Nel prossimo Csm ci saranno ancora meno donne che nell'attuale. Ma il caso del Consiglio superiore della magistratura non è il peggiore nel campo del diritto. Le donne, largamente presenti da anni nelle professioni giuridiche, sono quasi invisibili ai vertici. Ecco una mappa
Eva togata
fuori dal paradiso
Anche al Csm le donne sono poche. È il momento delle quote rosa, recita il titolo dell’articolo di Maria Luisa Agnese sul “Corriere della sera” del 25 marzo scorso, a proposito delle pochissime candidature femminili nelle liste delle varie correnti della magistratura, dalle quali – attraverso il sistema delle primarie – andranno scelti i candidati da eleggere a luglio per formare la nuova consiliatura. Di quote rosa in realtà si parla da almeno vent’anni, da quando cioè si assiste anche in Italia alla “femminilizzazione del diritto”, frutto del boom delle laureate in Giurisprudenza (datato anni ’80) e dell’aumento delle donne avvocato e magistrato, dagli anni ‘90 inarrestabile. Il dato qualitativo - la collocazione delle donne nelle gerarchie professionali - è però poco incoraggiante e autorizza a riproporre il famoso paradigma del “soffitto di cristallo”. Il fatto che siano sempre poche le donne negli organi decisionali conferma la persistenza di una selezione informale che rende faticoso l’accesso a posizioni prestigiose nel campo giuridico, per quanto siano state recepite da vent’anni le sollecitazioni dell’Unione europea a individuare alcune misure a tutela della differenza sessuale. La legge del 1991, “Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro”, non è stata però accompagnata da una “rivoluzione culturale” che sostituisse al concetto di uguaglianza - inteso come omologazione a un unico modello maschile - quello di differenza. Non a caso, ad esempio, alcune magistrate lamentano la persistenza, all’interno del Csm, di una “cultura organizzativa” maschile nelle modalità di lavoro, fondate su una presenza continua e rituale che penalizza chi è alle prese con l’eterno problema della “doppia presenza”: nel lavoro e in famiglia.
Per quanto riguarda il Csm, quasi mai il parlamento ha optato per candidature femminili quando si è trattato di nominare membri non togati. Se le prime due donne furono elette nel 1981-86, la prima magistrata scelta dal corpo è stata Elena Paciotti nella consiliatura del 1986-90, insieme a una seconda nominata dal Parlamento. Ancora una non togata in quella del 1994-98 e “ben” 4 donne nel 1998-2002 (di cui 1 laica), per poi calare a 2 nel 2002-2006 (1 non togata) e risalire, in quella in carica, a 6 (2 nominate dal Parlamento e 4 magistrate). Un record che pare destinato a restare tale, a giudicare dal grido di allarme lanciato dalla commissione per le pari opportunità del Csm: ciò che colpisce in particolare è la riduzione delle candidate, visto che da molti anni in alcune correnti, Magistratura democratica in primis, queste erano sempre state molto numerose, in omaggio appunto al principio delle quote rosa. Un problema molto complesso, che rinvia come noto a una questione più generale che ha diviso e divide il mondo del lavoro e della politica, ma che merita alcune brevi riflessioni.
I dati del Csm, ad esempio, sono più confortanti rispetto ad altre istituzioni. Al Consiglio di Stato, dopo la prima nomina nel 1982, le donne sono rimaste 3 fino al 1991 e nel 2008 erano il 10% del totale: percentuali ben maggiori ai Tribunali amministrativi regionali e nel consiglio della Corte dei conti (25/26% del totale). Alla Corte costituzionale le donne sono entrate per nomina del presidente della Repubblica, mai per designazione del parlamento: è accaduto nel 2005 a Maria Rita Saulle e, prima di lei, ad altre due, a partire da Fernanda Contri nel 1996. Quando nel dicembre 2004, per la malattia di un collega, presiedette come giudice più anziano un’udienza, non perse l’occasione per sottolinearlo: «non sfuggirà ai presenti che quest’onore spetta per la prima volta ad una donna dopo poco meno di cinquant’anni», disse. Intervistata dal Corriere della sera, Contri ricordò il consiglio di una collega francese: «Ricordati che l’ascensore va sempre rimandato indietro», ovvero fai in modo che, al termine del tuo mandato, l’incarico vada a un’altra donna. Creando così un precedente.
