Al senato Usa arriva la pattuglia di donne più numerosa della storia. La guida Elizabeth Warren, giurista di Harvard, fondatrice del Consumer Financial Protection Bureau, incubo di Wall Street. Volto nuovo dei democratici, e della nuova coalizione sociale che ha portato Obama alla vittoria
Il volto nuovo dell’America
si chiama Elizabeth Warren?
Era fatta: quando, alle ventitre e qualche minuto, CNN ha proiettato la vittoria di Barack Obama, abbiamo tirato un sospiro collettivo di sollievo. La mia ansia, in quelle ore incollata alla tv, non era per il risultato presidenziale. Dalla convenzione democratica in poi – nonostante un momento di sconforto provocato dalla scena muta di Obama nel primo dibattito elettorale con Mitt Romney – sono sempre stata convinta della vittoria di Obama. Il fiato sospeso era dovuto a un altro motivo: il risultato al senato. I pundits – professionisti del commento politico – davano i democratici in difficoltà. La loro sconfitta avrebbe significato lo strapotere repubblicano nel Congresso degli Stati Uniti: gridlock, arroganza, sfide ad ogni passo, nomine alla Corte Suprema (e tutte le corti federali) in ostaggio della destra conservatrice. Si potrebbe obiettare che tutto ciò è quel che abbiamo avuto finora. Vero, ma una maggioranza repubblicana al senato avrebbe significato abbandonare ogni speranza di governo democratico. Il controllo repubblicano delle due camere che ne sarebbe derivato avrebbe assicurato un’opposizione costante ad ogni iniziativa del presidente.
Invece, grazie al voto delle donne, degli afro-americani, degli ispanici, e dei lavoratori del cuore industriale dell'America, il senato è saldamente in mano ai democratici. E i democratici al senato hanno un volto nuovo: quello di Elizabeth Warren. A lei si affiancano numerose altre donne – a gennaio le senatrici saranno 20 su un totale di 100, la percentuale femminile più elevata nella storia della camera alta americana. Il significato della vittoria di Elizabeth Warren non si riassume però soltanto nel numero complessivo delle elette o nel fatto che così i democratici hanno ripreso il seggio che per oltre quarant’anni era stato di Ted Kennedy, paladino liberal per eccellenza. Warren è quella che ha inventato il Consumer Financial Protection Bureau; è lei che ha insistito sul fatto che la crisi del 2008 non ha rivelato l'irresponsabilita’ dei consumatori ma l’irresponsabilità di chi li ha finanziati; è lei che, dalla sua cattedra alla Harvard Law School, ha condotto una campagna per imporre una regolamentazione alle banche così duramente osteggiata dalla stessa finanza che Obama, pur avendola inclusa fra i suoi consiglieri, non è riuscito a darle in mano l’agenzia da lei stessa progettata. “Wall Street, Your Worst Nightmare Won The Massachusetts Senate Race” ha titolato Business Insider; più stridulo, Bloomberg BusinessWeek ha lanciato un onomatopeico, “She’s BAAAACK, Now as a Senator”, augurandosi che nella sua nuova veste istituzionale la neo-senatrice si dimostri favorevole al dialogo con la finanza. Per conto suo, Warren ha detto di volere parlare con tutti: “democrat, republican, independent, libertarian, contrarian, vegetarian” Forse intendeva inserire Wall Street fra i libertari e i vegetariani.
Elizabeth Warren si definisce campione della “classe media” – un termine oggi utilizzato negli Stati Uniti per indicare la gente che lavora, riuscendo a guadagnarsi la giornata (o il mensile) senza accumulare privilegi di censo. I commentatori la dipingono come populista. Di fatto, Warren vanta una lunga discendenza da “hardscrabble okies” ovvero, povera gente dell’Oklahoma, stato in cui alla fine del’800 si radicò il “People’s Party” (che poi si fuse col partito democratico). Ma il populismo di Warren dovrà misurarsi con un “popolo” radicalmente diverso da quello dei tempi passati. Vi sono, certo, i lavoratori della grande industria e della pubblica amministrazione, che pur giocando sempre più di difesa comunque hanno speso in questa campagna più risorse che mai, e si vantano di avere giocato un ruolo cruciale nella vittoria democratica negli stati chiave di Ohio, Wisconsin e Nevada. Ma nel popolo statunitense oggi contano di più le donne che gli uomini (sono più numerose alle urne), e assumono un ruolo centrale immigrati una volta largamente ignoti sulla scena politica nazionale (gli ispanici), minoranze native (gli afro-americani) lungamente al margine della dialettica politica, e gruppi che esigono rispetto per identità sessuali (LGBT) tradizionalmente soggette a discriminazioni di ogni tipo. Questa, assieme all'elettorato giovanile, è la nuova coalizione sociale che ha ri-eletto Barack Obama.
