La storia invisibile delle "donne-computer", agli albori dell'informatica. Quella delle ricercatrici che lavoravano sul moscerino della frutta. E altri indizi del fatto che la comunità scientifica, a parole meritocratica, mette al margine le donne appena un settore diventa strategico e prestigioso. Pensiamo alle soluzioni
Le donne nella scienza,
paradosso e pregiudizio
1. Perché così poche, così lentamente e così in basso?
Nonostante apprezzabili miglioramenti, questi interrogativi sono di grande attualità, pur risalendo agli anni ’60 (Rossi 1965). “Perché così poche?” si riferisce alla quota, tuttora limitata, di donne presenti in molti rami delle cosiddette discipline SET (science, engineering, technology), un problema che si è diffuso anche ai settori emergenti ad esse collegati, come l’innovazione e l’imprenditoria, nei quali persistono gli stessi paradigmi discriminatori di genere tipici del mondo accademico (Valian 1999; Etzkowitz, Kemelgor e Uzzi 2000), anche se in misura minore (Ranga et al. 2008).
“Perché così lentamente?” allude al fatto che in molti di questi settori il passaggio dalla disuguaglianza all’uguaglianza sta procedendo a rilento, ed è strettamente connesso con la terza domanda “Perché così in basso?” in quanto le donne negli ambienti accademici e aziendali spesso occupano posizioni inferiori nella scala gerarchica rispetto agli uomini. La locuzione “poche, lentamente e in basso” è diventata un tratto distintivo della presenza delle donne nelle discipline SET, a causa della radicata e immutabile convinzione che questi settori-chiave per il progresso e lo sviluppo funzionino su basi esclusivamente meritocratiche, per cui vengono valutati soltanto i risultati ottenuti e il contributo personale di ognuno all’avanzamento della conoscenza, senza alcun pregiudizio sul genere o le inclinazioni personali degli scienziati che li hanno conseguiti (Etzkowitz e Kemelgor 2001). Col passare del tempo, “poche” e “lentamente” sono diventate “in basso”, o peggio, ”invisibili”. Ad esempio, è pressoché sconosciuta la storia delle “donne computer”, un gruppo di matematiche che condusse studi riservati di balistica per conto dell’Esercito degli Stati Uniti durante la Seconda Guerra Mondiale, alcune delle quali diventarono poi programmatrici dell’ENIAC, il primo calcolatore elettronico; il documentario “Massima segretezza in rosa: le donne computer nella Seconda Guerra Mondiale” presentato al Museo della Storia del Computer in California, ha contribuito con un’opera meritoria a renderla nota[1]. Un’inchiesta sull’opinione pubblica riguardo alle donne nella scienza, commissionata dalla Royal Society (2011), ha constatato che nel Regno Unito circa il 90% dei giovani (18-24 anni) e circa i due terzi dell’intera popolazione non sono in grado di menzionare neanche una scienziata donna famosa, nonostante la convinzione quasi unanime (il 96% degli intervistati) che uomini e donne siano ugualmente portati alle professioni scientifiche. Questi risultati erano prevedibili, considerato il fatto che fra gli 814 vincitori del premio Nobel nell’arco di più di un secolo (1901-2010) vi sono solo 40 donne[2].
L’attrito che impedisce alle donne di posizionarsi in alto nelle gerarchie delle discipline SET è sempre più riconosciuto come una seria minaccia per la competitività delle organizzazioni accademiche e commerciali, nonchè uno spreco di talenti e risorse per l’intera società. Inoltre, il pregiudizio di genere influenza l’assegnazione dei finanziamenti alla ricerca in molte discipline SET, in cui i processi decisionali e la valutazione fra pari sono ancora oggi prevalentemente, se non totalmente, appannaggio degli uomini; tutto ciò, in aggiunta alla scarsa trasparenza delle procedure di reclutamento, soprattutto nella scelta dei valutatori, determina la limitata presenza delle donne nelle discipline SET (EC 2009). Per di più, sotto l’influenza dei paradigmi di genere, due diversi metri di giudizio sono utilizzati per stabilire le competenze scientifiche e l’eccellenza, ampliando ancor di più il divario fra i generi (EC 2004). La discriminazione palese, le barriere invisibili, la sopravvalutata abilità degli uomini nelle mansioni tradizionalmente femminili, la scarsa fiducia nelle donne impegnate in funzioni tipicamente maschili, sono tutti elementi che si sommano limitando la presenza e la crescita delle donne nelle SET, determinando un “effetto Matilda” (Rossiter 1993), cioè un “effetto Matthew” (Merton 1968) al contrario: invece di un incremento che si auto-alimenta, si osserva un circolo vizioso verso la continua diminuzione delle donne che scelgono queste professioni.
