Dati

Culle vuote per colpa della Grande Recessione? Un'analisi dei dati e delle tendenze in atto mostra che le cose variano da paese a paese, e per generazioni. La disoccupazione spinge a rinviare (o cancellare) la scelta di fare figli soprattutto nei paesi del Sud Europa e per i più giovani

Ancora meno figli
in tempo di crisi?

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Che cosa succede alla fecondità in tempo di crisi economica? La domanda è al centro di dibattiti nazionali[1] e internazionali[2], ma sono ancora pochi gli studi demografici che cercano di dare una risposta[3]. Sulle pagine di Demographic Research (la più popolare rivista scientifica on-line di studi demografici), dopo un numero speciale alla fine dello scorso anno su “incertezza economica e dinamiche familiari”, basato però sui dati pre-crisi, si è tornati di recente sul tema mettendo in relazione l’andamento della fecondità dei vari paesi europei con quello della disoccupazione[4]. I risultati dello studio suggeriscono che la crisi (anche nella sua fase iniziale, cioè nei tre/quattro anni successivi al 2008) ha lasciato un’impronta già visibile sui tassi di fecondità europei: la pur modesta tendenza alla crescita della fecondità si è arrestata in alcuni paesi (es. in Belgio, Francia, Italia, Irlanda, Slovenia, Polonia, Gran Bretagna) e si è addirittura invertita in altri  (Spagna, Grecia, Ungheria, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia).

Meno lavoro, meno figli

La crisi (misurata dalla variazione nella disoccupazione) sembra quindi avere un effetto negativo sulla fecondità. Ma la reattività della fecondità, cioè il suo cambiamento relativo rispetto al cambiamento relativo dei tassi di disoccupazione (è la cd. “elasticità”) presenta delle differenze: 1) è relativamente maggiore alle giovani età; 2) non è uguale per tutti gli ordini di nascita, ma interessa molto di più i primogeniti; 3) è più elevata, a tutte le età, nei paesi del Sud Europa; 4) è complessivamente non molto forte. Perché?

Che la fecondità dei giovani sia più sensibile all’attuale crisi economica non stupisce: sono soprattutto loro a aver subito i contraccolpi della “grande recessione”, ancor più delle crisi passate. I tassi di disoccupazione giovanile sono fino a quattro volte maggiori di quello medio. Inoltre, proprio per le classi più giovani è più facile modificare, rinviandoli, i progetti di fecondità, mentre il rinvio o la rinuncia al figlio (o ad un figlio in più) diviene più pesante per le coppie (e le donne in particolare) che sono nelle età vicine al limite biologico di procreazione.

L' impatto della disoccupazione è più forte sui primogeniti che non sugli ordini di nascita più elevati - un dato che è collegato a quanto appena detto sul maggiore effetto della crisi sulla fecondità nelle età giovani. Tuttavia, anche tra le giovani il calo dei secondo e terzogeniti è meno evidente.  Questo si può spiegare con il fatto che ormai, nelle giovani generazioni sempre più istruite, le donne che hanno più di un figlio in giovane età sono molto selezionate, ovvero sono mediamente poco istruite e meno orientate al lavoro e alla carriera (e quindi poco “sensibili” alla disoccupazione).

Tra tutti i paesi europei è in quelli dell’Europa meridionale che l’effetto di una maggiore disoccupazione incide di più sulla fecondità (si veda la figura 1, in allegato a quest'articolo). La ragione è da rintracciarsi, oltre che in un più forte impatto dell’attuale crisi sull’economia di questi paesi rispetto a quelli del resto d’Europa, nella carenza delle misure di welfare a favore delle famiglia e all’incapacità generale del sistema di welfare di proteggere i giovani dalle incertezze economiche nell’ingresso al mercato del lavoro e all’inizio della vita familiare. Nei paesi del sud dell’Europa la crisi quindi avrebbe quindi esacerbato la condizione dei giovani, già sofferenti per una difficile entrata nel mercato del lavoro, dovuta a lavori più instabili e mediamente peggio pagati rispetto ai coetanei dell’Europa centrale e settentrionale.

Complessivamente comunque l’effetto della crisi economica sulla fecondità europea sembra modesto. La fecondità media europea dal 2008 al 2012 è scesa pochissimo (da circa 1,6 al circa 1,5 figli per donna) e anche dove è scesa di più, cioè in Grecia e Spagna, il calo non è fortissimo, neanche 0,2 figli in meno. Va però ricordato, in primo luogo, come già detto, che la fecondità europea era mediamente in leggero aumento e la crisi economica ne ha interrotto il trend positivo; in secondo luogo che, comunque, l’impatto di questa crisi economica è già molto più visibile di quello di altre crisi (dalla Grande Depressione di fine anni ‘20, allo shock petrolifero degli anni ’70), che hanno inciso sulla fecondità in misura appena percettibile[5]

Un futuro incerto

Cosa c’è da aspettarsi allora nei prossimi anni? Alcune caratteristiche dell’attuale crisi economica non fanno ben sperare, soprattutto per l’Europa meridionale, Italia compresa.

