Arredi urbani che tengano in considerazione le esigenze della cura e delle diverse età, classi sociali, livelli di abilità. Partendo dalle istanze degli studi di genere in architettura (per esempio pensare soluzioni per aumentare la sicurezza delle donne nella loro libertà di movimento) una serie di spunti per una progettazione architettonica non più "neutra"
Città di ogni genere.
Le smart cities inclusive
La città ha rappresentato il luogo simbolico dell’emancipazione femminile attraverso il 19°e il 20° secolo. E man mano che lo spazio/tempo urbano e pubblico si è fatto sempre meno segregato, popolato di corpi femminili, non più relegati esclusivamente ai luoghi della cura e della domesticità, le città stesse hanno cambiato volto.
I processi di urbanizzazione sembrano inarrestabili a livello globale, in Europa si stima che il 72% dell’intera popolazione viva in contesti urbani, che sono tra i più esposti alle sfide ambientali e sociali del 21° secolo, dal punto di vista per esempio dei consumi energetici e dell’inquinamento, e dove diventano molto visibili le diseguaglianze sociali ed economiche, e le povertà.
Non a caso, le parole chiave trasversali della conferenza internazionale Engendering Cities (1) sono state sostenibilità ambientale e sociale, empowerment delle donne e mainstreaming di genere, interpretate da prospettive accademiche ma anche alla luce di molte buone pratiche presentate nel corso dei lavori.
Le ragioni di una pianificazione urbana e architettonica non neutra sono state proposte e argomentate già negli anni ’70-’80 dagli studi urbani di genere. Oggi il tema genere e città è sviluppato con approcci decisamente più multidisciplinari, dove alla pianificazione urbana e dei trasporti si affiancano le scienze sociali, umane, comportamentali ed economiche, quelle ambientali, e i contributi della ricerca sulle tecnologie, ICT e non, applicate ai contesti urbani.
Al convegno, è stata Teresa Boccia del LUPT/Università Federico secondo (2) e membro di AGGI (Advisory Group on Gender Issues di UNHabitat) a richiamare la dimensione globale dei problemi affrontati mettendo l’accento sulle differenze tra ‘nord’ e ‘sud’ del mondo e tra classi sociali, ricordando le emergenze di vita delle ‘altre’ donne, in città e megalopoli ben diverse da quelle occidentali, ma anche nelle periferie dimenticate e esposte al degrado di molte città europee.
Studiose come Catherine Ross (Georgia Tech Institute of Architecture, US) hanno tratteggiato lo scenario di città ‘vitali’ (viable cities), grazie ad un design degli spazi e dei servizi che tenga conto delle differenze di genere, a patto che le donne possano essere protagoniste della cosiddetta ‘terza rivoluzione industriale’ dell’economia verde e delle fonti rinnovabili, sia come ricercatrici e progettiste che come consumatrici/produttrici (prosumers) di energia in un modello ‘distribuito’ di generazione energetica.
Tuttavia città di genere non si ottengono solo agendo sul piano tecnico, scientifico o politico ma, come ha ricordato Doris Reeves (University of Auckland, New Zealand), devono partire da quanto le reti di donne sui territori chiedono e agiscono, attivando processi di partecipazione e di ascolto verso le multiformi pratiche di innovazione sociale di cui si fanno protagoniste sui territori.
E da più voci è stata sottolineata la necessità di un approccio al genere che guardi agli intrecci delle diseguaglianze di genere con quelle di classe, provenienza geografica e culturale, età, disabilità, orientamento sessuale: una prassi di intersezionalità (3) che implica alleanze trasversali di non semplice attuazione.
Anche aspetti culturali e profondi del simbolico sono stati scandagliati da alcuni interventi come quello di Martin Haltman (Umea University, Sweden), che ha presentato i suoi studi a dimostrazione di come le culture dello ‘scetticismo sul cambiamento climatico’ siano legate a modelli precisi di mascolinità cosiddetta ‘industriale’, indisponibile a mettere in discussione il successo del progresso scientifico e tecnologico eredità del ‘900.
