Si parla molto di nidi, del bisogno, dell'accesso e della promessa. Questo articolo è una bussola per orientarsi tra i numeri. Quanti sono i bambini che hanno accesso al nido e quali i costi reali? Dove si va al nido e dove si ricorre alla famiglia? Chi sono le mamme che mandano i figli al nido? E soprattutto: chi paga?
Asili nido,
facciamo chiarezza
Un mistero avvolto in un enigma: quanti sono i bambini che vanno al nido?
Non da oggi sul tema si lamenta una certa confusione (1): basti pensare che le diverse fonti, con riferimento al 2011, indicano l’11,8 per 100 (Istat, indagine sui comuni) , oppure il 18,7 per 100 (una diversa fonte Istat, indagine sulle famiglie), fino ad un massimo del 34,9 per 100 del Monitoraggio dell’istituto degli innocenti di Firenze. In realtà, guardando bene dentro le cifre, le contraddizioni sembrano minori di quanto appaia a prima vista. Di tutto questo, e di altro, si è parlato nel seminario del 26 settembre sul Monitoraggio del Piano nazionale di sviluppo dei servizi per la prima infanzia, organizzato dal dipartimento per le politiche della famiglia.
Anzitutto, bambini di quale età? Spesso si dice in età 0-3 anni, altre volte 0-2. In realtà è la stessa cosa, tutti intendono i bambini fino all’età di 36 mesi, solo che nel primo caso ci si riferisce agli anni iniziati, nel secondo agli anni compiuti. Adotteremo l’uso dell’Istat, che indica gli anni compiuti.
Chiedendolo ai comuni, l’Istat dice che vanno al nido 11,8 bambini su 100, (L’offerta comunale di asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia), cui si aggiunge un 2,2 per 100 che frequenta eventuali “servizi integrativi e innovativi”, finanziati o cofinanziati dai comuni, per un totale di 14 su 100 (anno 2010-2011).
I servizi integrativi e innovativi comprendono i micro-nidi, i nidi-famiglia e il servizio di “Tagesmutter”, nel caso in cui esso sia organizzato dal comune. Dal 2009 l’indagine comprende anche, purché cofinanziati dai comuni, i nidi aziendali e le “sezioni primavera”, cioè le classi di scuola materna riservate ai bambini che le frequentano in anticipo sull’età prevista (3 anni compiuti entro il 31 dicembre). Sono invece esclusi: ludoteche, centri diurni, centri di aggregazione o sociali. Senza polemica, non si capisce perché in questi casi venga usato l’aggettivo “innovativo”: si tratta di servizi diversi dall’asilo-nido, ma non necessariamente migliori.
L’11,8% (o il 14% se si includono i servizi integrativi), è il cosiddetto “tasso di copertura”, che va letto come la misura della capacità dell’ente pubblico locale di soddisfare la domanda potenziale. L’indagine è di natura censuaria, nel senso che vengono chieste informazioni (via web) a tutti i comuni, anche se ancora oggi il 7% dei comuni non risponde. Ne emerge un andamento lentamente crescente del tasso di copertura (vedi il grafico, riferito ai soli asili nido), con rilevantissimi divari territoriali, sui quali dovrebbe intervenire la riprogrammazione dei fondi europei operata dal ministero per la coesione (vedi video sul nostro sito).
Fonte, Istat, L’offerta comunale di asili nido, 25 giugno 2012
Chiedendolo alle famiglie, sempre l’Istat dice che vanno al nido 18,7 bambini su 100 (2011), fonte “La scuola e le attività educative”, sezione dell’indagine multiscopo sulle famiglie “Aspetti della vita quotidiana”. In questo caso, ai nidi pubblici vengono aggiunti quelli privati, ciò che sembra del tutto corretto se si vuole calcolare un equivalente del tasso di scolarizzazione: negli altri ordini di scuola, gli studenti delle scuole private sono sempre inclusi nel numeratore di questo rapporto. Il 18,7 per 100 raggiunto nel 2011 implica una crescita di 5 punti dal 2005 (anno in cui si registrava il 13,8), crescita maggiore di quella registrata dalla sola componente pubblica.
Essendo intervistate le famiglie, è possibile attraverso questa indagine conoscere meglio le caratteristiche dell’utenza. L’utilizzo del nido sale nel caso di bambini con madre laureata (27,4%) e con madre occupata (26,8%), in particolare se dirigente, imprenditrice o libera professionista (34,7%). Non certo un ripiego, quindi, ma in qualche modo una scelta privilegiata, anche per i costi che sostengono le famiglie.
Quanto all’attendibilità delle stime ricavate da un’indagine campionaria sulle famiglie, sempre l’Istat introduce qualche cautela: commentando il dato del 2008 (15,5%), la scheda di Noi Italia dedicata ai nidi afferma che “per effetto della natura campionaria del dato, considerata anche l’esigua numerosità del fenomeno, la stima prodotta può variare tra un minimo di 12,8 per cento ad un massimo di 17,8 per cento”. Per l’ultima edizione, le famiglie con minori (età inferiore ai 18 anni) intervistate nell’indagine sono state 5.066, e ovviamente quelle con bambini in età 0-2 erano un numero molto più piccolo (quasi certamente meno di 1.000).