L’impegno per migliorare la situazione è stato orientato al reclutamento di donne più che alla loro tutela e promozione, nell’illusoria speranza che l’avanzamento di carriera sarebbe seguito in modo spontaneo, una volta superato l’ostacolo all’entrata. Queste previsioni sono state smentite dai fatti: nelle SET, ad ogni gradino della carriera un certo numero di donne abbandona (il cosiddetto fenomeno del “tubo che perde”). Hewlett et al. (2008) hanno calcolato che fino al 52% delle donne specializzate nelle SET potrebbe lasciare il lavoro nel momento cruciale della carriera, quando si pone la scelta fra “lotta o fuga”, provocando una enorme carenza di personale qualificato. Non è quindi affatto sorprendente che un numero spropositato di donne rimanga confinato ai livelli gerarchici più bassi sia in ambito accademico che aziendale, anche dopo aver maturato molti anni di anzianità, il che fra l’altro ostacola un adeguato ricambio generazionale.
2. Il “paradosso del settore prestigioso”
Anche laddove le donne riescono a dimostrare competenza scientifica o tecnica non ottengono promozioni a incarichi di responsabilità. è nostra convinzione che una delle ragioni del limitato numero di donne nelle posizioni di alto livello nelle SET sia riconducibile al “paradosso del settore prestigioso”: molte donne sono impegnate in settori considerati scarsamente strategici, ma all’aumentare del prestigio del settore, la presenza di donne diminuisce. Il meccanismo funziona anche nel verso opposto: se un certo ambito di lavoro patisce un calo di prestigio e di salari, le donne vengono cooptate per sopperire ai posti lasciati vacanti dagli uomini passati a incarichi più remunerativi. In entrambi i casi, sono le donne ad avere la peggio.
Un calzante esempio del “paradosso del settore prestigioso” è il campo della genetica classica all’inizio del Ventesimo Secolo. Agli albori della ricerca sul moscerino della frutta Drosophila Melanogaster alla Columbia University, nel gruppo di Thomas Hunt Morgan lavoravano molte donne. Quando questi studi iniziarono a riscuotere successo presso la comunità scientifica, il settore acquisì popolarità, richiamando un gran numero di scienziati uomini con un calo concomitante della presenza femminile (Kohler, 1994).
Un fenomeno simile si è verificato nell’informatica: negli anni ’40, i primi programmatori o “codificatori” erano donne: esse lavoravano infatti in un settore marginale, complice un’ottica di divisione dei compiti che riservava agli uomini gli ambiti di lavoro più prestigiosi. Alcune di queste donne intrapresero una carriera nell’informatica, diventarono programmatrici di successo e addirittura esponenti di spicco nella professione. Tuttavia, negli anni ’50 la loro autorevolezza cominciò a calare, non appena le applicazioni commerciali superarono quelle scientifiche. La figura del programmatore fu sempre più richiesta dall’industria informatica, chiamata a fronteggiare le esigenze pressanti dello sviluppo delle applicazioni commerciali. I programmatori uomini aumentarono a tal punto da superare le donne, prima “codificatrici” e poi programmatrici, cosicché la programmazione diventò un’attività tipicamente maschile. Le professioni universitarie che si occupano del trasferimento tecnologico potrebbero essere attualmente alla fase iniziale di questo processo: fino a qualche anno fa negli Stati Uniti questo era considerato un ambito di limitata importanza strategica, caratterizzato da una imponente presenza di donne, anche in posizioni di alto livello. Ultimamente molti uomini hanno cominciato a lavorare in questo campo, anche sollecitati dalle donne che consideravano la presenza maschile un indice dell’importanza acquisita dal settore. Alcuni indizi ci inducono a sperare che in questo caso le donne riusciranno a mantenere il loro ruolo di rilievo, infrangendo il nesso finora apparentemente inviolabile fra settore di prestigio e genere[3].
