Politiche

Europa 2020, è cruciale che le donne non restino ai margini dell'innovazione e delle sue politiche. Soprattutto se finalmente si torna a pensare alla crescita sostenibile, e si mette al centro delle sue strategie l'economia della conoscenza. Per questo è necessaria una lettura di genere dell'Agenda digitale. Ecco come

Agenda digitale?
Di genere, grazie

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L’Agenda Digitale Europea lanciata dalla Commissione nel 2010 è la prima delle sette iniziative attorno a cui si articola il corpus di politiche di Europa 2020, che tenta di delineare le linee dello sviluppo economico, sociale, ambientale dell’Unione europea per gli anni a venire, utilizzando il paradigma di una crescita che si vorrebbe sostenibile, ‘smart’ e inclusiva.

Perché e come è importante e ha senso proporre una lettura di genere dell’agenda digitale europea? Su quali contenuti e con quali modalità? Il discorso portante dell’Agenda digitale e di Europa 2020 è che il vecchio continente possa stare nella competizione globale solo rafforzandosi come economia della conoscenza, aumentando gli investimenti nelle Ict, migliorando i livelli delle competenze digitali della propria forza lavoro e della cittadinanza, potenziando l’innovazione nel settore pubblico, riformando il mercato della rete e le infrastrutture. Il dipartimento DG Connect della Commissione europea ha stimato che rischiano di rimanere vacanti fino al 2015 un milione di posti di lavoro nei quali le cosiddette e-skills saranno cruciali, mentre nel più lungo termine si prospettano 3,8 milioni di nuovi posti di lavoro: diventa evidente come per le donne rimanere ai margini di questi passaggi rappresenti una enorme perdita di opportunità. La stessa vita, urbana e non, nella sua quotidianità, a livello di mobilità, servizi, approvvigionamento energetico, salute e cura, istruzione, sarà fortemente rivoluzionata dall’intreccio tra tecnologie mobili, cloud computing, internet delle cose. È questa la prospettiva smart city verso cui ci si sta orientando, sperando che venga attuata mettendo al centro la sostenibilità ambientale e i bisogni delle/dei cittadin*. 

Includere una prospettiva di genere nell’agenda digitale può essere quindi un obiettivo di giustizia economica, appellandosi prima di tutto ad un’idea di sviluppo inclusiva, argomentabile con la necessità di non lasciare fuori le donne da uno dei settori di sviluppo chiave dei prossimi anni. Le ricercatrici che hanno elaborato GEKS Gender Equality – Knowledge Society Scorecard hanno parlato di “knowledge gender divide” sottolineando l’assenza delle donne dalle professioni Ict e Stem (i due acronimi inglesi stanno rispettivamente per Internet and Communication TechnologyScience, Technology, Engineering, and Math). 


Percentuali di donne nel settore Ict nell'Ue a 27, 2010 (a sinistra i valori più alti, a destra quelli più bassi)

Fonte: Global Contact, France 1012, based on Oecd, EuroStat and Iesf

Contemporaneamente, anche l’argomento del cosiddetto ‘business case of gender’ ha una sua rilevanza pratica in questo ambito e soprattutto si presta bene a sollecitare l’attenzione degli attori economici dei settori Ict: spreco di talenti, spreco delle risorse investite nell’istruzione femminile, perdita del valore della diversity nella leadership, nella ricerca, nei gruppi di lavoro in generale.

L’azione di lobbying per il gender mainstreaming nell’agenda digitale è stata lanciata da ECWT (European Centre for Women and Technology) nel 2011, in occasione di una conferenza dedicata promossa dalla Commissione a Budapest e nella quale Ecwt ha lanciato il primo position paper sul tema e ha lanciato chiaro e forte il proprio messaggio: almeno il 50% del successo dell’agenda digitale dipenderà da quanto la Commissione europea sarà in grado di trovare modi e mezzi per integrare una massa critica di donne nell’accesso, nel design, nella ricerca, produzione ed uso di Ict entro il 2020.

Più nel concreto, le principali linee di intervento suggerite per accrescere la dimensione di genere dell'agenda digitale puntavano sull’indicazione di azioni chiave per attrarre le ragazze verso gli studi e le carriere Ict, per accrescere le competenze digitali delle donne, e per valorizzare il talento delle professioniste già occupate in modo da trattenerle nel settore. Nello stesso tempo, però, si è insistito anche su alcuni aspetti trasversali, che hanno a che fare con la dimensione di genere dell’intero ciclo della R &D in Ict.

