Fisco per le donne,
un Renzi in due staffe
Tra le "cento proposte" dell'esponente Pd, spuntano le aliquote rosa per incentivare l'occupazione femminile. Ma anche il quoziente familiare, che invece la disincentiva. Due ipotesi in contrasto tra loro: meno tasse per le donne che lavorano, o per i coniugi di quelle che non lavorano?
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Finalmente l'emergenza della bassa occupazione femminile è entrata anche nel dibattito politico: si comincia a capire che metter mano a tale questione può aprire una via d'uscita in più, e innovativa, dalla crisi economica che stiamo vivendo. E' tuttavia necessario maneggiare con cura gli strumenti che potrebbero servirci per raggiungere l'obiettivo, e stare attenti a non confonderli o peggio a darceli sui piedi.
L'occasione per una discussione nel merito delle politiche e degli strumenti ci è fornita dalle “cento proposte” lanciate dal sindaco di Firenze Matteo Renzi nel meeting “Leopolda 2011” a fine ottobre (evento che ha avuto un impatto politico molto forte, e una grandissima attenzione mediatica, che però è stata solo in piccola parte dedicata al merito delle proposte raccolte e lanciate dall'esponente del Pd).
In tal spirito va segnalata una certa confusione che viene fuori dalla lettura di due delle proposte.
Al punto 38, sotto il capitolo “far quadrare i conti per rilanciare la crescita”, si lanciano le “aliquote rosa”. Ecco il testo: “L’Italia ha la più bassa percentuale di occupazione femminile d’Europa. Anche il tasso di attività femminile, cioè il numero di donne che si presenta sul mercato del lavoro, è il più basso. Un’agevolazione fiscale riservata all’assunzione delle donne e per un certo congruo numero di anni può portare a riallineare in alto la parità uomo donna sul piano del lavoro”. Se il testo, riferendosi a incentivi all'assunzione, può far pensare a sgravi una tantum per le imprese che assumono donne, il titolo - “aliquote rosa” - fa presumere invece che si parli di riduzioni fiscali per i redditi da lavoro delle donne neoassunte. Insomma, un fisco di favore per le donne, per spingerle sul mercato del lavoro. Una proposta avanzata in modo più chiaro sul Sole 24 Ore l'8 marzo da Andrea Ichino e Alberto Alesina, poi rilanciata da un decalogo “per dare una scossa all'Italia”, firmato stavolta dallo stesso Alesina con Francesco Giavazzi. Alla base della proposta vi è l'ipotesi che il livello di tassazione – dunque la differenza tra il reddito lordo e il netto percepito in busta paga – sia tra le determinanti della scelta di molte donne di restar fuori dal mercato del lavoro: riducendo la tassazione, e dunque aumentando il salario netto, aumenterebbe l'incentivo a lavorare. Mettiamo per un attimo da parte le perplessità che, soprattutto in un periodo di recessione, può suscitare quest'ipotesi (tutta concentrata sull'offerta di lavoro, e sulle sue motivazioni, piuttosto che sulla domanda di lavoro da parte delle imprese, che assumono poco e assumono poche donne). Anche prendendola per buona, sulla stessa efficacia del meccanismo, e dunque sulla opportunità di intraprendere questa come strada privilegiata per far aumentare l'occupazione femminile, sono stati sollevati diversi dubbi teorici e tecnici: si legga ad esempio su questo stesso sito l'articolo di Ugo Colombino, che ne mette in discussione l'efficacia, e ne sottolinea il forte contrasto con “il carattere universalistico e basato sul reddito” della tassazione.
Lo strumento delle aliquote rosa dunque, anche se gode di ottima stampa e facile popolarità, andrebbe approfondito un po' di più. Ma soprattutto, andrebbe poi reso coerente con il resto del programma. Salta agli occhi, qualche decina di proposte dopo quella delle “aliquote rosa”, un altro punto del documento di Renzi relativo al fisco, stavolta sotto il capitolo “Per una comunità solida e solidale”. Ed è il punto 87, dove si propone il quoziente familiare: “Fa parte della realtà italiana che la famiglia sia il luogo di raccolta non solo della solidarietà ma anche dei redditi. Si ricalcolino le aliquote fiscali considerando il quoziente familiare. A parità di reddito paghi meno la famiglia con più componenti”. Anche il quoziente familiare è uno strumento che gode di buona stampa e facile popolarità: chi non vuole aiutare le famiglie? Purtroppo però un meccanismo come quello del quoziente favorisce solo alcune famiglie: quelle monoreddito con più figli e più alto reddito. E poiché per “monoreddito” in Italia si intende nella maggior parte dei casi il reddito del maschio, il quoziente familiare finisce per disincentivare il lavoro femminile. Ampie dimostrazioni di tale effetto si trovano nell'articolo scritto per questo stesso sito da Carlo D'Ippoliti, “Attenti alla trappola del quoziente familiare” e nell'intero nostro dossier sulla questione. I contraccolpi negativi sul lavoro femminile del quoziente familiare sono stati sottolineati anche nell'audizione della Banca d'Italia al senato, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla riforma fiscale e assistenziale, il 13 ottobre scorso, nella quale si legge: “Il passaggio dal sistema attuale a uno basato sul quoziente familiare comporterebbe una riduzione dell’aliquota marginale del coniuge con reddito più alto. Il risparmio di imposta sarebbe più marcato per i contribuenti con redditi elevati e aumenterebbe al crescere della disparità di reddito all’interno del nucleo familiare; ciò potrebbe disincentivare la partecipazione al mercato del lavoro del secondo coniuge (...). Ne risulterebbero avvantaggiate le famiglie monoreddito con un numero elevato di componenti”.
Dunque, le cento proposte di Renzi rischiano di litigare tra loro. In un punto, si riducono le tasse alle donne che lavorano; in un altro, si riducono le tasse ai mariti delle donne che non lavorano. Quale dei due incentivi economici vincerà? Un quesito interessante, per i modelli degli economisti. Forse però, vista l'urgenza della questione e le ristrettezze della finanza pubblica, converrebbe scegliere con maggiore attenzione obiettivi e strumenti.