Se la vittoria di Warren al Senato segna la ripresa di un discorso liberal forte, il suo successo dipenderà dalla capacità dei leaders politici di tradurre la trasformazione sociologica del paese in un saldo sistema di alleanze. In questo senso, l’esito delle altre battaglie senatoriali sono indicative. Tutti i commenti si soffermano sulla grande preferenza femminile per Obama - registrata ovunque, meno che fra le donne bianche. Pure loro, però, lo hanno scelto più spesso di quanto abbiano fatto le loro controparti maschili: Obama ha riportato il 42% dei voti delle donne bianche mentre Romney è stato votato da due terzi degli uomini bianchi. Ma il risultato è ancora più significativo se guardiamo a specifiche elezioni. In stati saldamente repubblicani che hanno votato Romney come presidente, le dichiarazioni offensive di candidati repubblicani al Senato hanno assicurato il successo dei contendenti democratici. Così è stato per Akin in Indiana, il quale aveva fatto sapere che nessuna vittima di un atto di “stupro legittimo” può rimanere incinta perché il corpo femminile ha la possibilità di “chiudersi” di fronte a tale evenienza; e per Mourdock nel Missouri, il quale vede nelle gravidanze risultanti da stupri l’espressione del volere divino. Inoltre, Kirsten Gillibrand, senatrice del New York alla sua prima prova elettorale (era stata nominata al senato dal governatore dello stato per sostituire Hillary Clinton, divenuta Segretario di Stato) ha tranquillamente portato a casa la vittoria: da notare che Gillibrand è da tempo impegnata in una campagna per promuovere la partecipazione delle donne nelle istituzioni politiche del Paese.
Le possibili alleanze si vedono ancora piu’ chiaramente nell’elezione di Tammy Baldwin, prima senatrice donna e primo senatore dichiaratamente gay del Wisconsin, fortemente sostenuta dai sindacati. Significativa appare anche a questo proposito la sconfitta in California di una referendum che avrebbe limitato la partecipazione politica delle forze sindacali (anche se nel Michigan, i sindacati hanno riportato una sconfitta in un referedum che avrebbe iscritto la contrattazione collettiva nella costituzione dello stato). E molto significativo appare anche il risultato pro-matrimonio gay di referendum svolti nel Maine, Maryland e Washington. Questi risultati depongono bene per il possible annullamento della legge nazionale – il Defense of Marriage Act , detto DOMA – che limita il matrimonio all’unione di un uomo e una donna. E poiché il significato di DOMA sta nei limiti che impone alle politiche federali, fra cui l’immigrazione, l’annullamento della legge (che il governo ha comunque smesso di difendere di fronte ai tribunali, ivi compresa potenzialmente la Corte Suprema) significa che coppie omosessuali sposate potranno beneficiare dei diritti all’immigrazione di cui godono le coppie etero.
Arriviamo così all’immigrazione – il grande nodo del voto ispanico, tema iscritto anche nell’agenda sindacale affianco alle tematiche legate ai diritti sociali e all’ occupazione. Non vi è dubbio che la riforma dell’immigrazione sarà sull’agenda di Obama2. Aggiungendosi alla riforma sanitaria, una riforma che costituisca una possibile via per legalizzare la presenza sul territorio di milioni di immigrati senza documenti assicurerebbe ad Obama un posto nella storia nazionale. Non è detto che la riforma che interessa le organizzazioni sindacali, la maggioranza degli ispanici e la comunità LGBT sia la stessa; ma ciò non impedisce il costruirsi di alleanze. Dopotutto, le alleanze si basano sulla cooperazione fra interessi differenziati (e, talvolta, contrastanti), non sulla identità di vedute. Attorno all’idea di un governo centrale capace di fornire protezione ai più deboli, di garantire politiche sociali efficaci a sostegno dei singoli e delle famiglie, di riconoscere e assumere come valore le diverse culture di cui questo paese si compone, si può ricreare una coalizione sociale e politica di cui le donne saranno – in tutti i vari gruppi etnici ed in tutti i ceti sociali – protagoniste. E’ questa la coalizione di cui Elisabeth Warren potrebbe essere espressione. Non tutti i democratici vorranno sostenerla – per molti, Obama2 deve caratterizzarsi per un rapporto meno ostile con Wall Street; in questo Warren non sembrerebbe al momento di grande aiuto. Ma ciò non toglie che potrebbe essere la figura trainante di una nuova compagine sociale, con la quale tutti dovranno misurarsi.