla zona di residenza. Tra le donne occupate con oneri di cura di bambini che lavorano part-time, il 16% circa lamenta orari incompatibili dei servizi, oltre il 52% costi troppo elevati, oltre il 27% assenza o numero insufficiente di posti.
Di fronte a tale situazione, diventa cruciale l'investimento su politiche per la conciliazione famiglia-lavoro. Ma quali? Nel dibattito recente vi è stata una contrapposizione anche aspra tra sostenitori di politiche di offerta di servizi (asili nido, servizi per la non autosufficienza…) e fautori di politiche di sostegno della domanda (incentivi fiscali, erogazioni monetarie o di voucher). A mio giudizio si sono sottovalutati gli aspetti di complementarietà tali due tipologie di politiche. Per fare un esempio: politiche di erogazione di voucher che consentano l’acquisto di servizi di baby-sitting possono permettere ai genitori di usufruire dei servizi di un asilo nido che chiuda troppo presto rispetto alle esigenze lavorative dei genitori, e che quindi di per sé non basterebbe a garantire una buona conciliazione tra impegni di lavoro e impegni familiari.
Voucher: una lunga tradizione anche italiana1
I voucher (buoni servizio) sono strumenti che permettono di trasferire risorse pubbliche in modo vincolato. Rispetto alla fornitura pubblica diretta di servizi il voucher garantisce una maggiore libertà di scelta al cittadino beneficiario; mentre rispetto alle erogazioni monetarie il voucher offre alla pubblica amministrazione maggiori garanzie circa l’uso corretto delle risorse: in questa prospettiva può anche essere uno strumento di contrasto del lavoro irregolare.
Nella tradizione delle regioni e dei comuni italiani i beneficiari delle prestazioni sono identificati nell’ambito di specifici bisogni e per lo più in una logica redistributiva (bisogna dimostrare di aver bisogno di accedere al beneficio, e spesso c'è una compartecipazione al costo dei servizi basata sull’Isee). I voucher danno accesso a beni e servizi che vengono ritenuti coerenti con i bisogni tipici dei beneficiari di uno specifico programma; ogni programma ha sue proprie regole di accreditamento e di accesso alle prestazioni. La qualità dei processi di accreditamento, i costi di transazione e l’effettiva capacità di scelta da parte dei beneficiari costituiscono le maggiori criticità dei programmi più conosciuti. Per esempio, la regione Liguria aveva attuato una decina d’anni orsono un programma denominato “assegno servizi” con il quale si assegnavano ai beneficiari buoni per accedere a servizi per la non autosufficienza; la provincia autonoma di Trento nel 2005 ha introdotto i Buoni di servizio o di accompagnamento per le finalità di conciliazione di donne occupate, anche in forma autonoma o atipica, o in fase di rientro nel mercato del lavoro dopo un periodo di assenza per motivi di cura in ambito familiare; a partire dal 1997 il comune di Modena ha avviato il programma “Serdom” per favorire l’emersione del lavoro sommerso nel settore della cura agli anziani non autosufficienti e volto ad una progressiva integrazione di alcune forme di assistenza privata domiciliare nella rete dei servizi. Più recentemente, la regione Lombardia ha creato la “Dote lavoro” per aiutare lavoratori e lavoratrici in cassa integrazione in deroga a conciliare impegni familiari e impegno di riqualificazione professionale e ricerca di un nuovo lavoro.
In estrema sintesi, si può dire che nella tradizione italiana i voucher sono stati diffusamente usati nelle politiche sociali quali strumenti per trasferire risorse pubbliche ai beneficiari delle prestazioni in modo più efficiente rispetto alle erogazioni in denaro ed alla produzione diretta di servizi. Il principale limite di questo tipo di politiche consiste, a mio giudizio, nella loro onerosità: alle risorse trasferite ai beneficiari delle prestazioni si deve aggiungere il costo amministrativo e gestionale. Inoltre, si è talvolta trattato di esperienze con un carattere sperimentale e gestite con una scarsa attenzione alla loro sostenibilità finanziaria nel tempo.
Alcune novità dall'estero
In Francia (Cheque Employ Service Universel- Cesu), Regno Unito (Childcare voucher) e Belgio (Titre service) sono stati introdotti recentemente programmi innovativi rispetto alla tradizione (non solo italiana) sopra brevemente ricordata. Si tratta di programmi che prevedono forme di incentivazione fiscale rispetto all’acquisto da parte di lavoratori (Francia e Regno Unito) o da parte della generalità dei cittadini (Belgio) di vouchers che permettano l’acquisto di servizi con caratteristiche di meritorietà. In particolare, si tratta di servizi (cura di bambini, cura della casa…) che aiutino i genitori a conciliare lavoro di cura e lavoro fuori casa.
