Non è un lusso, né di parte, ma uno strumento di valutazione delle politiche pubbliche volto a rendere più trasparente ed equa la ripartizione delle spese. Il bilancio di genere è già stato introdotto con successo in molti paesi europei a vari livelli, mentre in Italia sempre più enti locali hanno avviato progetti di gender budgeting  e di scambio di buone pratiche. Tuttavia occorre fare dei passi avanti

Bilancio di genere

di Luisa Giuriato

“Noi, i Governi che partecipano alla IV Conferenza Mondiale sulle donne, riuniti qui  a Pechino, nel settembre 1995, l’anno del 50° anniversario della fondazione delle Nazioni Unite, decisi a far progredire gli obiettivi di eguaglianza, sviluppo e pace per tutte le donne del mondo, nell’interesse dell’umanità intera, …ci dedichiamo senza riserve ad affrontare vincoli ed ostacoli e, in tal modo, a stimolare il progresso e la partecipazione delle donne di tutto il mondo e concordiamo che questo richieda un’azione urgente da svolgere con spirito di determinazione, speranza, cooperazione e solidarietà, ora e in previsione del prossimo secolo.”

Dichiarazione di Pechino, 1995

 

L’inserimento della prospettiva di genere nel processo di bilancio, il cosiddetto gender budgeting, è una sfida al modo tradizionale di fare politica di bilancio, formulata a livello internazionale a metà anni ’90[1]. A conclusione della Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sulle donne, tenuta a Pechino nel 1995, i 189 governi partecipanti si impegnarono a “promuovere l’indipendenza economica delle donne […] per mezzo di cambiamenti nelle strutture economiche” e a  “ristrutturare e ridefinire la spesa pubblica per promuovere le opportunità economiche delle donne e il loro accesso alle risorse produttive”. Nel 1999 il gender budgeting è stato adottato dalla Commissione Europea come strumento principe dell’orientamento di genere delle politiche pubbliche (il gender mainstreaming [2]), codificato nel Trattato di Amsterdam del 1997 (artt. 2 e 3). Un più preciso invito alla Commissione e ai paesi membri a sviluppare modelli di bilancio di genere è venuto dal Parlamento Europeo nel 2003.

 

Ma è davvero così importante avere un bilancio di genere? Proviamo a rispondere, sciogliendo i principali quesiti che esso solleva.

 

Cos’è in sostanza il gender budgeting? E’ un ripensamento complessivo della costruzione del bilancio: comporta innanzitutto un riesame della struttura di entrate e spese riclassificate, valutando il loro diverso impatto su uomini e donne.

 

Cosa non è il gender budgeting? Non è un bilancio pubblico per le donne separato da quello per gli uomini, e non comporta la promozione solo di programmi specificamente indirizzati alle donne.

 

Perché proprio il bilancio pubblico è rilevante per la realizzazione dell’uguaglianza di genere? Perché il bilancio non è neutrale rispetto al genere, ossia uomini e donne sono influenzati diversamente dalle decisioni di bilancio, a motivo delle loro diverse situazioni socio-economiche, dei bisogni individuali e delle preferenze. Se, ad esempio, le donne dipendono più degli uomini dai servizi di trasporto pubblico, una riduzione della spesa per treni e autobus di linea non è neutrale rispetto al genere, ma incide maggiormente sulle donne. In tal modo, le decisioni di bilancio tendono a perpetuare le differenze di genere che permeano la società o addirittura approfondiscono il gap di genere.

 

Non dimentichiamo inoltre, che il bilancio influenza la distribuzione non solo delle risorse finanziarie e materiali, ma anche di quelle immateriali, come il tempo: se aumentano gli stanziamenti a favore dell’infanzia, con più asili nido, più scuole, più attività educative, si espande anche il tempo delle madri dei bambini, che potranno più facilmente conciliare un’attività lavorativa con la cura della famiglia. Lo stesso può dirsi di tutti gli interventi pubblici che in qualche modo sostituiscono le “attività di cura” non retribuite svolte dalle donne e che occupano una parte considerevole del loro tempo. Promuovere l’uguaglianza di genere attraverso il bilancio pubblico vuol quindi dire realizzare una più equa distribuzione delle risorse materiali e immateriali per garantire a uomini e donne un uguale accesso ai diversi ambiti economici, politici e sociali.

 

Cosa ci possiamo attendere dal gender budgeting? Sicuramente maggior trasparenza, se i risultati del processo sono oggetto di attenzione da parte del decisore pubblico e vengono adeguatamente diffusi tra  i cittadini, creando la consapevolezza che gli interventi di bilancio non sono neutrali rispetto al genere e che devono corrispondere alle effettive necessità di uomini  donne. Poi, maggior equità, se il gender budgeting serve a evidenziare le disparità esistenti e a promuovere interventi per rimuoverle. E ancora: maggior efficienza nell’allocazione delle risorse, soprattutto il lavoro femminile, e maggior attenzione alla corrispondenza tra programmi pubblici e necessità dei cittadini.

 

Quali sono le difficoltà dell’introduzione del gender budgeting? Alcune difficoltà sono le stesse che si incontrano quando si cerca di dare alla politica di bilancio un orientamento basato sulla performance: la scelta degli indicatori adeguati e delle misure di risultato dirette ed indirette delle politiche pubbliche e soprattutto la capacità di tradurre astratti orientamenti politici in concreti e ben definiti obiettivi riferiti a specifiche aree del bilancio. Occorre che tali obiettivi siano ben differenziati e che su di essi venga definita una scala di priorità, coordinando gli interventi tra diversi livelli di governo (comunale, provinciale, regionale e statale).

