In Italia la parità di genere registra un piccolo miglioramento, ma il nostro paese rimane tra i peggiori in Europa dal punto di vista dell'occupazione femminile. Il commento a partire dai dati contenuti nell'edizione 2024 dell'Indice europeo di parità

Nel limbo
della parità

di Barbara Leda Kenny

Sono usciti i dati dell'Indice europeo di parità del 2024. Elaborato dall'Agenzia europea per l'uguaglianza di genere (European Institute for Gender Equality, Eige), l’indice misura il livello di parità nei paesi europei individuando sei domini, composti da indicatori che raccontano come stanno le donne in Europa e in ogni paese membro. Nello specifico, le dimensioni misurate dall’indice sono lavoro, salute, denaro, sapere, tempo, potere.

In generale si registra un piccolissimo avanzamento a livello europeo. Un rallentamento che parla di un'Europa che fa fatica a crescere e investire nelle pari opportunità tra uomini e donne come principio fondante sia del progetto europeo, che delle democrazie contemporanee. Ricordiamoci che quello attuale è il primo parlamento eletto in cui il numero di donne è diminuito, dopo anni di crescita costante. La fotografia è, come al solito, quella di paesi con forti disuguaglianze, per cui i punteggi passano dal 57,5 della Romania all’82 della Svezia. L’Italia migliora di un punto arrivando a 69,2, sotto la media europea di 71.

Andiamo a vedere nel dettaglio cosa è migliorato in Italia, che registra la crescita più alta nella dimensione del potere, ben 3,8 punti. Capiamo perché: per la prima volta, oltre al potere economico e a quello politico, l’indice prova a misurare il potere sociale. Gli indicatori scelti per rappresentarlo sono gli ambiti della ricerca, dei media e dello sport. Per la ricerca viene esaminata la partecipazione ai Consigli di amministrazione degli organismi di finanziamento alla ricerca (come il Miur e il Cnr), per i mezzi di comunicazione la partecipazione al Consiglio di amministrazione dei media pubblici (Rai), e per lo sport i membri del comitato olimpico. 

Nella ricerca siamo sotto la media europea, nello sport leggermente sopra. È nella dimensione “mezzi di comunicazione”, dove, con un dato paritario, il vantaggio rispetto agli altri paesi è notevole. Peccato che il dato raccolto sia stato superato: il Cda Rai è stato cambiato a fine ottobre, e quel glorioso 50 e 50 è un risultato del precedente Consiglio di amministrazione, scelto dalla precedente legislatura. Il nuovo Cda riporta la presenza di donne al 30%, quindi l’anno prossimo lo stesso aspetto sarà, verosimilmente, peggiorato.

L’altra dimensione che registra una crescita è quella del lavoro, che avanza di mezzo punto. Non abbastanza da risalire la china, e infatti l’Italia rimane fanalino di coda europeo: la media europea corrisponde a un punteggio di 74,2. L’Italia arriva a 65,5, due punti sotto la Romania che si classifica penultima, e lontanissima dagli 85 punti svedesi.

Proviamo a interpretare questa piccola crescita del dominio lavoro, di cui fanno parte gli indicatori “partecipazione al mercato del lavoro” e “permanenza nel mercato del lavoro”. Quest'ultimo ci dice che, rispetto all’anno scorso, le donne rimangono nel mondo del lavoro un anno in più (ovvero, vanno in pensione più tardi). 

Anche qui abbiamo quindi un dato che va letto tenendo conto di alcuni fattori: primo fra tutti, il fatto che in Italia l’inattività è cresciuta più dell’occupazione. A tal proposito, vale la pena ricordare che l’occupazione femminile è aumentata fino ad agosto, ed è diminuita nell’ultimo trimestre. Questo nonostante il Pnrr e la grande infusione di denaro pubblico nell’economia. 

La mancanza di un piano e di riforme strutturali a sostegno dell’occupazione femminile potrebbero dunque rendere la crescita dell’occupazione femminile registrata finora soltanto momentanea.

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