Il Cesu2
E’ un programma finanziato con sgravi fiscali e con contributi di lavoratori ed imprese che si articola con una logica simile a quella dei buoni pasto: i datori di lavoro corrispondono parte della retribuzione a favore dei propri dipendenti nella forma di voucher, i lavoratori dipendenti utilizzano i voucher ricevuti per acquistare sul mercato i servizi alla persona di cui necessitano ed i fornitori di servizi accreditati vengono remunerati mediante i voucher. Il programma è “universale” nel duplice senso che tutti possono partecipare (non solo chi ha una condizione riconosciuta di bisogno) e che non risponde ad uno specifico bisogno ma offre uno strumento flessibile e adattabile alle specifiche esigenze di ciascuno.
Il presupposto di questa politica è che politiche di incentivazione fiscale (anche relativamente piccole) possano mobilitare risorse addizionali e che un’azione di coordinamento pubblico possa favorire lo sviluppo di un mercato regolare dei servizi alla persona (che può essere un pre-requisito per l’efficacia di politiche aziendali di conciliazione).
Per le imprese, la politica può sollecitare un confronto per la crescita della consapevolezza dei costi della inadeguata conciliazione e per la ricerca di soluzioni. Un esplicito riconoscimento della natura meritoria della conciliazione può anche favorire la canalizzazione di risorse associate ad azioni di responsabilità sociale d’impresa.
Cesu vs buono lavoro
Lo strumento del Cesu e quello del buono lavoro sono radicalmente diversi anche se sono spesso impropriamente accomunati. L’unica reale similitudine riguarda la semplificazione amministrativa per il beneficiario del lavoro di cura e la forfetizzazione contributiva.
Il buono lavoro è previsto per remunerare il lavoro occasionale e non è adatto per molti servizi alla persona che non hanno carattere occasionale; d’altra parte, il buono lavoro è idoneo a soddisfare bisogni occasionali anche delle imprese (es. vendemmia). Nel Cesu solo persone fisiche possono essere utilizzatori finali mentre nel buono lavoro possono esserlo anche le imprese3.
Può essere remunerata con il Cesu qualsiasi tipologia di lavoratore impegnato nel servizio di cura mentre possono svolgere lavoro occasionale retribuito con buoni lavoro solo alcune categorie di lavoratori svantaggiati o in comunque in condizioni di difficoltà/marginalità4. I lavoratori che erogano i servizi alla persona (e sono pagati con i voucher) sono soggetti alla legislazione ordinaria del lavoro nel caso del Cesu (hanno un regolare contratto di lavoro) mentre godono di minori tutele nel caso del buono lavoro. Inoltre, a differenza del buono lavoro per cui è previsto solo l’impiego diretto, gli utilizzatori dei Cesu possono scegliere tra: impiego diretto, per cui diventano direttamente datori di lavoro; ricorso a un’agenzia accreditata che funge da datore di lavoro; ricorso a strutture d’intermediazione che si occupano solo di selezione e gestione amministrativa del lavoratore.
Gli incentivi fiscali nel caso del Cesu sono a beneficio del datore lavoro e del dipendente-utente; al contrario, nel caso del buono lavoro il beneficio fiscale è solo per il lavoratore occupato servizi persona.
In definitiva, politiche di sostegno della domanda di cura, come i voucher, non sono necessariamente sostitutive di più tradizionali politiche di offerta; al contrario – a meno di uno sviluppo di politiche di domanda ispirate da un preciso disegno “ideologico” – le due tipologie di politiche possono essere complementari. Il voucher può essere uno strumento utile per indirizzare la domanda verso servizi di qualità che utilizzino lavoro regolare di cura. Il diavolo, come sempre, si può nascondere nei dettagli dei singoli programmi. E’ anche possibile immaginare che il tentativo di indirizzare la domanda di servizi di cura possa spingersi fino a coniugarsi con forme di politica industriale finalizzate allo sviluppo di innovazioni tecnologiche (domotica, applicazioni della robotica…) che mirino ad aumentare la produttività del lavoro in tali servizi. E’ noto infatti che lo sviluppo del settore dei servizi alla persona (caratterizzato da un basso livello di produttività del lavoro) rischia di determinare un freno alla crescita della produttività nell’intera economia.
1 Per una rassegna, si veda il numero monografico “I buoni servizio nelle politiche sociali” Impresa sociale, n. 3, vol. 77
2 In Francia coesistono due sistemi: il Cesu “déclaratif” che permette ad un privato di gestire con una forte semplificazione amministrativa un rapporto di lavoro con un collaboratore familiare e il Cesu “préfinancé” che viene acquistato e pagato dalle imprese a favore dei propri dipendenti che lo utilizzano per acquistare servizi di cura. Nel presente contributo ci si riferisce a questa seconda tipologia di Cesu.
3 Il buono lavoro utilizzato per servizi domestici può essere emesso solo a favore di datori di lavoro costituiti da famiglie o persone fisiche e non da imprese.
4 Oltre alle categorie svantaggiate, possono svolgere lavoro occasionale retribuito con buoni lavoro anche pensionati, studenti, casalinghe, i lavoratori/trici in cassa integrazione, mobilità, disoccupazione ordinaria.