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Libere di scegliere
con Chayn Italia

Foto: Unsplash/ Katy Anne

Oltre venti volontarie con diverse competenze sparse in tutta Europa e legate da una passione comune, quella per le nuove tecnologie. È la squadra di Chayn Italia, piattaforma nata con l'ambizione di contrastare la violenza sulle donne a partire dalle scelte che ognuna può fare per sé

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Tra i progetti selezionati dal contest Libere: tecnologie innovative per la prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne c’è Chayn Italia, piattaforma web nata con l’ambizione di contrastare la violenza sulle donne con l’aiuto delle tecnologie digitali e animata da oltre 20 volontarie localizzate in diverse parti d’Europa e con diverse competenze, esperienze e passioni. Ne parliamo con Chiara Missikoff, ricercatrice presso Sociolab sui temi della partecipazione e dell’innovazione sociale, tra le co-fondatrici della piattaforma.

Da che tipo di esigenza nasce Chayn Italia?

Chayn nasce per far fronte a un’esigenza sempre più comune: in momenti di difficoltà, il web è spesso la prima risorsa che viene consultata per cercare informazioni. Per chi vive una relazione violenta quello virtuale può risultare un luogo ostile: è difficile trovare spazi che contengano materiali di semplice lettura e fruizione, o che forniscano una collezione di strumenti tecnologici che possano essere utilizzati con velocità e sicurezza. L’obiettivo di Chayn Italia è proprio quello di fornire supporto a chi utilizza il web come primo momento di attivazione per riprendere il controllo della propria vita. La co-progettazione della piattaforma e dei suoi contenuti è avvenuta con la collaborazione di oltre 60 persone tra operatrici di centri antiviolenza, progettiste, ricercatrici, psicologhe, programmatrici web e donne che sono uscite da relazioni violente. Ci teniamo a specificare che non vogliamo assolutamente sostituire i servizi sul territorio (e in particolare i centri anti-violenza), quanto piuttosto creare un ponte che faciliti l’accesso a questi servizi sostenendo il processo di consapevolezza di chi legge i nostri materiali.  

E nel 2016 avete deciso di prendere parte a “un grande progetto gender-tech”, raccontaci meglio…

La piattaforma italiana è stata lanciata nel marzo 2016, ma in realtà il lavoro dietro le quinte è cominciato sei mesi prima grazie alla collaborazione di un gruppo di volontarie sparse soprattutto tra Italia e Regno Unito. Tutto è nato a Londra, dall’incontro tra Elena Silvestrini e Hera Hussain, la fondatrice di Chayn HQ. È stata Elena a pensare di portare Chayn in Italia, un paese in cui la violenza domestica è ancora considerata una questione privata invece che sociale e dove l'uso della tecnologia come strumento per informarsi e combattere la violenza di genere è ancora poco diffuso. Tramite contatti personali e call sul web, il gruppo di lavoro è presto diventato una rete di professioniste, attiviste e donne che, costrette a emigrare o resistenti sul territorio italiano, hanno deciso di collaborare al cambiamento sociale in Italia lanciando un progetto dal profilo fortemente innovativo e, sì, gender tech. Il progetto combina infatti le tematiche di genere con l’utilizzo di strumenti digitali e i nuovi approcci collaborativi: tutti i materiali prodotti sono open-source e co-prodotti a partire dalle diverse expertise presenti nel team.

Quello che state replicando in Italia è un modello già sperimentato da Chayn in Pakistan e in India, in cosa consiste andando più nel dettaglio?

Chayn Italia è parte di una rete più ampia nata prima in India e Pakistan. La piattaforma italiana di fatto replica il modello ideato per questi paesi, ma ne ha adattato i contenuti sulla base delle diverse esigenze e caratteristiche di contesto (a partire dalla lingua, passando per l’uso della tecnologia, il ruolo dei centri antiviolenza, la presenza di forti reti femministe, diverse pratiche di volontariato e collaborazione online, ecc). L’innovazione sta nella natura ibrida del modello: è infatti un punto d'incontro tra l’esperienza dei centri antiviolenza, le esigenze delle utenti e la collaborazione tra professioniste di diversi settori. Inoltre, si tratta di un modello altamente replicabile, per questo stiamo lavorando alla guida Come portare Chayn nel tuo paese 

E voi come ci siete riuscite?

È un lavoro molto faticoso perché facciamo tutto su base volontaria e in remoto, il che presenta diverse difficoltà. Comunque pensiamo che sia un progetto sempre più necessario, anche sulla base del riscontro che stiamo avendo. Tutte le persone che si avvicinano a Chayn mettono impegno, capacità, conoscenze e volontà nonostante gli impegni e il lavoro retribuito che tutte portiamo avanti quotidianamente. Abbiamo trovato un nostro equilibrio tra comunicazione agile, strumenti di gestione di progetti e metodologie per la partecipazione online/offline. Al momento siamo circa 20 volontarie distribuite geograficamente in varie regioni d'Italia (con una rappresentazione abbastanza equilibrata di nord, centro e sud) e in alcuni paesi d’Europa. Ciò consente di sviluppare partnership e azioni in più sedi, aumentando il raggio di impatto degli strumenti che creiamo. 

In che modo il vostro progetto sta portando innovazione nel contrasto alla violenza di genere in Italia?

Siamo partite dalla consapevolezza che solo le donne possono prendere la decisione di uscire da una relazione violenta: all’interno di Chayn Italia vengono realizzati materiali facilmente accessibili e non giudicanti. Il lato più innovativo del nostro progetto è l’approccio che abbiamo deciso di adottare, e che in inglese si potrebbe chiamare survivor led. Molte persone del team hanno vissuto e lasciato relazioni violente e hanno deciso di fornire la loro prospettiva all’interno di Chayn, contribuendo a rendere i nostri materiali inclusivi ed efficaci. Consideriamo questo aspetto un meta-empowerment capace di avere un impatto di per sé: l’utilizzo delle proprie esperienze per aiutare altre donne che stanno attualmente vivendo circostanze simili. È grazie a questo approccio che i contenuti che condividiamo rispecchiano un reale scambio di esperienze, punti di vista, pratiche e strumenti per narrare, affrontare, decostruire e liberarci dalla violenza di genere, riflettendo la molteplicità dei percorsi di vita. A questo, si affianca un’attenzione sempre alta all'architettura dell'informazione (la cosiddetta ux) e alla componente visuale: la piattaforma è strutturata e disegnata in modo da creare uno spazio piacevole e safe, dove le utenti possono immediatamente capire che c'è una presenza attiva dietro lo schermo. 

Perché, e con quali obiettivi, avete deciso di partecipare al contest di Libere? 

Quando abbiamo trovato il contest di Libere abbiamo pensato che fosse fatto proprio per noi. Crediamo che anche lo spazio virtuale debba essere interessato dai temi della violenza di genere, e che sia importante dare visibilità a tutti quegli strumenti che sfruttano le nuove tecnologie per supportare la fuoriuscita da relazioni violente. La call di Libere ci è sembrata un’opportunità vantaggiosa per far conoscere il nostro progetto ed entrare in contatto con altre realtà che vedono nel web una potenziale risorsa per combattere la violenza di genere. Inoltre, confrontandoci con il lavoro delle nostre piattaforme sorelle, ci siamo rese conto che in Italia è ancora presente un forte gap di genere nell’uso e nello sviluppo delle tecnologie. Grazie al contest di Libere ci auguriamo di poter allargare la nostra rete entrando in contatto con altre donne programmatrici, ux designers, e professioniste del digitale.