Devono esserci donne disposte a prenderlo, questo ascensore. Come spiegare l’apparente disinteresse, emerso in alcune indagini anni fa (Pocar 1991), delle donne per gli uffici direttivi? Sembra sempre più un paradosso oggigiorno, quando ha perso rilevanza l’ostacolo dell’anzianità di servizio come fattore di discriminazione sessuale. Da un’indagine condotta nel 2004 dall’Associazione donne magistrato italiane (cfr. www.donnemagistrato.it), emergeva una certa tendenza delle donne ad “autoescludersi” da posizioni di responsabilità, avvalorando così la mentalità di un sistema giuridico largamente declinato al maschile. Ma è corretto adombrare cause di natura psicologica? Un sondaggio effettuato in quell’anno a 850 magistrate dei distretti di Milano, Torino, Genova e Venezia e discusso al convegno di MD su Magistratura e differenza di genere rivelò che la scarsa disponibilità a ricoprire incarichi esterni all’attività giudiziale o a svolgere attività formativa, era dovuta soprattutto a un carico di lavoro già pesante, a partire da quello familiare. Non a caso nel mondo del diritto contiamo, ancora oggi, molte donne single, o con pochi figli, e vi sono alcuni scarti generazionali tra le “vecchie” magistrate e le “giovani”: queste ultime sembrano voler recuperare – in nome del principio per cui «tutto è possibile, basta volerlo» - un atteggiamento largamente condiviso negli anni ’70, ma oggi appare, almeno alle più anziane, rischioso davanti all’evidente scarto tra “saper” e “poter” agire. Nel 2007 viene eletta a Milano, per la prima volta, una donna presidente di tribunale: è Livia Pomodoro, dal 1980 consigliere di Corte d’appello, già membro del comitato direttivo dell’Associazione nazionale magistrati, capogabinetto alla Giustizia nel 1991-93 e presidente del tribunale dei minorenni. Una progressione in carriera “normale”, perché tra l’ingresso in magistratura e la nomina a funzioni direttive passano quasi trent’anni e questa anzianità le donne, che solo nel 1965 poterono fare il loro primo concorso, l’hanno raggiunta negli anni ’90. Risale al 1988 l’ingresso di 24 magistrate in Cassazione: la prima a indossare la toga di ermellino fu Maria Gabriella Luccioli, la quale vent’anni dopo - nel giorno in cui il Csm affidava a Manuela Romei Pasetti, in servizio dal 1969, la presidenza della Corte d’appello di Venezia - divenne presidente della prima sezione civile del supremo organo.
Nel mondo dell’avvocatura le cose procedono ancor più lentamente. Dobbiamo attendere la fine degli anni ‘90 per veder nascere qualche Commissione pari opportunità) all’interno degli Ordini forensi (a metà 2006 erano 36), ma il principio delle “riserve matematiche” è giudicato ancora nel 2004 dal presidente del Consiglio nazionale forense «offensivo»: le donne avrebbero dovuto imporsi solo grazie a «professionalità», «impegno», «volontà»: non dunque quantità ma qualità - richiesta in particolare alle donne – che evidentemente ne hanno poca se la loro presenza nel Cnf è sempre stata simbolica: una nel triennio 1984-87 e una nel 1994-2001. E quando finalmente nasce nel 2004 anche in seno al Cnf una Commissione pari opportunità, viene diretta da 4 uomini, con 22 donne presenti come membri “esterni”.
Il principio delle pari opportunità penetra a macchia di leopardo e la presenza delle donne è significativa solo in alcuni settori “congeniali”: nell’Associazione italiana avvocati di famiglia, ad esempio, la presidenza è al femminile così come la maggioranza del direttivo nazionale, ma altrove le cifre sono scoraggianti, eccezion fatta per l’Associazione nazionale forense, dove le donne sono oggi il 50% dei membri del direttivo nazionale (una di queste, Michelina Grillo, ne è stata segretario generale). Nel 2007 le donne ai vertici dell’Associazione italiana giovani avvocati erano appena il 13%: percentuale superiore al misero 6% di donne tra i delegati della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense.
Il tetto di cristallo sembra resistere piuttosto bene. Sono pochissime le donne presidenti del Consiglio dell’Ordine (4 nel 2005, 3 nel 2007, 6 nel 2009 e in centri giudiziari di secondo piano: Voghera, Bolzano, Udine, Busto Arsizio, Pisa e Rieti). La presenza media delle donne nei Consigli è passata tra il 2007 e il 2009 dal 20% al 23%, con enormi sperequazioni tra Centro-nord e Sud e tra piccoli e grandi centri giudiziari (cfr. cartina).
Presenza delle donne nei Consigli degli Ordini (2007)
(Fonte: Elaborazione dell'autore dai dati del Cnf)
A seconda della geografia, il potere professionale può anche essere femminile, ammesso che questo sia identificabile con la presenza all’interno di un Consiglio (spesso le avvocate ne sono le segretarie). Se guardiamo ai vertici della carriera, cui si accede per anzianità di servizio, l’ottimismo proviene solo dal trend di questi ultimi anni - sono passate dal 13 al 20% nell’ultimo quinquennio le avvocate patrocinanti in Cassazione – mentre i dati delle dichiarazioni Irpef del 2008 denunciano enormi sperequazioni: nella fascia d’età compresa tra i 55 e i 59 anni, le donne hanno un reddito medio inferiore della metà a quello maschile (51.876 eurio contro 101.490: “la Repubblica”, 14 aprile 2010).
La risibile presenza delle donne ai vertici della magistratura e dell’avvocatura conferma la “sfaldatura” tra la loro presenza massiccia negli organici e una rappresentanza in larga prevalenza maschile (dunque non rappresentativa), specchio di un deficit di democrazia rilevato in vari settori della vita sociale e politica italiana.
Bibliografia essenziale
P. David-G. Vicarelli (a cura di), Donne nelle professioni degli uomini, FrancoAngeli, Milano 1994.
V. Pocar, Le donne magistrato: una ricerca pilota, “Sociologia del diritto”, n. 3, 1991, pp. 73-96
F. Tacchi, Eva togata. Donne e professioni giuridiche in Italia dall’Unità a oggi, Utet, Torino 2009.
Magistratura e differenza di genere, convegno organizzato da MD, Milano, 17 aprile 2004, in “md”, n. 2, 2009 (www.magistraturademocratica.it).
F. Zajczyk, La resistibile ascesa delle donne in Italia. Stereotipi di genere e costruzione di nuove identità, il Saggiatore, Milano 2007.