Emma Hausbacher, Elise Überbacher, Emilia Holzgärtner Wimmer, Hedwig Hellenstainer, Maria Piaz de Pavarin. Non solo imprenditrici di strutture alberghiere, ma anche intraprendenti promotrici di funivie e strade di montagna. Donne che hanno fatto il turismo in Italia tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento
Gli ultimi vent'anni hanno registrato numerosi studi sul turismo in prospettiva storico-economica, tuttavia le indagini rivolte alle imprese del settore secondo un approccio di business history risultano ancora piuttosto rare, assolutamente sporadiche quelle rivolte all’imprenditoria femminile.
Uno dei maggiori ostacoli per le ricerche sul ruolo delle donne nelle imprese è costituito dalla frammentarietà delle fonti e dallo scarso riconoscimento attribuito al lavoro femminile, un “effetto maschera” della documentazione che tende a cancellarne il ricordo. A favorire questo fenomeno contribuiva il fatto che mentre l’identità sociale maschile era definita soprattutto dal mestiere, quella femminile dipendeva dallo stato civile (sposata, nubile, vedova) o dalla posizione all’interno della famiglia (moglie, madre, sorella…).
Ho considerato alcuni casi, che consentono di delineare dei percorsi professionali femminili tra Ottocento e primi decenni del Novecento, tra le antiche forme di ospitalità preturistiche e la nascita dei moderni hotel.
In Italia, questa trasformazione si attuò in grande prevalenza nell'ambito dell'impresa familiare. Un contesto di genere ampiamente rivisto e riletto dagli studiosi, in cui le logiche, che guidavano il pensiero comune, privilegiavano: non uguaglianza, ma equità, non individualità, ma centralità del gruppo/famiglia. Spesso, ancora nell’Ottocento, erano considerazioni o strategie familiari collettive a condizionare l’ingresso nel mercato della manodopera tanto degli uomini come delle donne.
A favorire la partecipazione femminile nel settore dell’ospitalità contribuì la tipologia che avvicinava questo settore alle attività considerate tradizionali per le donne (analogamente all’assistenza, all’educazione, all’alimentazione, ecc.) e, quindi, appariva come un'estensione pubblica dei ruoli femminili ritenuti “naturali”. Se tale condizione spesso tendeva a sancire il ruolo subalterno femminile, tuttavia, favorì la trasformazione di competenze ritenute femminili in talento imprenditoriale.
La figura più tradizionale è quella della “moglie” dell’albergatore.
La classica ripartizione dei compiti tra coniugi viene chiaramente evidenziata da Hans Heiss:
Nell’albergo a conduzione familiare […] la duplice posizione della moglie e del marito è stata fondamentale: l’uomo è in linea di principio responsabile dell’hardware e cioè la creazione dell’albergo, pensione o ristorante, l’eventuale suo ampliamento funzionale, l’arredamento, gli investimenti, lo sviluppo futuro. Alle donne spetta invece la gestione della quotidianità: esperte della vita quotidiana, provvedono al buon andamento dell’azienda, dirigono i collaboratori nella cucina e nel servizio dei vari settori, cercando di creare per l’ospite un ambiente di piacevole ed accogliente benessere. Il loro compito è la cura di quei piccoli dettagli che rendono gradito il soggiorno al cliente.[1]
Spesso le donne apportavano anche un proficuo contributo culturale e professionale. Come avveniva in molti settori della società d’antico regime, il matrimonio tra componenti di famiglie appartenenti allo stesso comparto era frequente e presentava numerosi vantaggi: sia perché le mogli avevano già una preparazione specifica, sia perché, analogamente a molti altri ambiti, chi sposava una donna sposava la sua famiglia, ossia stringeva alleanze con imprenditori, che avevano comuni interessi. Un significativo esempio è dato dalla Grande Famiglia degli albergatori del San Gottardo, costituita proprio grazie alle parentele femminili.
Tra i casi emblematici si può menzionare quello di Emerentia (Emma) Hausbacher, una delle più famose albergatrici del Tirolo. Nata nel 1817, figlia di locandieri, sposò Josef Hellenstainer e si trasferì a Villabassa, una importante stazione di Posta della via d’Alemagna, che collegava Venezia al Brennero. Il marito le lasciò la gestione del Gasthof Schwarzen Adler, che, nell’arco di pochi anni, divenne uno degli alberghi più noti del trentino. La sua clientela era costituita sia dall’élite sociale, che nell’ottocento aveva “scoperto la montagna” e il soggiorno nelle località alpine, sia da borghesi in transito per lavoro. La sua storia è un classico esempio del passaggio dall’ospitalità tradizionale alla nascita del turismo.
Il caso appena menzionato può apparire come infrequente, più spesso le donne acquisivano il pieno controllo dell’impresa nel momento in cui restavano vedove, dimostrando notevoli capacità non solo di gestione e amministrazione, ma anche di programmazione e sviluppo.
Le vicende che seguono possono risultare emblematiche.
