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Il lavoro è un diritto asimmetrico

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Ogni anno più di una donna su 6 lascia il lavoro a seguito della maternità, e sono state 35.000 le donne con figli sotto i tre anni di età che hanno dato le dimissioni volontarie nel 2019. A fare il punto è il nuovo briefing paper di Oxfam Italia dedicato alle disuguaglianze nel mondo del lavoro e intitolato Disuguitalia. Ridare valore, potere e dignità al lavoro che traccia il quadro di un'occupazione femminile "altamente discontinua, concentrata in settori a minore remunerazione, con contratti atipici, un’alta incidenza del part-time, a prevalenza involontario".

Dalle consegne per l’e-commerce, al cibo sulla nostra tavola, al lavoro domestico, il rapporto si concentra sulle “risultanze visibili” di lavoratori “invisibili”, sfruttati, precarizzati, dai diritti e dalla dignità profondamente erosi e con un “valore sociale” scarsamente riconosciuto. Tra questi, sono le donne a guadagnare meno e ad avere contratti meno stabili, pagando il prezzo più alto delle disuguaglianze in un contesto già da anni fortemente squilibrato per genere, e che con la pandemia e la guerra in Ucraina non ha fatto che peggiorare le condizioni di vita e di lavoro delle occupate, esponendole di fatto a una povertà diventata strutturale prima ancora che statistica.

Scritto da Mikhail Maslennikov, Policy Advisor di Oxfam Italia, il rapporto include una riflessione sul senso e sul valore del lavoro e su come le istituzioni dovrebbero riportare la dignità del lavoro al centro dell’agire politico, avvalendosi di un confronto con esperti ed esperte, tra cui due osservatori privilegiati: Alessandro Rosina (Professore ordinario di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica di Milano) e Linda Laura Sabbadini (Direttrice del Dipartimento per lo sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione e diffusione dell’informazione statistica dell’Istat). 

"Le risorse del PNRR avvantaggeranno senza ombra di dubbio settori a prevalenza maschili" spiega proprio Sabbadini in un'intervista raccolta dal rapporto. "Resta da vedere se la clausola di 'preferenzialità' della nuova occupazione - finalizzata a garantire alle donne e ai giovani una quota minima del 30% delle nuove assunzioni effettuate da imprese che si aggiudichino appalti o concessioni nell’ambito del PNRR o del piano degli investimenti complementari – avrà effetti significativi sull’occupazione femminile, sulla segregazione occupazionale di genere e sulla qualità del lavoro delle donne" continua.

"Certamente 'il gender procurement' è preferibile alle politiche di decontribuzione per le assunzioni delle donne. Una soluzione che personalmente condivido poco perché si fonda su una lettura distorta del problema che vede il costo della donna quale principale ostacolo all’occupazione femminile. Assumendo un’ottica del genere, il lavoro di una donna dovrebbe costare di meno perché le donne valgono di meno in termini di capacità e formazione, quando un elemento di vantaggio per le donne rispetto agli uomini nel nostro paese è proprio il livello di istruzione. La realtà è ben altra: alla base delle disparità di genere troviamo la mancata condivisione dei lavori di cura e la maternità che allontanano le donne dal mercato del lavoro o le confinano a impieghi precari e part time necessariamente vicino casa. L’asimmetria di genere è più un problema di tempo che di costo".

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