Politiche

Crescono i riconoscimenti, sale la presenza femminile. Ma i dati mostrano che scienza e tecnologia non differiscono da altri settori lavorativi in quanto a segregazione femminile. Perché la scienza non è neutra, e molto resta ancora da fare

Donne e scienza,
non basta un Nobel

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L'Accademia delle Scienze di Stoccolma quest’anno ha conferito a ben cinque donne il prestigioso premio Nobel, istituito nel 1901: di queste cinque donne, tre sono scienziate, l'australiana Elizabeth Blackburne e la statunitense Carol Greider per la medicina, e l'israeliana Ada Yonath per la chimica. A ciò si aggiunge che per la prima volta il premio Nobel per l'economia è stato dato alla politologa statunitense Elinor Ostrom.

Questo importante risultato non deve far dimenticare che la posizione delle donne nei settori scientifici e tecnologici non è ancora equiparabile a quella degli uomini, come emerge dalla recente ricerca svolta in ambito comunitario PRAGES (1) e dalla pubblicazione delle She Figures 2009 da parte della Commissione europea.

Dalle risultanze di questi studi, appare evidente come scienza e tecnologia presentino caratteristiche simili ad altri settori lavorativi in quanto a segregazione femminile, sia verticale sia orizzontale, con un evidente squilibrio a favore degli uomini. Ciò è frutto di dinamiche contrastanti, che incidono anche sul ritmo dei progressi in questi campi, che si rivelano estremamente lenti.

Anche se è possibile osservare una crescente presenza femminile nei percorsi universitari a carattere scientifico, ciò però non si traduce in una maggiore presenza lavorativa nei relativi settori d'impiego.

Varie sono le dinamiche che interferiscono nello sviluppo di carriera delle donne in ambito scientifico, se comparato con quello degli uomini.

Fonte: She Figures 2009; dati Education Statistics (Eurostat), WiS database (European Commission - DG Research).

Nota : ISCED 5A =Laurea o titolo assimilabile; ISCED 6= Dottorato; Grado C= Ricercatori; Grado B= Associati; Grado A:= Ordinari

 

Non è una novità che le donne si fermino ai livelli più bassi della scala occupazionale, sparendo gradualmente man mano che si sale verso i posti di comando (si veda la figura 1). Ad esempio, nell’Unione europea le donne occupano soltanto l’11% delle posizioni accademiche più elevate (professori ordinari) in campo scientifico.

Questa segregazione verticale però non è l'unica a incidere sulle carriere delle donne. Esiste anche una segregazione orizzontale, ossia una concentrazione di donne in alcune discipline, o in alcuni settori o incarichi all'interno di una disciplina.

Oltre a ciò vi sono chiare prove della persistenza di divari salariali rispetto agli uomini, di difficoltà nell'accedere alle risorse, di squilibri nella valutazione del merito scientifico e di conseguenza nella possibilità di pubblicare e di depositare brevetti, per non parlare della sopravvivenza di stereotipi di genere su donne e scienza.

Il fenomeno è pertanto complesso e in esso si possono individuare alcune aree principali di esclusione, in particolare l'ostilità di alcune caratteristiche dell'ambiente scientifico e tecnologico verso le donne e la pratica e la concezione maschile della scienza.

Sono molti gli elementi che rendono, di fatto, l'ambiente scientifico e tecnologico ostile alle donne. Ad esempio, scienza e tecnologia sono considerate discipline che richiedono una totale dedizione, che male si concilia con una vita familiare.

Tuttavia l'elemento più caratteristico è che la scienza è considerata disciplina obiettiva e meritocratica, per cui la si ritiene insensibile alle questioni di genere. Tale presunta neutralità di genere rende ancora più subdoli e nascosti i meccanismi di segregazione, spesso ignorati persino dalle donne stesse.

A fronte di una maggior presenza femminile nelle facoltà scientifiche e in settori lavorativi a predominanza maschile rispetto al passato, le strutture discriminatorie sembrano essere ancora profondamente radicate in questi settori, generando sempre nuovi meccanismi di segregazione.

In termini assoluti sono ancora poche le donne nelle facoltà scientifiche e ancora meno nei diversi settori scientifici, e tale scarsità non incoraggia le donne a seguire questo tipo di carriera e a costituire delle reti tese a favorire il lavoro di ricerca.

In effetti, le attività di cura nella sfera familiare e le interruzioni di carriera per maternità hanno spesso un ruolo nel ridurre il tempo che le donne possono dedicare a quelle attività informali caratteristiche del fare rete (come ad esempio stringere rapporti con colleghi durante congressi e seminari), impedendo loro di stringere quelle relazioni informali, che costituiscono un elemento importante della ricerca scientifica.

E sono proprio i conflitti che insorgono tra vita familiare e lavorativa a esercitare spesso una pressione tale da spingere le donne ad adattarsi a un modello di carriera ridotta per occuparsi di figli e anziani – considerando anche la scarsità di servizi di cura cui possono ricorrere.

I pochi modelli che sono poi offerti spesso rappresentano figure di scienziate totalmente dedite alla loro ricerca e che hanno abdicato a qualsiasi ruolo in ambito familiare.

Anche l'immagine stereotipata dello scienziato ha un ruolo nello scoraggiare le giovani donne dall'intraprendere una carriera in ambito scientifico. La razionalità dell'attività scientifica viene infatti presentata in modo da apparire incompatibile con un’altrettanto stereotipata immagine femminile, orientata verso gli aspetti emotivi, che privilegiano la soggettività.

Inoltre la forte concorrenza che si pensa sia una caratteristica del mondo della ricerca, richiede un'aggressività ritenuta più propriamente maschile.

Nei media le figure di scienziate sono rare, e non riescono a invogliare le giovani donne a seguirne le orme.

Tutto ciò sembra scoraggiare le donne da intraprendere una carriera scientifica, sentendosi inadeguate e poco rappresentate in tali campi, per cui il rilevante flusso in uscita di donne dalle facoltà scientifiche s'inaridisce man mano che si procede per gli scalini della carriera, non riuscendo a raggiungere quella massa critica agli apici della disciplina che renderebbe più accogliente per le donne l'ambito scientifico.

E' quindi fondamentale che gli stessi protagonisti del mondo della scienza e della tecnologia ripensino alla presunta neutralità di genere dei loro campi, e creino le condizioni affinché si eviti lo stillicidio di potenzialità femminile che oggi priva tali discipline da contributi che potrebbero essere essenziali per il loro sviluppo.

Per approfondimenti: Associazione Donne e Scienza, Piattaforma Europea Donne nella Scienza, Unità Donne e Scienza della Commissione Europea.

(1) Si tratta dello studio Practising gender equality in science (PRAGES), realizzato da un consorzio composto da 11 enti di vari paesi : il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Italia, coordinatore del progetto); l’Assemblea delle donne per lo sviluppo e la lotta all'esclusione sociale (ASDO - Italia); l’Hungarian Science and Technology Foundation (TETALAP ­ Ungheria); l’Università di Aarhus (Danimarca); l’Università di Manchester (Regno Unito); l’Università di Milano Statale (Italia); l’Università di Milano Bicocca (Italia); la School of Management del Simmons College (Stati Uniti); l’Università di Cambridge (Regno Unito); l’Università del Queensland (Australia); l’Istituto Universitario Europeo (Italia). Il progetto partecipa al Settimo Programma Quadro per le attività di  ricerca e di sviluppo tecnologico della Commissione Europea.