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Vicine, lontane.
Donne migranti e sindacato

foto Flickr/Oregon Department of Transportation

Come si avvicinano le migranti al sindacato e quali problematiche incontrano? I risultati di una ricerca condotta in Veneto sulle esperienze delle lavoratrici rumene e marocchine

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Il rapporto tra sindacati e lavoratrici migranti è un nodo problematico e ancora largamente inesplorato. Le lavoratrici di origine straniera non sono solamente scarsamente sindacalizzate, ma anche quando si iscrivono al sindacato partecipano raramente alla vita dell’organizzazione. Solitamente la scarsa sindacalizzazione delle migranti viene ricondotta alla loro condizione di vulnerabilità nel mercato del lavoro italiano e più in generale nella società di immigrazione. Tuttavia l’isolamento, la precarietà, la frequente irregolarità dei rapporti di lavoro sono elementi insufficienti per spiegare la distanza tra lavoratrici e organizzazioni sindacali, poiché a livello internazionale non mancano esempi di forme di organizzazione delle migranti nei settori più marginali. Per comprendere i motivi del mancato incontro tra le migranti e il sindacato è quindi necessario superare l’interpretazione che riconduce la questione alle loro condizioni di debolezza e ricattabilità e analizzare questo rapporto a partire dai luoghi di lavoro, in particolare in questi anni di crisi economica permanente, e senza però trascurare i processi di interazione che avvengono all’esterno dei contesti lavorativi.

Per capire le modalità con le quali le lavoratrici migranti si avvicinano al sindacato e quali problematiche incontrano, partirò dai risultati di un’ampia ricerca longitudinale volta proprio a studiare le implicazioni della crisi economica sulle prospettive di vita e di lavoro dei e delle migranti marocchini e rumeni residenti in Veneto[1]. Non si tratta dunque né di funzionarie sindacali, né di socie di associazioni comunitarie – organizzazioni che spesso costituiscono un canale di rappresentanza alternativo o complementare al sindacato – bensì di lavoratrici comuni che incontrano il sindacato nel luogo di lavoro o, più spesso, nelle sedi dei patronati.

Le migranti marocchine e rumene che abbiamo intervistato tra il 2010 e il 2015 vivono nelle provincie di Padova e di Treviso, sono in gran parte sposate con figli e hanno esperienze di lavoro nei settori manifatturiero o del lavoro domestico e di cura. In generale, sono consapevoli dell’esistenza del sindacato in quanto associazione che difende i lavoratori. Tuttavia, la maggioranza delle intervistate non conosce le peculiarità delle varie organizzazioni (Cgil, Cisl, Uil, sindacati di base) e ricorda a fatica la sigla del sindacato con cui è entrata in contatto. La scelta di rivolgersi a un’organizzazione o a un'atra è infatti guidata soprattutto dal passaparola o da questioni di comodità - vicinanza a casa o al luogo di lavoro - e di efficienza del servizio.

Inoltre, mentre tra gli uomini intervistati emergono esperienze sindacali e politiche nel paese di provenienza, tra le donne sono pressoché assenti. Di conseguenza per queste ultime i significati e le pratiche di partecipazione ai corpi intermedi (movimenti, organizzazioni sindacali, associazioni, ecc.) si sono formati sulla base delle esperienze vissute in Italia. L’idea condivisa da numerose lavoratrici è che il sindacato sia un ente di difesa – non sempre efficace –dei lavoratori, ma non un’organizzazione dal basso finalizzata al miglioramento delle condizioni di lavoro e all’ampliamento dei diritti.

A questa prospettiva contribuiscono in modo determinante le modalità di azione delle organizzazioni sindacali, poiché dalla nostra ricerca emerge che le esperienze di contatto con il sindacato nel luogo di lavoro sono sporadiche, spesso basate sulla mera fornitura di servizi e talvolta attraversate da atteggiamenti razzisti nei confronti dei migranti.

