Le donne tunisine sono riuscite a imporsi e a vivere da protagoniste il processo di definizione della nuova Costituzione, e della nuova Tunisia. Non sono mancati i tentativi di ricacciarle indietro, vi raccontiamo come hanno reagito e perchè possono vincere cambiando il paese
La sfida della Tunisia
A poco più di sei mesi dall’adozione, nel gennaio 2014, della nuova Costituzione, la Tunisia rimane al centro del dibattito politico nell’area dei paesi MENA (Nord Africa e Medio Oriente), così come nel panorama internazionale, in attesa delle prossime elezioni legislative e presidenziali. Grazie ad un percorso storico e politico, che ha permesso di giungere nel 1956 (ben tre anni prima della Costituzione emanata nel 1959) alla promulgazione del Codice di Statuto Personale attraverso il quale si sono introdotte fondamentali riforme riguardanti il matrimonio, il divorzio, l’eredità, la custodia dei figli, e in generale il pieno ottenimento da parte delle donne dei propri diritti, l’esempio tunisino è da sempre considerato all’avanguardia, un modello da seguire in tutto il mondo arabo, e non solo. Nonostante ciò, il clima che si respira attualmente nel paese, e in particolare in seguito ai due omicidi politici avvenuti nel 2013 e ai recenti arresti di attivisti e dissidenti [1], è sintomo di un perdurante stato di crisi che rischia di sfociare rapidamente in una nuova realtà di paura e di ritorno all’oppressione.
L’esperienza della nuova Costituzione, accompagnata da un lungo e controverso dibattito che ha visto protagoniste numerose voci provenienti dalla società civile oltre che i principali partiti politici e i sindacati, ha dimostrato come sia stato possibile raggiungere un compromesso tra le forze secolari e il partito islamico Ennahda. Nello specifico, una delle tematiche maggiormente discusse e fonte di un confronto molto serrato sia a livello parlamentare che nel dibattito pubblico è stata quella riguardante i diritti delle donne, e in particolare sulla possibilità di revoca del principio di uguaglianza tra donne e uomini a favore di quello di complementarietà, col risultato di una rimessa in discussione dello status di piena cittadinanza delle donne tunisine [2].
Al fine di contrastare tale pericolo, ha avuto luogo su tutto il territorio nazionale una compatta reazione da parte delle associazioni femministe e di singole donne, testimoniata dall’ampia partecipazione alla manifestazione indetta nella giornata nazionale delle donne tunisine - il 13 agosto 2012 - e che è divenuta un obiettivo condiviso nelle più recenti battaglie per il raggiungimento della piena uguaglianza tra donne e uomini, sia nella sfera pubblica sia in quella privata. In un tale contesto, la Vicepresidente dell’Assemblea costituente, Meherzia Labidi-Maiza, è intervenuta ripetutamente sulla necessità di portare avanti il confronto tra le differenti forze politiche e sociali presenti in Tunisia, individuato quale fondamento di democrazia e pluralismo. Come ha ricordato in occasione di due recenti iniziative in Italia organizzate dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), una presso la Camera dei deputati intitolata La nuova Costituzione in Tunisia: modello per le democratizzazioni arabe e l’altra presso la sede dell’Ispi a Milano dal titolo Tunisian constitutional process: a new model for the Arab transitions?:
«Rimangono ancora molte sfide lungo il nostro percorso, tra cui l’aumento del livello di disoccupazione (in particolare nelle regioni in cui ebbe inizio la rivoluzione), la minaccia del terrorismo e della violenza. È necessario trovare delle soluzioni all’interno di una prospettiva più ampia che non si concentri soltanto sulle questioni legate alla sicurezza, ma che sappia includere anche il tema dell’educazione e della cultura. È fondamentale discutere e confrontarsi. La democrazia è basata sull’esperienza, sul compromesso. Non è semplice, ma questa è la strada da percorrere per permettere una reale partecipazione da parte di tutte le diverse voci che compongono l’attuale panorama politico tunisino» [3].
Anche se forti divisioni e lotte interne continuano ad essere all’ordine del giorno, la strada proposta dalla vicepresidente dell’assemblea costituente sembra essere quella verso cui si sono incamminate molte donne, attiviste e non, islamiche e laiche, con l’obiettivo di rimanere sempre vigili nell’attuale fase di transizione in difesa dei diritti fondamentali costantemente a rischio. Se da un lato, a partire dal 2011, la società civile tunisina ha ricoperto un ruolo sempre più centrale all’interno della vita del paese determinando considerevoli cambiamenti socio-politici, dall’altro alcuni storici esempi di attivismo, tra cui anche le più note organizzazioni di donne laiche come l’Association tunisiennes des femmes démocrates (Atfd) e l’Association des femmes tunisiennes pour la recherche et le développement che negli anni hanno portato avanti le principali battaglie per la difesa dei diritti delle donne, sono stati recentemente criticati per essere rimasti distanti dai problemi reali e quotidiani della gente, oltre che per rappresentare soltanto una ristretta élite. Su quest’ultima considerazione si sono particolarmente espresse associazioni di donne islamiche costituitesi dopo la caduta del regime di Ben Ali, le quali hanno posto al centro della loro agenda il sostegno sociale, economico, e psicologico nei confronti di donne che vivono gravi situazioni di avversità (a partire da donne che sono costrette a sostenere condizioni di povertà e malattia, donne divorziate e quindi escluse dalla società, donne che hanno trascorso anni in prigione durante la dittatura) [4].
Allo stato attuale, quindi, seppur il ruolo della società civile e in particolare delle donne nel panorama tunisino risulti maggiormente valorizzato e tenuto in considerazione anche dalla politica mainstream, rimangono ancora aperti profondi contrasti e divisioni tra il fronte laico e quello islamico. In una prospettiva diretta verso possibili alternative di cooperazione e solidarietà capaci di includere sia la società civile sia le istituzioni, le parole pronunciate da Meherzia Labidi-Maiza rappresentano un significativo punto di partenza per superare la dicotomia fuorviante tra modernità, Islam e tradizione, e per comprendere in profondità il processo di transizione nel quale è coinvolta la totalità della popolazione tunisina.
[1] Il costante aumento di episodi di violenza politica, tra cui spiccano gli assassini dei due leader Chokri Belaid nel febbraio 2013 e Mohammed Brami nel luglio dello stesso anno, e di arresti arbitrari di dissidenti politici, come è avvenuto recentemente nei confronti del blogger attivista Azyz Amami nel maggio 2014, rappresenta un evidente stato di tensione presente nel paese, generato da una forte polarizzazione interna.
[2] Si veda l’articolo ‘Tunisia: la Costituzione diventa paritaria’ di Chiara Sebastiani, pubblicato su ingenere.it il 15 gennaio 2014. Nonostante sia stata riconosciuta l’uguaglianza tra donne e uomini davanti alla legge, una nuova sfida si è delineata in seguito alla proclamazione della Costituzione, ossia quella legata all’attuazione di una concreta politica di pari opportunità, dal campo del lavoro e delle retribuzioni, ai ruoli amministrativi e politici.
[3] Meherzia Labidi-Maiza, Palazzo Clerici, Milano, 9 maggio 2014.
[4] Interviste ad alcune attiviste della Tunisian Women Association, fondata a Tunisi nell’aprile 2011, in data 21 febbraio 2013.