Un gruppo di studiose ha lanciato l'appello "Che genere di concorso", dopo aver letto il bando di per le nuove cattedre: tra i 35 autori considerati più rappresentativi della letteratura italiana c'è una sola donna. Non si tratta di introdurre le quote rosa nei libri di testo, ma di immergere la scuola italiana nella realtà
Maschi da manuale: il caso del concorso della scuola
Quando mi è stato chiesto di rendere conto su inGenere.it delle motivazioni che hanno spinto il gruppo di studiose del laboratorio «Anna Rita Simeone», di cui faccio parte, a scrivere e divulgare la lettera aperta Che genere di concorso?, mi è subito venuta in mente una nota affermazione di Carla Lonzi, della quale mi sono spesso servita in passato come punto di partenza per sgomberare il campo da possibili fraintendimenti: «La donna non è in rapporto dialettico col mondo maschile. Le esigenze che essa viene chiarendo non implicano un’antitesi, ma un muoversi su un altro piano. Questo è il punto su cui più difficilmente arriveremo a essere capite, ma è essenziale che non manchiamo di insistervi» (1). Sono parole dure e difficili, per certi versi un po’ datate («la donna», «il mondo maschile»: al giorno d’oggi entrambi questi termini vengono più correttamente declinati al plurale), ma che esprimono con grande lucidità la necessità e la difficoltà, nel momento in cui si va a toccare la questione dei rapporti tra i sessi nei processi di attribuzione di significato, e di valore, alle cose, di pensare in modo realmente nuovo, radicalmente diverso. Questo preambolo è per dire che, quando nel leggere il bando per il concorso a cattedre nella scuola redatto lo scorso 24 settembre, ci è caduto l’occhio sulla lista dei trentacinque autori evidentemente considerati più rappresentativi della storia letteraria nazionale dal Medioevo al Novecento (e vale la pena ricordarci a questo punto che siamo già nella seconda decade del ventunesimo secolo), la quasi totale assenza delle scrittrici ci è apparsa soprattutto come il sintomo, l’effetto di un problema che andava affrontato muovendosi, appunto, «su un altro piano».
Per come la vediamo noi, non si tratta certo di introdurre le «quote rosa» in letteratura. Per cominciare, quali dei 34 autori maschi indicati nel bando dovrebbero essere retrocessi, buttati fuori dal cerchio degli eletti, riconosciuti come "non sufficientemente rappresentativi", e da quale legittima autorità dovrebbe essere sancita tale esclusione? Fuori Luigi Pirandello, dentro Sibilla Aleramo. Fuori Cesare Pavese, dentro Natalia Ginzburg. Fuori Italo Calvino, dentro Anna Maria Ortese. Risulta chiaro che così non se ne esce. Il problema è complesso e delicato, e dovrebbe innanzitutto essere riconosciuto come tale, prima che si possa poi tentare di trovare delle soluzioni. Una cosa è certa (e questo è per noi il fatto più grave): appare evidente che chi ha stilato il canone degli autori riportato nel bando questo problema riguardante il genere non se lo è neanche posto. O per lo meno, non se lo è posto sul serio.
Precisiamo: qualche timido accenno al genere effettivamente nel bando c’è, in relazione all’ambito della scuola dell’infanzia (p. 32), e, per quel che riguarda la scuola secondaria, nei programmi di educazione fisica (p. 65) e di sociologia (p. 72). Degno di nota è soprattutto il riferimento «alle differenze di genere e alle pari opportunità» tra gli aspetti affrontati nei «documenti europei in materia educativa recepiti dall’ordinamento italiano» (p.30), nei confronti dei quali i candidati sono evidentemente richiamati a prestare una certa attenzione. Nelle indicazioni generali, il testo sembra quindi voler essere in sintonia con la strategia retorica adottata finora con successo dall’attuale apparato governativo, strategia che ha come obiettivo quello di presentare il nuovo esecutivo come attivamente coinvolto nel processo di sprovincializzazione e di europeizzazione della società italiana, in particolare nei campi della cultura, della legalità, dell’economia, dell’utilizzo delle nuove tecnologie. Un altro tema ricorrente che è parte integrante di questa "nuova" strategia discorsiva, che ha investito anche il dibattito sul mondo della scuola e dell’università, è la necessità di uno svecchiamento delle classi dirigenti e produttive. Il fatto che, sullo sfondo di questa retorica diffusa, si sia riusciti a formulare dei programmi d’esame per gli ambiti della letteratura, della storia, della filosofia, dell’educazione linguistica e della geografia quali quelli indicati nel bando ci ha lasciato stupefatte.
Alle orecchie di studiosi e di studiose che, come noi, proprio in una dimensione europea hanno ricevuto la loro formazione sulle questioni del genere e della differenza sessuale in queste discipline, questi programmi suonano incredibilmente obsoleti. Vecchi, provinciali, oltre al fatto di essere scientificamente discutibili, e intellettualmente disonesti.