Le raccomandazioni fin’ora avanzate sul gender mainstreaming potrebbero essere integrate, data anche l’enfasi posta dal Pilastro VII e l’azione sulla promozione di tecnologie Ambient Assisted Living, con quanto già suggerito dalla redazione di InGenere nel quadro del cosiddetto pink new deal: è importante infatti invocare la necessità di una forte componente di innovazione tecnologica nei settori della cura (servizi alla persona), per far sì che gli investimenti in infrastrutture sociali siano al tempo stesso azioni di politica industriale, e non finiscano per creare sacche di lavoro tradizionale e poco pagato delle donne.

È evidente che il tema è ormai di attualità, sia perché lanciato a suo tempo sotto la guida di Viviane Reading, sia perché la stessa Commissaria Neelie Kroes non perde occasione per sottolinearlo. Sono state inserite 3 azioni specifiche sul genere nell’Agenda Digitale Europea, ed è in fase di realizzazione uno studio che dovrà entro giugno gettare le basi per il lavoro futuro, auspicando che vengano in seguito messe a disposizione risorse adeguate per l’implementazione di politiche concrete.

Visto che l’Europa sta dando il buon esempio, sarebbe legittimo aspettarsi una simile direzione anche da parte degli stati membri.

In realtà, il lavoro della Cabina di regia dell’Adi (Agenda Digitale Italiana) pareva promettente. La questione era stata inclusa entro i lavori del Gruppo sulle competenze digitali proponendosi di:

  • fornire esempi e modelli positivi per le donne che vogliono entrare nel settore delle tecnologie digitali e/o intraprendere una carriera da startupper

  • promuovere il ruolo delle donne come utenti attive, creatrici e produttrici di tecnologie e protagoniste dell’innovazione.

Nel giugno del 2012, il Punto di contatto nazionale di Ecwt, coordinato dall’università Ca’ Foscari/Cisre formazione avanzata, nel convegno conclusivo della e-skills week 2012, ha promosso un workshop sul tema genere & inclusione per l’agenda digitale italiana, e le decine di organizzazioni coinvolte hanno presentato un documento di 11 raccomandazioni specifiche all’Adi.

Nel frattempo, si è giunti alla approvazione del decreto sviluppo 2.0 che, come noto, ha purtroppo decisamente penalizzato gli interventi sulle competenze digitali e, con essi, ogni riferimento alle questioni di genere è stato spazzato via.

Eppure ormai una sensibilità su questi temi sta trovando canali di espressione e non potrà essere ignorata ancora a lungo dai decisori politici, a prescindere da come si configurerà l’auspicata governabilità del nostro paese nei mesi a venire.

Dallo scorso autunno il punto di contatto nazionale di Ecwt ha iniziato una proficua collaborazione con Stati generali innovazione, che ha portato tra l’altro all’evento smart cities, genere e inclusione, in occasione di smart cities exhibition 2012, da cui è nata un’iniziativa congiunta con Forum Pa .

Stati generali innovazione ha, da parte sua, promosso una carta degli intenti per l’innovazione firmata da circa 80 candidati/e alle elezioni parlamentari, che ha incluso un punto specifico sul genere nelle politiche per l’innovazione. Proprio in collegamento alle attività di SGI è nata la vivace lista di discussione Wister (Women for Intelligent & Smart Territories), integrata ora in un dossier speciale della Newlsetter di Forum Pa.

Per concludere, nel quadro attuale, una sintesi delle raccomandazioni per un'agenda digitale di genere, emerse da parte della rete italiana di Ecwt e dei vari soggetti attivi su questi temi, potrebbe indirizzarsi proprio all’Agenzia per l'Italia digitale. Per andare verso l’integrazione trasversale di un approccio di genere nelle politiche per l’innovazione sarebbe utile che proprio l’Agenzia si facesse carico del tema, come è avvenuto in altri contesti, si pensi alla Svezia e al programma di Vinnova, magari iniziando con la creazione di un gruppo di lavoro ad hoc.