La divisione di genere permea e guida i processi migratori, alimentando le economie ai due lati del viaggio. Il lavoro di cura, dirottato e globalizzato, resta al centro della scena: un fenomeno complesso che non è fatto solo di sfruttamento
Lavoro domestico,
la cura globalizzata
I percorsi migratori delle donne possono essere tanti e questa diversità è cresciuta di pari passo con i recenti cambiamenti politici ed economici avvenuti sia nei paesi di provenienza che in quelli di destinazione. Le donne migrano per lunghi e brevi periodi, su lunga e corta distanza. A volte per sposarsi o per ricongiungersi con il marito, ma il più delle volte adesso si spostano per lavoro. Tra loro ci sono giovani e meno giovani, sposate e non sposate. Partono con o senza le loro famiglie. I dati confermano che è in crescita il numero delle donne che hanno figli e che si spostano per lavorare affidando la cura dei propri figli ai membri della famiglia che rimangono a casa.
Si tratta di un fenomeno a più facce, la cui complessità è accentuata dagli effetti della recessione (si veda precedente articolo sulle rimesse delle donne migranti). La globalizzazione dell’economia di cura e la divisione internazionale del lavoro domestico sono un buon esempio di questa complessità. Il lavoro domestico è una delle occupazioni più comuni per le donne che migrano da paesi sottosviluppati a paesi sviluppati. Questo è particolarmente vero per paesi come Francia, Italia, Spagna e Grecia, così come per i paesi a reddito medio in Asia e negli Stati del Golfo. Negli anni Novanta questo fenomeno veniva incoraggiato dalle politiche ufficiali: una proporzione significativa delle donne entrate attraverso il sistema delle quote in Italia, Grecia e Spagna erano lavoratrici domestiche così come una percentuale dominante dei migranti che sono stati regolarizzati successivamente alla loro entrata nel paese. Per alcuni paesi in via di sviluppo come le Filippine e lo Sri Lanka questa è la componente maggioritaria della migrazione.
Molte donne migranti svolgono lavoro domestico – il lavoro nell'ambito della riproduzione sociale – che continua a essere considerato come una responsabilità delle donne sia nelle economie industriali avanzate dell’Europa e dell’America del Nord, che nelle economie dinamiche e in rapida ascesa dell’Asia come Hong Kong, Singapore e Corea del Sud, che nei paesi esportatori di petrolio dell’Est Asiatico e del Golfo. Queste lavoratrici liberano le donne dal lavoro domestico permettendo loro una più ampia partecipazione al mercato del lavoro salariato e contribuendo così alla crescita economica del paese d’arrivo. Allo stesso tempo, le donne migranti avevano responsabilità di cura nei paesi di origine che vengono delegate ad altre donne, visto che a entrambi i capi della migrazione sono le donne le principali responsabili del lavoro di cura. Questo lavoro domestico nel paese di origine viene svolto da donne della famiglia: madri, sorelle e figlie. Ma l’ampissima differenza salariale tra il paese che invia e quello che riceve permette alle lavoratrici migranti di delegare il proprio lavoro di cura assumendo a loro volta donne locali più povere per prendersi cura dei propri bambini e del lavoro domestico. Peraltro è plausibile che queste donne a loro volta siano migranti provenienti da aree rurali giunte nelle città alla ricerca di lavoro.
Possiamo quindi dire che: in primo luogo, la divisione di genere del lavoro permea e addirittura guida i processi migratori creando domanda nella società d’accoglienza e accrescendo il flusso migratorio dal paese di origine. Questa divisione di genere riflette il fatto che le donne sono state ovunque incapaci di negoziare una divisione del lavoro domestico più equa e quindi la riproduzione sociale continua ad essere di loro responsabilità.
Secondo: questo triplo coinvolgimento delle donne nel trasferimento internazionale di lavoro domestico diviene una caratteristica del processo di accumulazione della società ospite e un fattore chiave che traina i boom economici, anche se questo aspetto non è così esplicito ed evidente come, per esempio, la femminilizzazione delle manifatture da esportazione. Allo stesso tempo questa dinamica del lavoro domestico contribuisce alla crescita dell’economia del paese di partenza attraverso le rimesse.
In terzo luogo produce un fenomeno detto “della maternità dirottata”, come è stato definito il processo per cui “il tempo e le energie disponibili per la maternità sono dirottati lontano da coloro per legame di sangue o comunitario ne avrebbero diritto”.
Il quadro contemporaneo delle migrazioni delle donne è complesso e riflette sia i vantaggi evidenti delle donne con entrate maggiori e maggiore riconoscimento lavorativo, che i pericoli e le difficoltà associati alla migrazione verso situazioni nuove e sconosciute che presentano un alto potenziale di rischio di sfruttamento. Non bisogna sottostimare né la disperazione che motiva la maggior parte della migrazione per motivi economici, né le condizioni di sfruttamento che ne possono derivare.
Allo stesso tempo possiamo affermare che la condivisione di saperi intorno alle condizioni e le possibilità che si possono trovare altrove potrebbe avere un importante effetto liberatorio per le donne, dando impulso a un cambiamento sociale positivo e, nel tempo, a rendere le donne più forti.
Sullo stesso argomento, su questo sito l'articolo di Flavia Piperno sul diamante della cura.