Lo sfruttamento che caratterizza il settore domestico e la violazione dei diritti fondamentali delle sue lavoratrici restano un'area grigia, l'elefante nella stanza di molte case. L'Agenzia europea per i diritti fondamentali ha intervistato 51 donne

Lontane
dagli occhi

di Marta Capesciotti

Nell'Unione europea sono 2,5 milioni le persone impiegate nel settore del lavoro domestico, nella maggior parte dei casi si tratta di donne. Il loro contributo all’economia e al sistema di welfare dell'Ue è cruciale ed è la loro stessa esistenza spesso a permettere alle donne che le impiegano di liberarsi di parte del loro ruolo di cura e di accedere al mercato del lavoro o dedicarsi al miglioramento della propria posizione nel mondo del lavoro. Eppure, lo sfruttamento che caratterizza in generale il settore domestico e la ricorrente violazione dei diritti fondamentali delle sue lavoratrici rimangono una sorta di 'area grigia' su cui l’attenzione non si posa e che sfugge a qualsiasi forma di monitoraggio. E questo nonostante il lavoro domestico – in quanto lavoro – sia tutelato dalle disposizioni del diritto nazionale e sovranazionale che garantiscono la dignità dei lavoratori e delle lavoratrici e il contrasto a ogni forma di sfruttamento, lavoro forzato e schiavitù.[1] 

A questo tema è dedicato il report dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali (Fra – Fundamental rights agency) dal titolo Out of sight: migrant women exploited in domestic work, la prima di tre pubblicazioni basate sulle esperienze di grave sfruttamento che la Fra ha raccolto, intervistando 237 lavoratori e lavoratrici nel 2017 in otto stati membri dell'Ue. In particolare, per la redazione di questo report, l'agenzia ha raccolto le testimonianze – tramite interviste individuali e focus group – di 51 donne impiegate nel settore domestico, individuate tramite segnalazione da parte di organizzazioni non governative e organizzazioni della società civile attive nel supporto delle vittime di reato e della popolazione migrante. Solo 8 delle intervistate erano cittadine di paesi Ue, le altre provenivano da paesi terzi. Sebbene un campione di 51 persone non possa, per ovvie ragioni, essere considerato statisticamente rappresentativo della situazione complessiva del lavoro domestico nell'Unione, l'indagine restituisce in ogni caso una fotografia di assoluto interesse su quelle che sono le reali condizioni di vita e di lavoro delle lavoratrici domestiche di origine migrante impiegate nelle case europee. 

Analizzando brevemente i risultati della ricerca, il quadro di sfruttamento in cui versano le lavoratrici intervistate emerge con estrema chiarezza. Secondo il rapporto dell'agenzia, le lavoratrici hanno riportato di aver subito trattamenti umilianti e degradanti nonché un’assoluta mancanza di privacy sul posto di lavoro: molte erano costrette a condividere la stanza con i figli minorenni dei datori di lavoro o con altri membri della famiglia, in alcuni casi a condividere addirittura il letto o a dormire sul pavimento. Le lavoratrici intervistate riportano, inoltre, di aver subito abusi e maltrattamenti da parte del datore di lavoro – incluse forme di violenza psicologica, emotiva, fisica e sessuale nonché molestie per mano del datore di lavoro e/o dei membri della famiglia, che hanno costretto di fatto queste donne a lavorare in un clima di paura – e di aver ricevuto un salario estremamente ridotto che non corrispondeva alla cifra pattuita o alle ore di lavoro effettivamente svolte. Le donne, inoltre, hanno raccontato che veniva loro richiesto di svolgere turni di lavoro estremamente lunghi (10-18 ore al giorno), spesso assolvendo a mansioni che non rientravano nelle loro competenze, come la pulizia della casa, il bucato o la spesa. 

La seconda parte del rapporto tenta di individuare i fattori che espongono questa particolare categoria di lavoratrici a forme di grave sfruttamento. Alle donne intervistate è stato chiesto di individuare quali sono i fattori materiali che – secondo la loro esperienza – rendono possibile lo sfruttamento lavorativo. Le risposte fornite colgono chiaramente nel segno: il bisogno di guadagnare per vivere o per sostenere le famiglie nei paesi di origine; la paura di perdere il lavoro, di subire violenza da parte del datore di lavoro o di essere deportate; il possesso di uno status di residenza irregolare o precario; la percepita o reale impunità del datore di lavoro; l’abuso della propria posizione da parte dello stesso, rappresentano i fattori principali (ma non gli unici) che secondo le intervistate favoriscono l’instaurarsi di condizioni di grave sfruttamento lavorativo in questo settore. 

Il rapporto individua, inoltre, quattro fattori di rischio che – a parere dell'agenzia Fra – rendono le lavoratrici domestiche particolarmente vulnerabili allo sfruttamento lavorativo: la dipendenza dal datore di lavoro, soprattutto se si considera che in molti casi il permesso di soggiorno è strettamente connesso al contratto di lavoro e che nella maggior parte dei casi le lavoratrici domestiche vivono in casa con i datori di lavoro; l’assenza di ispezioni sul posto di lavoro o di meccanismi finalizzati a segnalare gli abusi; le limitate vie di accesso a servizi di assistenza e supporto per le vittime di sfruttamento lavorativo; la limitata o nulla conoscenza dei propri diritti da parte delle lavoratrici domestiche. Sulla base dell’individuazione di tali fattori di rischio, l'agenzia conclude il rapporto con una serie di raccomandazioni rivolte agli stati membri e finalizzate a prevenire l’instaurarsi di rapporti di dipendenza tra lavoratrici e datori di lavoro, investendo sull’autonomia delle persone impiegate in tale settore; all’introduzione di un sistema di ispezione sui posti di lavoro e di meccanismi di segnalazione di abusi e sfruttamento; al rafforzamento delle organizzazioni della società civile come soggetti necessari a fornire un adeguato supporto alle donne che fuoriescono da situazioni di sfruttamento lavorativo; alla diffusione di informazioni complete e accessibili relative ai diritti delle lavoratrici domestiche, rivolta sia alle lavoratrici stesse che ai datori di lavoro. 

Come tutti i policy-papers, la forza del rapporto dipenderà dall’attenzione che gli stati membri decideranno di prestare a riguardo. Intanto, 'il convitato di pietra' siede tra noi ed è fatto di tante persone che ogni giorno lavorano nelle case, svolgendo un lavoro di cura sottopagato e reso invisibile. Nell’epoca in cui i diritti di delle donne e la decostruzione dei ruoli e delle aspettative di genere riescono – seppur a fatica –  a occupare lo spazio di discussione pubblica, non sarà così facile ignorare ancora a lungo questo enorme elefante nella stanza. 

Note

[1] Si pensi, ad esempio, alla Convenzione relativa alle condizioni di lavoro nel settore domestico (Convention concerning decent work for domestic workers) approvata nel 2011 dalla International Labour Organisation (ILO) e approvata, al maggio 2018, solo da 6 Stati membri dell'Unione europea; o agli articoli 5 e 31 della Carta dei diritti fondamentali dell'Ue che impongono l’obbligo di garantire condizioni di lavoro eque e dignitose, vietando la schiavitù e il grave sfruttamento lavorativo; o, infine, alla risoluzione del Parlamento europeo – adottata nell’aprile del 2016 – in materia di collaboratrici domestiche e prestatrici di assistenza nell'Ue, tramite la quale la Commissione europea e gli Stati membri vengono invitati a garantire a tali lavoratrici l’accesso ai diritti e a imporre ai datori di lavoro il rispetto degli stessi. 


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