Le conseguenze, anche demografiche, dipenderanno ovviamente dalla durata della crisi stessa, che è stata già molto più duratura delle precedenti. È quindi possibile che l’effetto sui comportamenti riproduttivi e familiari sia più accentuato che in precedenza e duri più a lungo.

La crisi economica, oltre a far lievitare la disoccupazione, sta contribuendo anche a rendere l’occupazione più precaria e instabile e meno remunerata, soprattutto tra i giovani, tanto per cambiare. L’incertezza economica legata all’instabilità del lavoro ha un effetto molto forte di rinvio e riduzione della fecondità, tanto più nei paesi dell’Europa meridionale, dove non c’è un supporto specifico a favore del reddito dei giovani e delle coppie giovani. Inoltre, lavori precari e poco pagati – finora proporzionalmente molto più diffusi tra le giovani donne – aumentano proprio tra coloro che tendono a dare più importanza alla stabilità lavorativa (ad esempio un contratto a tempo indeterminato) come precondizione per formare una famiglia ed avere dei figli, cioè gli uomini giovani e più istruiti[6]. Questo è confermato dal forte calo delle intenzioni di fecondità a breve termine (3 anni) dei giovani uomini italiani (più che delle giovani donne)[7].

Infine, l’effetto negativo della crisi sulle condizioni di vita dei giovani potrebbe accentuarsi nel prossimo futuro soprattutto in Italia proprio per caratteristiche del welfare familistico italiano. È noto che giovani italiani sono quelli che in Europa vivono più lungo nella famiglia d’origine, e questa caratteristica li ha senz’altro protetti dal punto di vista economico. L’effetto protettivo delle famiglie italiane sui giovani è ben visibile nel grafico 1, dove si vede che l’aumento delle difficoltà dei giovani dai 25 ai 35 anni (età nella quale nasce la maggior parte dei figli) è molto limitato rispetto ad altri paesi europei. La maggior parte di quei giovani italiani sotto i trent’anni che non trova lavoro o che ha un lavoro incerto e poco pagato vive, infatti, con i propri genitori. Ma quanto può durare quest’effetto protettivo delle famiglie d’origine se la crisi perdura?

 

Grafico 1: Variazione percentuale tra il 2007 e il 2010 dei giovani che dichiarano che hanno forte difficoltà ad arrivare alla fine del mese (dati EU-SILK)

 

Fonte: Arnstein Aassve, Elena Cottini, Agnese Vitali (2013) Youth Vulnerability in Europe and the Great Recession, Dondena Working paper 57.



[1] Linda Laura Sabbadini, “L’impatto sociale della crisi”, al Convegno AIQUAV (Associazione italiana per gli studi della qualità della vita) di Firenze, 29-31 luglio 2013.

[2] Jane Cecelia Falkingham, “The demographic impacts of the crisis: a policy oriented overview”, Investing in people. Challenges for population policies in times of crisis (EAPS at XXVII IUSSP International Population Conference, 26-31 agosto, Busan, Corea).

[4] Joshua R. Goldstein, Michaela Kreyenfeld, Aiva Jasilioniene, Deniz Karaman Orsal (2013)., Fertility reactions to the “Great Recession” in Europe: Recent evidence from order-specific evidence, Demographic Research, vol. 29, pp. 85-104.

[5] Con l’eccezione della crisi finanziaria dei primi anni ’90 in Svezia che portò a un crollo dei tassi di fecondità da 2,1 figli per donna a 1,5 in pochissimo tempo, seguiti però da un’altrettanto velocissima ripresa.

[6] Vari studi riportano questi risultati: Letizia Mencarini e Cristina Solera (2011) “Changing Paths to Adulthood in Italy. Men and Women Entering Stable Work and Family Careers”, Carlo Alberto Notebooks No. 219, October 2011; Gerda Neyer, Daniele Vignoli e Trude Lappegard (2013): Gender Equality and Fertility: Which Equality Matters? European Journal of Population 29(3): 245-272; Regnier-Loilier e Daniele Vignoli (2011) Fertility intentions and obstacles to their realisation in France and Italy, Population, 66 (2), 361-390.

[7] Emiliano Sironi, Alessandro Rosina, Giulia Rivellini “The problematic processo of family formation in Italy. A comparison before and after the beginning of the global crisis, paper presentato alla XXVII IUSSP International Population Conference, 26-31 agosto 2013, Busan, Corea. Gli autori fanno un confronto tra giovani italiani di 21-29 anni intervistati nel 2007 (dall’Istat) e altri simili intervistati nel 2012 (dall’Istituto Toniolo dell’Università Cattolica di Milano) per valutare gli effetti della recessione.

In allegato, figura 1: