Le ragazze visionarie
del G(irls)20

"Siamo giovani, ma non siamo piccole. Non siamo ingenue, bensì coraggiose". Il racconto della rappresentante per l'Italia al G(irls)20 di quest'anno. Un summit che ha visto all'opera ragazze tra i 18 e i 23 anni con un sogno comune: l'empowerment femminile
Articoli correlati
Una carriera gratificante, un partner amorevole, una famiglia allegra. Quarant'anni dopo la pubblicazione del libro-icona Having it all, oggi per una donna "avere tutto" suona più come un dovere che come un incoraggiamento. E si dovrebbe parlare del vero prezzo della conciliazione a tutti i costi
Cosa pensano le ragazze dei corpi e delle identità? Ne parliamo con Francesca Brunori e Silvia Marino, due laureate che dopo aver partecipato alla Rena Summer School hanno fondato il collettivo Anomala, per costruire una lettura femminista del presente
Politiche di genere in agricoltura: un’occasione storica da non perdere secondo Actionaid, che dal 2016 porta avanti nell'arco ionico il programma 'Cambia Terra', per garantire i diritti e l'empowerment delle agricoltrici nel Mezzoggiorno
Si chiude l’esperienza di FabriQ, incubatore sociale guidato dalla Fondazione Giacomo Brodolini, a Milano. Le coordinatrici raccontano tappe e traguardi di un progetto che in 7 anni ha incubato 73 start up
Il 6 Ottobre si sono conclusi a Istanbul, in Turchia, i due giorni del sesto Summit di G(irls)20.
G(irls)20 è una ONG che promuove la leardership delle giovani donne e lo fa organizzando ogni anno, nel paese che ospita il G20, un summit con delegate tra i 18 e i 23 anni che rappresentano i paesi membri. Al termine del loro incontro le delegate stilano un documento che viene presentato ai leader del G20.
Quest’anno, sono stata selezionata per rappresentare l'Italia. Quando ho presentato la mia candidatura non potevo immaginare quanto sarebbe stato impegnativo ed entusiasmante partecipare. Quando Farah Mohamed mi ha contattata per dirmi che avevano scelto me, ho sentito una vera e propria scarica di adrenalina. Niente, però, in confronto a ciò che avrei provato una volta a Istanbul.
Investita del ruolo di delegata italiana l’8 marzo, è per me subito iniziato un lungo percorso di formazione pre-summit che ha incluso la preparazione di un documento in cui esponevo il mio punto di vista sulla condizione delle donne in Italia e l’analisi di rapporti nazionali e internazionali su tematiche riguardanti l'uguaglianza di genere. Nonostante avessi già partecipato a eventi internazionali dedicati ai giovani, non avevo mai vissuto niente di paragonabile al livello di condivisione e confronto che ho vissuto in Turchia.
Al Girls20 ho incontrato venticinque giovani donne davvero in gamba, provenienti dagli angoli opposti del pianeta, dall’Arabia Saudita all’Argentina, dal Canada alla Nigeria passando per l’Australia, la Korea e l’Olanda, di credo religiosi, colori, e aspirazioni molto diversi. Nonostante le grandi differenze, il legame tra le delegate è stato subito molto forte e ha infuso in tutte noi un profondo senso di appartenenza e speranza. L’essere in relazione e la voglia di confronto ci hanno permesso di affrontare questioni spinose e argomenti difficili in cui ognuna ha dovuto esaminare e mettere in discussione le proprie posizioni.
Prima del summit, l’affiatamento e la preparazione tecnica del gruppo sono stati messi alla prova da tre intense giornate di workshop. Spaziando su un largo spettro di tematiche - l’utilizzo e l’approccio ai media, l’acquisizione di competenze di leadership, e la valutazione di sostenibilità progettuale - i workshop ci hanno permesso di sviluppare molti dei temi che vengono posti in secondo piano quando si parla di empowerment femminile: abbiamo discusso di cosa significano femminilità e mascolinità, della necessità di chiamare gli uomini al tavolo delle trattative, dell’esigenza di aprire il vaso di pandora chiamato ‘gender’, della parzialità del femminismo liberale, del ruolo dei media nello sviluppo di discussioni di genere, del bisogno di passare da diritti su carta a diritti assicurati, e di come rendere concreta la parola empowerment. Invece di rimarcare differenze abbiamo incanalato le nostre forze e i nostri ideali in modo che la somma fosse più grande dell’insieme delle singole parti.
