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Il femminismo può creare un ponte tra donne di classi sociali diverse? L’Italia, rispetto ad altri paesi europei, mostra una situazione polarizzata: sono di più, rispetto agli uomini, sia le donne single che ricevono esclusivamente redditi da capitale, sia le single che sopravvivono grazie a trasferimenti familiari o statali. Ma interessi di classe e genere in alcuni casi possono corrispondere.

Donne di classe
o classe di donne?

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In un recente dibattito online, alcune economiste americane si sono domandate se il femminismo abbia difficoltà a occuparsi di classi sociali (Does feminism have a class problem?). Il dibattito riguardava in primis i conflitti di classe tra donne, ma più in generale ci si domandava se il femminismo fosse in grado di creare un ponte tra le istanze di donne di classi sociali diverse – donne con bassi redditi, donne della classe media che costituiscono negli Stati Uniti più della metà dei percettori del salario minimo, e donne dell’alta borghesia che combattono per abbattere il soffitto di cristallo che blocca le loro carriere  – al fine di definire un’agenda economica che possa servire gli interessi di tutte le donne. In questo articolo si vuole dare un contributo in questa direzione, andando ad analizzare la struttura di classe in Europa (e in particolare in Italia) usando una prospettiva di genere.

Le classi sociali sono rimaste a lungo oggetto d’interesse per storici, sociologi e antropologi, ma non per economisti. Un “ritorno di fiamma” sembra essersi verificato solo recentemente di fronte all’evidenza di una crescente disuguaglianza nei redditi individuali (OECD, 2008; 2011), nella distribuzione fra capitale e lavoro (Karabarbounis e Neiman, 2012; Neiman, 2013; Rodriguez e Jayadez, 2010) e nei termini di polarizzazione della struttura occupazionale (Eurofound, 2013).

C’è stato un tempo, però, in cui di classi sociali si dibatteva, essendo queste ultime al centro dell’analisi economica intensa come studio dei processi di produzione e distribuzione delle risorse all’interno del circuito economico. Era il tempo dei cosiddetti economisti Classici, per i quali, con le dovute differenze, le classi sociali sono definite in termini di partecipazione al processo produttivo e distribuzione dei proventi dello stesso, secondo un meccanismo di creazione del valore. Ed è proprio riprendendo l’approccio analitico dei Classici, che un recente articolo cui s’ispira la nostra analisi, propone una concettualizzazione delle classi sociali, che cerca di conciliare l’attenzione verso i processi di creazione del valore nei termini di distribuzione funzionale del reddito con un focus di genere. (1) In particolare, il genere assume rilevanza in due contesti principali: all’interno del nucleo familiare e nel mercato. Nel primo caso, il riferimento è ai processi di produzione non formale che avvengono nel settore domestico e che consentono in molti casi la “riproduzione” della forza lavoro. L’economia domestica intesa come produzione e scambio di servizi all’interno dei nuclei familiari sfugge alla contabilizzazione ufficiale, non è orientata al mercato, ma all’autoconsumo familiare. Nella sfera dell’economia “familiare” informale, il ruolo del genere è rilevante in termini di carico d’ore di lavoro e suddivisione delle mansioni. Anche nel caso del reddito prodotto sul mercato, attraverso processi formali di produzione e della sua distribuzione fra gli attori coinvolti, il genere conta alla luce della differente partecipazione di uomini e donne al mercato del lavoro.

Restringendo il focus alle sole attività di distribuzione monetaria legate al mercato si può analizzare empiricamente la distribuzione in classi degli individui, utilizzando la base dati EU SILC (2012). In particolare, lo schema di classe ipotizzato prevede l’esistenza di tre formazioni sociali legate alla distribuzione funzionale del reddito: la classe dei “lavoratori” costituita da tutti quei soggetti la cui fonte di reddito è esclusivamente da lavoro; la classe dei “capitalisti” il cui reddito è esclusivamente da capitale e rendita; la classe “media”, come classe residuale, configurandosi come la classe di chi percepisce sia redditi da capitale che da lavoro, e reddito misto da lavoro autonomo (self-employment).

La distribuzione e redistribuzione del reddito monetario all’interno del circuito economico avviene in tre principali ambiti: Stato, mercato e famiglia.

Ciascuna famiglia può assumere due posizioni rispetto allo Stato e al mercato. Rispetto al primo, la famiglia può essere beneficiaria di trasferimenti, o piuttosto trasferire risorse a sua volta allo Stato sotto forma di tasse su proprietà e consumi. Rispetto al mercato, ciascuna famiglia ricade in una delle tre classi prima descritte secondo la natura del reddito percepito.