Se, come affermato sopra, la questione del rapporto tra genere e canone letterario è indubbiamente complessa, ciò però non vuol dire che non sia possibile proporre soluzioni forse non perfette, ma certamente migliori di quella corrente. In relazione a questa convinzione, l’obiettivo che ci siamo poste nello scegliere lo strumento della lettera aperta è proprio quello di utilizzare l’occasione offerta dall’uscita del bando per riaprire un dibattito pubblico, sperando di convincere chi ci governa a ripensare i percorsi formativi di docenti e studenti, rivedendo innanzitutto quelle indicazioni ministeriali che sono state formulate due anni fa e sulla base delle quali sono stati stilati i programmi oggetto della nostra critica.
Il contributo che può essere offerto da chi queste cose le studia da tanti anni potrebbe tornare utile. In ambito accademico, la questione delle liste, dei canoni letterari (per motivi di spazio in questa occasione mi concentrerò esclusivamente sulla letteratura) è stata ampiamente dibattuta, in particolare dalla fine degli anni ’80 e per tutti gli anni ’90. Come si sa, ogni canone si basa su dei sistemi di valori che devono essere riconosciuti e analizzati con cura per essere decostruiti. In questi sistemi, il genere interagisce con altri fattori nel determinare la ricorrente esclusione di vari soggetti, tra cui le donne. Posso solo accennare ad alcuni degli aspetti indagati in questi anni di lavoro intenso: la predilezione, in determinati momenti storici, di un genere letterario rispetto agli altri, e, ancor prima, i processi di individuazione di quelle caratteristiche testuali che vanno a costituire un "genere"; il persistere di modelli storiografici che selezionano eventi e aspetti significativi della produzione culturale del passato, escludendone altri; l’idea stessa di ‘eccellenza letteraria’, se non persino di cosa dovrebbe considerarsi letteratura e cosa no. E via dicendo.
Sarebbe quindi auspicabile intervenire nella ridefinizione dei sistemi generativi dei canoni, invece che inserire a forza delle donne in una casa (forse un tempio?) che è stata già costruita secondo criteri nei quali il genere sessuale ha determinato meccanismi più o meno complessi di svalutazione delle voci femminili. In questo senso, il principio dell’autonomia dell’insegnamento, se opportunamente valorizzato attraverso delle indicazioni ministeriali chiare, nette, e articolate, in merito alla necessità di includere la riflessione sul genere nel percorso formativo degli studenti e delle studentesse, potrebbe rappresentare la chiave di volta di un nuovo modo di concepire l’educazione letteraria, e non solo. E in relazione a questo obiettivo, è utile riflettere su come dei suggerimenti importanti in merito ai nuovi possibili percorsi di attraversamento della tradizione letteraria ci stiano arrivando anche dal settore dell’editoria, dove da qualche anno le competenze acquisite in ambito accademico sono state utilizzate per ripensare l’impianto complessivo delle antologie.
Ciò che è auspicabile è che questa società, a cominciare dalla scuola, arrivi finalmente a pensarsi in maniera organica, riconoscendo se stessa nelle sue varie componenti sociali, etniche e culturali, e che soprattutto riesca ad accettarsi per quello che è, vale a dire come anche di sesso femminile, a dispetto delle proprie classi dirigenti. Si tratta, in ultima analisi, «di immergere la scuola in un bagno di realtà», per citare un illustre commento alla nostra lettera. La storia italiana è stata davvero costruita dalle voci, e più in generale dai corpi, di uomini e di donne, e gli uni non possono fare a meno delle altre. Io per esempio, che sono andata a scuola in Italia, questo l’ho capito molto tardi, quando ero quasi al termine del mio percorso di studi all’università. E oggi posso finalmente riconoscere, sempre per fare qualche esempio, di aver veramente imparato ad amare Manzoni quando ho letto Anna Banti. Posso dire che le strategie di analisi del testo affinate all’interno dei gender studies mi hanno permesso di leggere un autore come Boccaccio in maniera più ricca, completa, apprezzandone la profondità e l’attualità del messaggio, come, del resto, i limiti. E posso dire con convinzione che, pur non impazzendo di piacere nel confrontarmi con lo stile di un’autrice come Sibilla Aleramo, tuttavia ‘costringerei’ ogni ragazza e ragazzo dai quindici anni in su a leggere «Una donna», un testo che a suo tempo offrì un modello di soggettività femminile di grande successo (fu tradotto subito in varie lingue europee), e che ancora oggi ha molto da insegnare a donne e uomini. E poi… Ma ecco che ora anche io ho cominciato a produrre il mio piccolo canone. Meglio fermarsi qui.
(1) Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale. E altri scritti (Milano: Scritti di Rivolta Femminile, 1974), p. 54.