Il risultato delle discussioni, dei workshop, dei mesi di preparazione, e dell’incredibile condivisione personale e professionale sono confluiti nella produzione di un comunicato finale con l’obbiettivo di fornire ai leader del G20 misure pratiche per il raggiungimento dell’obbiettivo lanciato dallo stesso G20 nel 2014 in materia di empowerment economico femmile. Lo scopo è quello di creare centomila posti di lavoro per le donne di tutto il mondo entro il 2025.
La seduta di delibera del comunicato ha avuto luogo il 7 ottobre, e ha portato alla produzione di un documento snello che fornisce suggerimenti concerti per lo sviluppo di politiche dedicate a tre principali ambiti: la creazione di posti di lavoro, il mantenimento e il reinserimento delle donne nella forza lavoro, e la formulazione di misure inclusive per le categorie più vulnerabili. Durante la seduta di delibera del comunicato ho pensato a quanto questa esperienza è stata importante per me, e per descriverla mi viene in mente solo "empowered": resa più potente, peccato che in italiano non abbiamo una parola per dirlo. Proverò a spiegarvi cosa tutto questo ha significato per me.
In una società così attaccata alla corporalità delle donne e radicata nelle sue tradizionali divisioni di genere, l’empowerment femminile in Italia sembra ancora una realtà molto lontana e rimossa dal dibattito pubblico. Empowerment, per esempio, è essere ascoltate con rispetto durante le riunioni lavorative, è essere viste come cervelli prima che come corpi. È non ricevere complimenti solo per come ci si è vestite. Empowerment è poter camminare per strada senza dover sentire alcun apprezzamento sul proprio corpo, poter interpretare e scegliere autonomamente che tipo di femminilità rappresentare. Empowerment è avere genitori che non fanno alcuna discriminazione tra figli e figlie, tanto meno nel modo in cui li indirizzano nelle proprie scelte personali e professionali. È avere scuole che incoraggiano gli alunni a puntare in alto, indifferentemente dal sesso, e che attivino un dibattito critico su cosa significhi ‘essere donna’ ed ‘essere uomo’. Empowerment è non dover decidere tra maternità e lavoro ma poter decidere di esser madre e lavoratrice, è non essere automaticamente associata ad alcuni doveri nei confronti della propria famiglia solo in virtù dell’essere donna. Ed è esattamente questo il regalo più grande donatomi da questa esperienza: sapere cosa significhi essere avvolta da una comunità che supporta, incoraggia, e valorizza le donne. È stato pertanto inevitabile pensare quanto il concetto di empowerment non debba essere relegato solo ai campi della politica e della legislazione, ma come esso in realtà rappresenti un approccio alla vita, una nuova configurazione della società.
Oggi, guardandomi intorno, è rimasto ben poco del confortevole senso di empowerment provato in Turchia. Se in un primo momento, una volta tornata in Italia, il sentimento principale è stato quello di sconforto, l’aver vissuto in un ambiente così sano, positivo, e propositivo per dieci giorni mi ha permesso di trovare forze e speranze prima nascoste.
Non mi arrendo. E sono sicura che, nonostante le loro ben diverse difficoltà, neanche le altre delegate si stiano arrendendo. Così come milioni di donne in tutto il mondo che affrontano, giorno dopo giorno, la condizione di svantaggio storico femminile. A coloro che rabbrividiscono davanti alle parole femminismo, gender, ed empowerment, e che spesso ci hanno accusato di essere naive, ingenue, o semplicemente ‘troppo piccole’ per capire e cambiare il mondo, oggi, per la prima volta, mi sento di poter rispondere.
Siamo giovani, ma non per questo piccole. Siamo visionarie e naive solo nella misura in cui questo significa avere dei sogni, e rimboccarsi le maniche per raggiungerli. Siamo studentesse, lavoratrici e donne ben consapevoli delle difficoltà del mondo reale e pronte, nonostante tutto, a fare la nostra parte. Non siamo ingenue, bensì coraggiose. Siamo tante a volere un cambiamento, e ancora di più a dedicarsi alla costruzione di una realtà quotidiana che ci permetta di nutrire la parte migliore di noi e di far fiorire una società finalmente inclusiva.