Il posizionamento della famiglia all’interno di una classe non mette tuttavia in luce le dinamiche di distribuzione del reddito all’interno della famiglia stessa, e pertanto il ruolo del genere nei meccanismi di stratificazione sociale. In tal senso, risulta necessario individualizzare i redditi percepiti all’interno della famiglia, in particolare per alcune forme di reddito da capitale, trasferimenti sociali e pagamento delle tasse.

Restringendo l’analisi all’Italia e ipotizzando uno scenario di full-sharing all’interno della famiglia – che prevede un’equa ripartizione delle risorse fra gli adulti che compongono il nucleo famigliare -, la classe media risulta essere dominante tanto in Europa quanto in Italia (come si mostra nella Figura 1 in alto sulle Classi sociali in Italia ed Europa per genere che utilizza dati EU SILC, 2012). La percentuale d’individui di sesso maschile che percepiscono entrambe le forme di reddito, sia da capitale che da lavoro, supera il 50% sia in Italia che in Europa. Rispetto alla media europea, le donne italiane sembrano essere più presenti fra i “capitalisti” e la classe media; inferiore alla media europea è invece la loro presenza tra i “lavoratori”. Ma è davvero così? Le donne italiane sono in media più “di classe” rispetto alle europee?

 In realtà, se guardiamo alla porzione di chi dipende da trasferimenti inter-familiari e sussidi statali, la quota delle donne è maggiore rispetto a quella degli uomini, sia in Italia sia in Europa.

Se restringiamo il focus della nostra analisi alle famiglie composte da un solo componente - al fine di limitare le distorsioni derivanti da un inappropriato scenario di suddivisione delle risorse all’interno del nucleo familiare - emerge per le donne una situazione più polarizzata rispetto a quella degli uomini. In questo caso l’analisi riguarda single con figli e single senza figli (Figura 2).

Figura 2. Distribuzione per classi dei single con figli e single senza figli (dati EU SILC, 2012)

Distribuzione per classi dei single con e senza figli 

Fra i single senza figli, la quota di donne che riceve reddito da capitale è sorprendentemente più elevata rispetto a quella degli uomini single (2). Tuttavia, se guardiamo nel dettaglio, le donne single senza figli che si trovano in situazione di dipendenza da sussidi (inter-familiari o statali) sono oltre il 30%, contro il 21% dei corrispettivi uomini. Ben il 16% delle donne single con figli dipendono da trasferimenti inter-familiari o statali e non percepiscono alcun tipo di reddito; nessun uomo single con figli appartiene a questo gruppo.

Sembrerebbe dunque che in Italia la situazione “di classe” delle donne sia più polarizzata rispetto a quella degli uomini, con una maggiore concentrazione, agli estremi dello schema di classe ipotizzato, rispetto a quella degli uomini. In particolare, i nuclei familiari composti da un solo adulto e che si trovano in condizioni di dipendenza dal welfare o da trasferimenti inter familiari sono per lo più di genere femminile.

Dai nostri dati emerge quindi che la partecipazione al processo produttivo e la tipologia di reddito percepito o non percepito sono influenzati da componenti di genere, soprattutto se si guarda agli esclusi da quel processo stesso. Da questo punto di vista, il “mix di welfare per sopravvivere” proposto da Ugo Ascoli ed Emmanuele Pavolini potrebbe essere un buon punto di partenza per agire a monte di quella espulsione dal mercato del lavoro, foriera di pura dipendenza da trasferimenti statali.


(1) Corsi, M. e D'Ippoliti, C. (2013), "Class and gender in Europe, before and during the economic crisis", CEB Working Papers, n. 13-027, Université Libre de Bruxelles.
(2) Tra le donne single che percepiscono esclusivamente reddito da capitale, il 63% di quelle senza figli è composto da vedove con un'età media di 75 anni, mentre il 52% di quelle con figli sono donne divorziate con un'età media di 46 anni. In entrambi i casi, la posizione di "capitalista" delle donne single risulta correlata a una precedente esperienza matrimoniale. 

Riferimenti bibliografici

Eurofound (2013), Job quality and employment polarisation in the  crisis. Dublin.
Neiman, B. (2013), “The Global Decline of the Labor Share”. The Quarterly Journal of Economics, vol. 129(1), pp. 61-103.
Karabarbounis, L. e Neiman, B. (2012), “Declining Labor Shares and the Global Rise of Corporate Saving”. NBER Working Papers, n.18154.
OECD (2008), Growing Unequal? Income Distribution and Poverty in OECD Countries: Income Distribution and Poverty in OECD Countries, Paris.
OECD (2011), Divided We Stand: Why Inequality Keeps Rising, Paris.
Rodriguez, F. e Jayadev, A. (2010), “The Declining Labor Share of Income”. UNDP Human Development Research Paper, n. 2010/36.