Inoltre, sarebbe logico attendersi per tutte le regioni un valore più alto di questa seconda fonte rispetto alla prima, perché essa include anche i bambini che frequentano i nidi privati. Ma nella maggior parte delle regioni, specie del centro-nord, i valori sono molto vicini, mentre solo in quattro casi la differenza assume una dimensione decisamente anomala (19 punti in Veneto, 14 in Sardegna, 9 nel Lazio e 6 in Campania), facendo intuire per l’offerta privata un ruolo non integrativo, ma sostitutivo dell’intervento pubblico.
L’Istituto degli innocenti di Firenze, incaricato dal dipartimento per le politiche della famiglia del Monitoraggio del Piano di sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, arriva a calcolare un tasso di copertura dei servizi pari a 34,9 al 31 dicembre2011. Come si spiega questa diversa stima?
L’Istituto prende in considerazione tutte le tipologie di servizi educativi, e non solo i nidi pubblici e privati: “integrando le opportunità di accesso ai nidi (17%), ai servizi integrativi (2,4%), alla scuola dell’infanzia come anticipatari (5,1%) o come utente ordinario (11%) ne deriva che la possibilità di accesso di un bambino al di sotto dei tre anni a un servizio educativo all’inizio di ogni anno scolastico (settembre) riguarda il 34,9% dei bambini. Ma guardando dentro alla percentuale media si scoprono cose importantissime: la percentuale di copertura per i bambini di 28-35 mesi è molto alta (il 68,6% per i bambini di 28-31 mesi ed il 100% per quelli di 32-35 mesi), ma per i bambini più piccoli, che possono servirsi dei soli nidi e servizi educativi integrativi, la percentuale di copertura è molto più bassa, non arrivando nemmeno al 20% per i bambini nel secondo anno di età e solo a meno del 10% per quelli nel primo anno di vita”.
Il principale fattore che spiega la differenza fra le varie fonti è quindi l’inclusione nel calcolo dell’accesso alla scuola dell’infanzia, quella che una volta si chiamava “materna”, e che dovrebbe accogliere i bambini a partire dai 3 e fino ai 5 anni compiuti (come per i nidi, si tratta di tre classi di età). Senonché, in previsione della riforma dei cicli (prevista dai ministri Berlinguer e Moratti, ma mai attuata), riforma che intendeva anticipare tutto il percorso scolastico, per consentire ai giovani già all’età di 18 anni di iniziare l’università o di accedere al mercato del lavoro, il Miur ha consentito in via sperimentale l’accesso alla scuola per l’infanzia anche ai bambini di 2 anni compiuti, sia pure con modalità e requisiti variabili (dapprima attraverso l’inserimento diretto nelle classi dei più grandi, poi con sezioni “primavera” ad essi dedicate).
Come si sa, non c’è niente di più permanente delle sperimentazioni, per cui di fatto oggi si sta configurando una sorta di “quarto anno della materna”, una scuola meno costosa del nido - il rapporto fra bambini e insegnanti è 10 a 1 - ma forse troppo impegnativa per bambini ancora piccoli, in un’età che richiederebbe un ambiente meno strutturato e più accogliente. Questa possibilità ha raccolto un successo imprevisto: i bambini di 2 anni compiuti che si sono iscritti alla scuola per l’infanzia nell’anno scolastico 2010-2011 sono 86 mila, pari al 15,4% dei nati nel 2008, ma in percentuale molto maggiore nel Mezzogiorno, dove asili nido pubblici ce ne sono molto pochi.
E’ anche da registrare in questo settore una presenza molto alta delle scuole paritarie, che assorbono il 40 per 100 dell’utenza. E infine, un costo unitario decisamente anomalo: il Monitoraggio indica per l’anno 2011/12 un contributo statale e regionale di 26 milioni di euro per 25 mila bambini delle sezioni “primavera” (solo una parte degli anticipatari), pari a circa 1.000 euro pro-capite, spiegabile perché si utilizzano strutture e personale in massima parte già esistenti, contributo che peraltro ha subito una forte contrazione negli ultimi anni, dai 39 milioni del 2008-2010. Per confronto, per ogni bambino al nido i Comuni italiani spendono in media 6.086 euro (2010-11, Istat, l’offerta comunale …).
E’ evidente quindi un dualismo territoriale: per bambini anche molto piccoli nel centro-nord esiste un’offerta discreta di nidi pubblici, nel mezzogiorno quasi solo scuola dell’infanzia per i più grandicelli, e il deserto per i primi due anni di vita.
(1) Chiara Saraceno “Come si misurano i tassi di copertura dei servizi per l’infanzia?” Nell’articolo, informazioni sul raggiungimento dei target di Lisbona-Barcellona per il 2010 (33% di frequenza per i nidi e 90% per la scuola dell’infanzia). Sulla situazione nell’Unione europea qui