L’implicazione del paradosso dello status del settore è che per risolvere il problema della disparità di genere non è sufficiente aumentare il numero di donne presenti in quel settore. Invero, la presenza crescente di donne in un determinato campo potrebbe anche indicare che esso per qualche motivo stia diventando meno allettante per gli uomini, più che un miglioramento delle condizioni lavorative delle donne. Una vicenda esemplificativa è rappresentata dalla ricerca informatica universitaria in Messico. Finché i salari si sono mantenuti bassi, gli uomini lasciavano la ricerca per lavorare nell’industria e alle donne era lasciato spazio per l’attività accademica (Etzkowitz Kemelgor, Uzzi 2000). Analogamente, il Dipartimento di scienze biologiche dell’Università di Lund in Svezia ha rilevato all’inizio del 2002 un’impressionante aumento delle donne iscritte alla facoltà di odontoiatria, in un periodo in cui questa disciplina non gode di gran prestigio nel paese. Quindi, uno stesso fenomeno può rappresentare il sintomo della risoluzione del problema oppure della sua persistenza.
3. Come possiamo intervenire?
Il “paradosso del settore prestigioso” rispecchia l’annosa e immutabile divisione di genere nella scienza e nella tecnologia, cui si sommano la cultura organizzativa, i criteri di reclutamento e promozione, gli stereotipi sociali inculcati nelle menti sin da piccoli, e una scarsa cultura della consapevolezza di genere. Per concludere, le azioni volte al cambiamento dovrebbero focalizzarsi su ciascuno di questi aspetti. Iniziative specifiche e strutture di patrocinio per promuovere modelli femminili positivi, per monitorare l’uguaglianza di genere e per sostenere la ricerca su questi temi sono assolutamente necessarie, dato che in un gran numero di paesi è proprio il non riconoscimento del problema o il disinteresse verso l’uguaglianza di genere ad essere alla radice degli squilibri osservati.
Bibliografia
Correll, S. (2011), “How Gender Stereotypes Influence Emerging Career Aspirations”. Clayman Institute for Gender Research, Stanford University. (last accessed 22 February 2011).
Etzkowitz, H. and C. Kemelgor (2001), ‘Gender Inequality in Science: A Universal Condition?’, Minerva 39 (2): 239-257.
Etzkowitz, H., C. Kemelgor and B. Uzzi (2000), Athena Unbound: The Advancement of Women in Science and Technology, Cambridge University Press.
European Commission (2004), ‘Gender and Excellence in the Making’.
European Commission (2009), Gender Challenge in Research Funding. Assessing the European National Scenes.
Hewlett, S.A., C. B. Luce, L. J. Servon, L. Sherbin, P. Shiller, E. Sosnovich and K. Sumberg (2008), ‘The Athena Factor: Reversing the Brain Drain in Science, Engineering and Technology’, Harvard Business Review, June 2008.
Kohler, R. E. (1994), Lords of the Fly: "Drosophila" Genetics and the Experimental Life, Chicago: University of Chicago Press.
Merton, R.K., (1968), ‘The Matthew Effect in science’, Science 159, 56–63.
National Academies of Sciences (2007), Beyond Bias and Barriers: Fulfilling the Potential of Women in Academic Science and Engineering (last accessed 21 Feb 2011).
Ranga, M. et al. (2008), ‘Gender Patterns in Technology Transfer: Social innovation in the making?’, Research Global, 4-5.
Rossi, A. (1965). ‘Women in Science: Why So Few?’. Science 148: 1196-1203.
Rossiter, M. W. (1993), ‘The Matthew Matilda Effect in Science’, Social Studies of Science 23 (2): 325-341.
Royal Society (2011), ‘Scientists trump popstars as role models for girls’, 26 August 2010 (last accessed: 24 February 2011).
Valian, V. (1999). Why so Slow? The Advancement of Women. Cambridge: MIT Press.
Zakaib G.D. (2011) "Science gender gap probed", Nature 470, 153, 7 February 2011.
[1] http://www.computerhistory.org/events/index.php?id=1297278310
[2] http://nobelprize.org/nobel_prizes/lists/women.html
[3] Ad esempio, una donna è stata eletta presidente dell’Associazione dei Dirigenti della Tecnologia Universitaria (AUTM), a seguito di una serie di presidenti uomini negli anni precedenti.
In allegato l'articolo di Marina Randa e Henri Etzkowitz, in versione originale. Con il consenso degli autori, nella traduzione italiana sono stati apportati alcuni tagli.