Elise e Ignaz Überbacher acquisirono il Südbahnhotel Toblach (Dobbiaco), nato in seguito all’aperura della linea ferroviaria Südbahn, che diede notevole impulso al turismo della val Pusteria. Dopo la morte del marito (1888), Elise riuscì a far crescere la struttura sia qualitativamente, sia in termini di ampiezza: il Grandhotel passò da 80 a 350 stanze. Nel 1912 Elise si fece promotrice di una iniziativa decisamente innovativa: la funicolare del Guncina, che collegava la stazione turistica di Gries, dove si trovava l’Hotel Bellevue di cui era pure proprietaria, a Bolzano. Il nuovo mezzo di trasporto ebbe grande successo. I due hotel di Gries e Dobbiaco svolgevano una funzione complementare e consentivano all’imprenditrice di offrire agli ospiti una estensione della stagione, che si protraeva tra la primavera e il tardo autunno.[2]
Un altro caso di rilievo è costituito da Emilia Holzgärtner Wimmer antesignana della nascita del turismo a Gardone Riviera sul lago di Garda. Nel 1877 si era trasferita con il marito in quello che allora era un modesto borgo di pescatori. La scelta era determinata dalle precarie condizioni di salute dell’uomo. Negli stessi anni Arco e Riva si stavano affermando come importanti località di cura e soggiorno per una clientela mitteleuropea. Cogliendo le potenzialità del luogo, Luigi Wimmer decise di avviare un’attività ricettiva destinata soprattutto ad ospiti stranieri, con la costruzione dell’Albergo Pizzocolo. Rimasta vedova prima delle conclusione dei lavori, Emilia nel 1882 acquisì la gestione e la proprietà dell’albergo, che riscosse un grande successo, tanto che nel 1897 furono eseguite importanti opere di ampliamento, con la nascita dell’Hotel Gardone. Questo "senza esagerazione, si può chiamare un albergo con 300 stanze, tutte aperte a mezzodì, sale da pranzo, di conversazione, di lettura di musica, da gioco, gallerie a vetrate, bagni, giardini con vegetazione tropicale, tutto illuminato a luce elettrica e riscaldato da caloriferi, i nuovi lussuosi comfort dell’epoca". Con tali caratteristiche si poneva come struttura capace di ospitare nobili, facoltosi borghesi e intellettuali di prestigio provenienti da tutta Europa. L’intraprendenza di Emilia non si limitò alla gestione dell’Hotel, ma promosse l’ampliamento della strada di comunicazione con Salò, la nascita della Società per l’illuminazione elettrica di Salò e Gardone e l’erezione della chiesa di culto evangelico.
Casi più rari sono quelli di donne che acquisirono in prima persona la responsabilità di un albergo, almeno tra Ottocento e primo Novecento. Tra queste si possono ricordare: Hedwig Hellenstainer (1878-1939) di San Candido, che ereditò e gestì per molti anni l’Albergo Orso Grigio, ottenendo anche riconoscimenti per la sua attività.
Un’altra donna indipendente e ricca d’iniziativa fu Maria Piaz de Pavarin. La sua impresa era iniziata nel 1902 con una modestissima struttura sul Passo Pordoi, dove nel 1909 fu aperta la strada delle Dolomiti, che diede notevole impulso al turismo. Nel 1923 ottenne in affitto dal Centro Alpino Italiano (CAI) l’Hotel Savoia, sorto sempre al Passo Pordoi al tempo della costruzione dell’arteria. La struttura era stata fortemente danneggiata dalla guerra e l’albergatrice si adoperò per riportarla alla piena operatività. Nel frattempo a pochi metri di distanza, l’imprenditrice faceva costruire l’Albergo Maria, che fu terminato nel 1927. Un’altra grande intuizione di Maria Piaz fu l’idea di erigere la funivia, che saliva dal Passo al Sass Pordoi.
Senza la pretesa di individuare dei trend qualitativi sulla base di un campione rappresentativo, ma per riproporre la profonda differenza tra l’esserci e il valere: tra la presenza, l’attività e il suo riconoscimento, ho cercato di proporre storie di donne, che, in contesti diversi e in differenti momenti, hanno costituito figure di riferimento come imprenditrici nelle fasi di genesi e di trasformazione del turismo.
Nell’ambito di imprese familiari queste donne sono riuscite in modo complementare o autonomo a dimostrare capacità, intraprendenza, visione del futuro in un’ottica non semplicemente riconducibile alla cosiddetta “naturale propensione” delle donne per la casa e l’ospitalità.
Questo articolo nasce dall'intervento tenuto da Maria Luisa Ferrari al VII Congresso della Società italiana delle Storiche.
Riferimenti
Battilani P., Bertagnoni G., "L’imprenditoria femminile nello sviluppo del settore turistico in Umbria", in Donne imprenditrici nella storia dell’Umbria, Ipotesi e percorsi di ricerca storica, a cura di Curli B., Milano, F. Angeli, 2005.
Del Negro F., Hotel des Alpes. Storie di alberghi e albergatori dalla Savoia al Tirolo. Historische Gastlichkeit von Savoyen bis Tirolo, Meano, Touriseum, 2007.
Dezulian L., L’è dut nia – Storia della “Mare del Pordoi”, Vigo di Fassa, Istitut Cultural Ladin, 1991.
Groppi A., Il lavoro delle donne, Roma-Bari, Laterza, 1996.
Hareven T. K., Family Time & Industrial Time, Cambridge, Cambridge Uiversity Press, 1982.
Heiss H., "Da Frau Emma a Frau Erika. Figure esemplari del mondo alberghiero tirolese", in Frau Emma Europa. Eine Grosse Gastwirtin. Una grande albergatrice, Merano, Touriseum, 2004, p. 65.
Mazza A., Grand Hotel Gardone, Vobano (BS), Edizioni EL.DE, 2015.
Heiss H., Grandhotel Toblach, Pioner des Tourismus in den Alpen, Bolzen-Wien, 1999.
Palla L., Dal Pordoi a Katzenau. Il racconto di una vita in Val di Fassa nel primo Novecento, Lavis (TN) Lit. Alcione, 2007.
Solitro G., Benàco, Salò, Giò Devoti, 1897, p. 753.
Note
[1] H. Heiss (2004)
[2] Der Tiroler, 22 agosto 1912. Rassegna riportata in Bolzano scomparsa.