Ricercarsi è uno studio della Flc-Cgil sugli atenei italiani. Una fotografia impietosa che ritrae una realtà fatta di migliaia di giovani ricercatori che non riescono a entrare a pieno titolo nel mondo del lavoro accademico né trovare un adeguato inserimento in altri settori economici

Università:
precarietà e smarrimento

di Sabina Passamonti

Pubblicati i dati di uno studio realizzato per conto della Federazione Lavoratori della Conoscenza – Cgil (1) sugli addetti alla ricerca nell’Università italiana, attendiamo di leggere le valutazioni degli autori dello studio, attese per il mese di ottobre 2014.

Il lavoro ha il pregio di raccogliere informazioni sulle condizioni di vita e lavoro dei ricercatori, e perciò consente di decifrare il significato di simili indicatori pubblicati nel Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca (2), a cura dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) nel 2013.

È utile sfogliare questo documento per apprezzare il valore dello studio: il “personale non strutturato impegnato in attività di ricerca” è composto da circa 23 mila persone, pari al 45% dei docenti di ruolo. Sono ricercatori di età prevalente tra i 27 e 37 anni, quindi le future nuove leve dell’Università.

Ciò che più impressiona è che uno su due dei precari interpellati per lo studio Flc-Cgil non immagina il proprio futuro, né dentro l’Università né fuori. Non a caso, ben il 73% non ha figli, pur avendo un’età media di 35 anni e la metà del campione è costituito da donne.

Come si diventa così poco lungimiranti? Come si può immaginare che “la meglio gioventù” viva una stagione così lunga all’università, chiaramente connotata da ottime competenze tecniche e da passione intellettuale – come il rapporto mette in evidenza, e poi finisca nell’inutilità o in una fuga all’estero?  

Appare evidente che questa situazione deriva dall’assenza di raccordo tra università e i settori produttivi di beni e servizi. Due mondi che non si parlano e non adeguano i loro processi interni in modo da scambiarsi informazioni e risorse.  Non per niente, l’Italia non riesce a portare a casa i fondi europei per la ricerca (3) o almeno per lo sviluppo regionale (4), che richiedono questa dialettica sociale, e potrebbero essere una fantastica opportunità di crescita professionale per i giovani. Perciò, l’esperienza di “personale non strutturato impegnato in attività di ricerca” non ha nulla a che fare con la maturazione di talenti e competenze utili per la società.

I precari sono utilizzati per dare una mano al personale docente a svolgere compiti istituzionali sempre più onerosi. Il rapporto ANVUR riferisce che il rapporto studenti/docenti è più che duplicato dal 2008 al 2013, passando da circa 25 a più di 50. Lo studio FLC-CGIL mostra appunto che i precari che svolgono solo ricerca sono non più del 3,1% e tutti gli altri prestano supporto in varia misura all’attività didattica e amministrativa.

In altre sezioni del rapporto ANVUR si trovano altri indicatori di squilibrio. Nel 2013, la quota femminile di ricercatori è il 45,6%, di professori associati è il 35% e di professori ordinari è 21,1%. Qualche decennio fa la quota femminile di ricercatori era già sopra il 40%: si deduce che non mancavano le donne da inserire nei ruoli accademici più alti, ma il loro sviluppo di carriera è stato inibito.

Per una volta, l’Italia è in linea con l’Europa, nelle cui università imperversa la discriminazione di genere, con solo 20% di professori ordinari e meno del 10% di rettrici (5). Come si arriva questa situazione? Mancanza di trasparenza e informazione, stereotipi e pregiudizi, travisamento di fatti e rendite di posizione: questi sono alcuni problemi messi in luce da un rapporto della Commissione europea del 2012 (6).   

E’ difficile prevedere se il rinnovo del personale docente dell’Università italiana sarà accompagnato da un riequilibrio di genere. È stato calcolato che se l’aumento della quota femminile nei ruoli continuasse ai tassi odierni, dovremo aspettare l’anno 2073 per avere la parità di genere tra i professori ordinari (7).

Nel frattempo, l’università sarà completamente trasformata: corsi on-line (8) per studenti da tutto il mondo collegati da remoto, ricerca finanziata mediante iniziative simili all’auto-imprenditorialità (9) e una prevedibile mutazione della pubblicistica scientifica e relativo valore per le carriere accademiche. Questi precari, che dicono di non immaginare il loro futuro, forse l’hanno già tra le loro mani.

 

 

(5) She Figures 2012 EUROPEAN COMMISSION, Directorate-General for Research and Innovation, Directorate B — European Research Area, Unit B.6 — Ethics and Gender

(6) Structural change in research institutions: Enhancing excellence, gender equality and efficiency in research and innovation http://ec.europa.eu/research/science-society/document_library/pdf_06/st…


Source URL: http://www.ingenere.it/articoli/universita-precarieta-e-smarrimento