L'Italia ha ratificato la Convenzione contro la violenza sulle donne da qualche mese, la Turchia l'aveva fatto per prima. Ma cosa succede dopo? Come si fa a trasformare una serie di enunciazioni in realtà? Ne parliamo con Meltem Agduk, esperta e coordinatrice sui temi di genere per l'Unfpa in Turchia

La Convenzione di Istanbul
vista da Istanbul

di Barbara Leda Kenny

L'Italia ha ratificato la Convenzione di Istanbul nello scorso giugno. Un passo avanti salutato dal plauso generale. Ma cosa succede dopo la ratifica? Come tradurre le indicazioni della Convenzione in realtà? Ne abbiamo parlato con Meltem Agduk, coordinatrice in Turchia del programma Gender dell'Unfpa (United Nations Population Fund).

La Turchia è stato il primo paese a ratificare la convenzione: è sostenuta anche da un piano di azione? Quali sono le attività previste, e in che misura il piano è stato implementato?

La violenza sulle donne è una violazione dei diritti umani radicata nella disuguaglianza tra uomini e donne ed è molto diffusa in Turchia. Secondo i risultati di una recente ricerca nazionale sulla violenza domestica in Turchia, due donne su cinque sono state esposte almeno una volta nella vita ad atti di violenza fisica da parte dei loro mariti o partner. Il contrasto alla violenza contro le donne ha visto diverse tappe, i primi passi li hanno mossi le donne; dalla metà degli anni Ottanta,  il tema è stato portato nell'agenda politica da organizzazioni non governative (Ong) di donne, che hanno lanciato le prime campagne di sensibilizzazione. Nello stesso periodo le Ong di donne hanno istituito i primi centri di accoglienza per donne che hanno subito violenza.  

Negli anni Novanta il governo ha accolto queste istanze, concentrandosi in quattro aree di intervento: i) cambiamenti legislativi, ii) nuove strutture governative di monitoraggio del fenomeno della violenza: piattaforme, comitati e circolari, iii) campagne mediatiche per accrescere la consapevolezza pubblica, e iv) formazione di operatori per servizi di assistenza alle vittime violenza. Ciononostante il punto di vista è completamente diverso da quello portato avanti dalle organizzazioni non governative: tutti questi interventi sono stati pensati da un punto di vista patriarcale che è fortemente radicato nella società e condizionato dalla dottrina religiosa.

 Dall’inizio del 2000 il governo ha aumentato gli sforzi nella lotta alla violenza sulle donne, in particolare ci sono stati alcuni cambiamenti legislativi che hanno aperto nuove possibilità di intervento. Nel 2006 è stato messo a punto un piano nazionale antiviolenza per gli anni che vanno dal 2007 al 2015, divisi in due tappe con una fase di verifica e valutazione e ri-pianificazione intermedia. Le principali attività previste dal piano sono: definire nuove disposizioni legali, sensibilizzare contro la violenza, empowerment delle donne, fornire servizi di protezione alle donne che hanno subito violenza, fornire servizi terapeutici e di riabilitazione, cooperare tra istituzioni e organizzazioni pertinenti.  

Quindi, dopo trent’anni di lotta alla violenza contro le donne, e nonostante la mentalità patriarcale dominante, nel 2011 la Turchia era pronta a firmare la ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa. Ad oggi, il piano nazionale antiviolenza è in una fase avanzata di realizzazione: in diverse città turche sono state introdotte modalità innnovative di prevenzione e contrasto , compresa una nuova legislazione sulla violenza domestica e sulla violenza contro le donne più in sintonia con la Convenzione.

Quale ruolo hanno avuto i movimenti delle donne e le Ong? Gli uomini erano coinvolti nelle attività? Secondo lei le azioni di contrasto alla violenza contro le donne producono effetti culturali, in particolare sugli uomini?

Come dicevo il ruolo delle donne è stato molto importante, sono state loro ad aprire la strada al contrasto della violenza contro le donne in Turchia. Il coinvolgimento degli uomini è stato molto tardivo. Dal 2004 sono emersi un paio di gruppi di uomini che lavorano sulla parità di genere. La maggior parte di loro sono studenti o accademici. Tutti questi interventi producono effetti sulla società e sugli uomini, tuttavia non si possono cambiare mentalità e comportamenti in un paio d’anni, perciò posso dire che un progresso c’è, ma non è così veloce come vorremmo.

Parliamo di soldi: quante risorse la Turchia impiega nel contrasto della violenza contro le donne? Secondo lei nel lungo termine spendere oggi significa risparmiare domani?

In una recente ristrutturazione dei ministeri e delle direzioni generali è stato ampliato il mandato della “direzione generale della condizione femminile” che gestisce direttamente l’appilazione del piano antiviolenza compresa l’amministrazione diretta dei centri antiviolenza che prima ricadeva sotto la responsabilità di un'altra direzione generale.  Questo cambiamento si è trasformato in una concentrazione e aumento del budget disponibile.

Trovo che la seconda parte della domanda sia importante: assolutamente sì! dobbiamo spendere oggi per risparmiare domani. E aggiungo, dobbiamo spendere di più oggi: nonostante l’aumento del budget la spesa è ancora insufficiente per le attività di contrasto alla violenza sulle donne in Turchia.

 


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