Le ispirazioni concrete arrivano spesso dagli esempi di buone pratiche, come quella di Vienna, analizzata e raccontata da una delle principali protagoniste, Eva Kail, che ha diretto dagli anni ’90 un’unità di genere all’interno del dipartimento di urbanistica della città. I progetti pionieristici di edilizia pubblica realizzati da architette come Franziska Ullmann hanno aperto la strada a nuove concezioni dell’edilizia residenziale, ad edifici in cui lo spazio domestico privato è posto in relazione con servizi e spazi in condivisione condominiale e di vicinato, e le infrastrutture sono progettate all’insegna dei bisogni di soggetti con carichi di cura, nel rispetto delle esigenze di vita quotidiana di una pluralità di cittadini e cittadine, diversi per età, genere, classe sociale, livelli di abilità. Dall’architettura femminista questi parametri sono diventati gli standard di sostenibilità integrati in tutta la progettazione urbanistica e architettonica di Vienna, che ad oggi continua ad applicare le linea guida del Gender Mainstreaming in Urban Planning (4).
Altro contributo progettuale di valore è stato quello presentato da UNWomen e dall’iniziativa Globale Safe Cities, finalizzato a prevenire e ridurre la violenza di genere nella sfera pubblica, aumentando anche la percezione di sicurezza delle donne, che è alla base della loro libertà di movimento e puntando sull’attivazione di comunità di vicinato sensibili a questi temi, esplorando anche le potenzialità e rischi delle nuove tecnologie.
Infine le città del futuro sono state al centro del panel Smart Cities al quale ho partecipato personalmente presentando per European Centre for Women and Technology e Università Ca’ Foscari i risultati di alcuni casi studio nell’ambito dell’Agenda di ricerca e progettazione Smart Cities Gender & Diversity (5). Tutte e tre le presentazioni della sessione (con la mia quella di Liisa Horelli docente ad Aalto University e Maria Rosaria Di Lorenzo, consulente del Ministero Sviluppo Economico) avevano un principale punto di convergenza: la convinzione per cui in un’area di intervento sulla quale convergono l’attenzione di decisori politici dal livello globale a quello locale, oltre che notevoli investimenti di ricerca pubblici e privati, è di estrema importanza portare il contributo degli studi di genere e includere nelle progettualità reti e soggetti della multiforme ‘società civile’ delle donne. La scommessa è duplice: si tratta di fare in modo che l’intelligenza e la connettività delle città del futuro non si diano senza inclusività, di genere e oltre, superando le prevalenti visioni dicotomiche che separano innovazione tecnologica e innovazione sociale. Oltre che nei processi di partecipazione e governance dell’innovazione urbana, una prospettiva di genere e inclusiva deve diventare parte integrante anche delle pratiche di progettazione delle soluzioni tecnologiche, attraverso una gamma di metodologie che vadano dal design centrato sull’utente al co-design. Solo accogliendo queste sfide che richiedono enormi trasformazioni culturali e cambiamenti di strutture di potere consolidate, è possibile progettare città intelligenti che non generino nuove cittadelle digitali fortificate attorno a stratificazioni e diseguaglianze sociali già esistenti (6).
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NOTE
(1) La conferenza internazionale “Engendering cities. Designing sustainable and inclusive urban environments for all” si è svolta a Roma il 25 e il 26 Settembre nell’ambito delle attività della rete europea COST Gender STE (Science Technology and Engineering), fondata con l’obiettivo di promuovere un’equa rappresentanza delle donne nelle discipline scientifico-tecnologiche e l’integrazione di un’analisi di genere nella ricerca e nell’innovazione. La rete è attiva dal 2013 riunendo studiose, politiche e attiviste di paesi in diversi gruppi di lavoro, uno dei quali dedicato agli studi e alle politiche urbane di genere. L’evento di Roma, che ha visto la partecipazione di oltre 300 persone, è il primo degli eventi pubblici annuali del gruppo di lavoro “Città”.
(2) Il Laboratorio Urbanistica e Pianificazione Territoriale dell’Università Federico Secondo di Napoli ospita Urbanima, una delle prime realtà di ricerca sugli studi di urbanistica di genere in Italia.
(3) Rolandsen Augustin, L. (2013). Gender Equality, Intersectionality and Diversity in Europe. Basingstoke, Palgrave & Mac Millan.
(4) City of Vienna (2013). Manual for Gender Mainstreaming in Urban Planning and Urban Development.
(5) Dal sito web sono scaricabili gli abstract delle presentazioni nelle sessioni parallele.
(6) Un’imminente occasione per proseguire il dibattito su questi temi specifici a livello nazionale e su un piano più operativo è rappresentata dall’evento di Smart Cities Exhibition, a Bologna, il 22 Ottobre, con i Laboratori di co-design di genere promossi da ECWT e la rete WISTER (Women for Intelligent and Smart Territories) dell’associazione Stati Generali Innovazione