Nelle narrazioni delle migranti il sindacato viene nominato soprattutto in coincidenza con la perdita del lavoro: per essere difese in caso di licenziamento, per avere assistenza legale nel recupero di crediti o per accedere agli ammortizzatori sociali. In queste circostanze caratterizzate dall’emergenza e dalla necessità, le migranti ripongono forti aspettative nei confronti dei sindacati che rischiano di essere disattese, per motivi sia legati alle modalità di azione dell’organizzazione sia di tipo strutturale, e che hanno l'effetto di allontanare nuovamente le lavoratrici dal sindacato. In particolare, le migranti lamentano come negli uffici vertenze l’atteggiamento del personale sia spesso distaccato. La complessità e le lungaggini dell’iter legale unite a uno scarso coinvolgimento delle lavoratrici nel processo vertenziale, generano un senso di abbandono, che talvolta sfocia nel sospetto di essere state raggirate. Inoltre, la risoluzione dei cosiddetti “problemi sul lavoro” avviene sempre in un rapporto individuale con il funzionario presente nelle diverse sedi. Mentre nelle esperienze delle migranti, comprese quante sono occupate nelle imprese sindacalizzate, è sporadica la partecipazione ad attività sindacali, quali mobilitazioni, assemblee e manifestazioni.

Il rapporto individualistico e utilitaristico che si dà tra lavoratrici migranti e organizzazioni sindacali sembra legato, da un lato, alla scarsa consapevolezza delle lavoratrici e, dall’altro, alla tendenza sempre più diffusa tra i sindacati a presentarsi come fornitori di servizi, sottovalutando l’importanza delle mobilitazioni nei processi di reclutamento e coinvolgimento attivo di lavoratrici e lavoratori.

La mancanza di un rapporto quotidiano, basato sulla conoscenza reciproca, tra lavoratrici e sindacalisti genera, quindi, gravi carenze nelle capacità del sindacato di sostenere i diritti delle lavoratrici e più in generale un’atmosfera di scarsa fiducia. Ciononostante, l’avvicinamento delle migranti alle organizzazioni sindacali per questioni meramente vertenziali può talvolta sfociare in un maggior interessamento delle stesse alle azioni di difesa dei lavoratori. Tale spinta mantiene alcune lavoratrici legate al sindacato anche nei periodi di disoccupazione post-vertenziali, durante i quali la maggioranza delle disoccupate si allontana dai sindacati perché, a parte il disbrigo delle pratiche di accesso agli ammortizzatori sociali, essi sono scarsamente attivi sul terreno delle mobilitazioni a favore dei disoccupati.

In conclusione, le migranti intervistate in Veneto sottolineano la messa in campo di strategie individuali per affrontare le numerose difficoltà lavorative. Sebbene il sindacato svolga un ruolo importante nelle loro vite, perché le sostiene nell’accesso agli ammortizzatori sociali e al permesso di soggiorno, il rapporto rimane distaccato e si esaurisce sovente nella fornitura dei servizi.

La scelta di mettere in campo politiche concertative ha trasformato il sindacato, che si è così adeguato al ruolo istituzionale di gestione della forza lavoro, fornendo servizi ma abbandonando progressivamente la necessaria costruzione di rapporti sociali con i propri iscritti, siano essi occupati o disoccupati. Queste pratiche impediscono alle lavoratrici migranti di percepire particolari diversità tra i singoli sindacati, trovandosi la strada sbarrata rispetto alla possibilità di sperimentare forme di organizzazione e di mobilitazione o negoziazione collettiva adeguate. Se nella logistica i sindacati di base si sono distinti per quanto riguarda sia la costruzione di un rapporto reale con i propri iscritti sia le pratiche di mobilitazione, ottenendo così indubbi risultati; in altri settori - quali l’agricoltura e il lavoro domestico, dove i e le migranti costituiscono larga parte degli occupati - la capacità delle organizzazioni sindacali di incidere sulle condizioni di lavoro sono decisamente limitate.

Come altre esperienze evidenziano, forse è proprio a partire dalle lavoratrici migranti, apparentemente meno organizzabili, che potrebbe modificarsi non solo il rapporto tra donne e sindacato, ma più in generale la modalità di azione delle organizzazioni sindacali.

Note

[1] La ricerca, condotta da Devi Sacchetto insieme a chi scrive e ad altri ricercatori, è stata finanziata da Veneto Lavoro e dall’Università di Padova. Questo articolo è un estratto dalla pubblicazione Sacchetto D., Vianello F.A. (2015). Donne migranti e organizzazioni sindacali nella crisi, "Sociologia del Lavoro", 140:159-172.

Riferimenti bibliografici

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