 

Una prima percezione dei risultati ottenibili e delle forti implicazioni dell’analisi di genere dei dati di bilancio si può avere  prendendo in considerazione le osservazioni del Women’s Budget Group [3] sui tagli di bilancio attuati dal governo britannico per il 2010-11 (The Impact on Women of the Coalition Spending Review 2010, Novembre, disponibile su www.wbg.org.uk). Mentre, infatti, il governo afferma la neutralità della manovra di bilancio rispetto al genere, il Women’s Budget Group rileva che essa porterà “an immense reduction in the standard of living and financial independence of millions of women, and a reversal in progress made towards gender equality”. Infatti, i gruppi che soffriranno di più dai tagli di spesa saranno le famiglie monoparentali e i pensionati che vivono soli: in entrambi i casi, in maggioranza, si tratta di donne, le quali subiranno una riduzione di servizi pubblici stimata pari al 18,5 per cento del loro reddito, se capifamiglia, e al 12 per cento, se pensionate. In generale, le donne single vedranno una riduzione dei servizi, in proporzione al loro reddito, maggiore del 60 per cento di quella subita dagli uomini single, e tre volte maggiore di quella delle coppie. Inoltre, i tagli del personale pubblico toccheranno in misura maggiore le donne, che rappresentano il 65 per cento degli occupati pubblici. Le donne risentiranno più degli uomini anche del peggioramento delle condizioni salariali nel settore pubblico, del taglio ai Child Benefits, che vengono corrisposti praticamente soltanto alle donne, e delle restrizioni agli Housing Benefit.

 

In Europa sono diversi i paesi che hanno iniziato ad introdurre una prospettiva di genere nei loro bilanci  (Belgio, Austria, Repubblica Ceca, Danimarca, Svezia). In Austria, dal 2009, il Bilancio di Genere è inserito nella Costituzione tra gli obiettivi che il governo deve perseguire mediante politiche di bilancio e dal 2013 dovrà essere pienamente attuato nella gestione del bilancio a livello federale, statale e comunale e nella preparazione del bilancio federale. In Svezia i primi progetti di gender mainstreaming risalgono alla fine degli anni ’80. Dal 2004 l’analisi di genere dei bilanci è stata inserita a pieno titolo nei bilanci dei ministeri svedesi in un’ottica di programmazione pluriennale. In Belgio, nel 2002 si è avviata la ricognizione di genere del bilancio federale per verificare l’applicabilità delle categorie di analisi elaborate da Budlender e Sharp (1998, cit.). I risultati dell’analisi sono serviti per rafforzare una prospettiva orientata alla performance e l’attenzione nella classificazione dei dati di bilancio.

 

In Italia si è persa l’occasione della riforma del bilancio del 2009 per inserire la prospettiva di genere a livello nazionale. Già dal 2000, si sono però avviate esperienze interessanti a livello locale: attualmente circa una sessantina di enti locali, tra regioni, province e comuni (Figura 1), hanno avviato progetti di gender budgeting e alcuni di essi hanno aderito ad un protocollo di intesa [4] per lo scambio di best practice e per la condivisione di metodologie. Tuttavia, l’analisi di genere viene effettuata più che altro sui dati di consuntivo dei bilanci, con finalità informativa, e non nella fase di preparazione del bilancio, ossia quando si decide l’allocazione delle risorse. Resta l’impressione che la prospettiva di genere resterà ancora a lungo confinata tra i lussi che crediamo di non poterci permettere.

 

Figura 1 – Il quadro delle esperienze di gender budgeting delle amministrazioni locali italiane

 

Fonte: G.Badalassi, Introduzione al bilancio di genere in Italia, 2010

 

 


 

[1] Per una rassegna si veda F.Bettio, A. Rosselli e G. Vingelli (2002), Gender auditing nei bilanci pubblici, Fondazione A.J. Zaninoni.

[2] Il gender mainstreaming è la riorganizzazione, lo sviluppo e la valutazione dei processi e delle politiche pubbliche, tendente ad incorporare una prospettiva di eguaglianza di genere in tutte le politiche, a tutti i livelli e a tutti gli stadi, da parte dei soggetti normalmente coinvolti nella loro formulazione ed attuazione (Consiglio di Europa, 1998).

[3] Il Women’s Budget Group  ha effettuato anche una completa ricognizione della diseguaglianza di genere in Gran Bretagna. Ad esempio, per quanto riguarda le retribuzioni,dopo aver rilevato una disparità di genere nella retribuzione mediana annua di uomini (£25,800) e donne (£20,100) che lavorano a tempo pieno, il Women’s Budget Group valuta che la paga oraria delle donne che lavorano a tempo parziale sia inferiore per il 39 per cento a quella degli uomini che lavorano a tempo pieno. Inoltre, anche dopo aver tenuto conto delle imposte e dei trasferimenti, il reddito mediano settimanale delle donne continua ad essere del 35 per inferiore a quello degli uomini. 

[4] L’iniziativa è stata avviata dalla provincia di Genova, all’interno di un progetto europeo transnazionale che coinvolge le amministrazioni locali di Germania, Austria Francia e Slovenia. L’analisi parte dalla stima della domanda di genere di servizi pubblici e dalla costruzione di indicatori di efficienza ed efficacia, sulla base dei quali valutare l’impatto dei programmi di bilancio e modificarli a livello politico, amministrativo e di fornitura di servizi.


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