Nonostante tutto, un terzo delle donne in età lavorativa resta a casa. Ma cosa significa essere casalinghe oggi? Una ricerca descrive l'universo del lavoro domestico in quattro profili. Ne viene fuori che la "casalinghitudine" è una scelta solo nell'universo over 40. Tutte le altre aspettano, rimpiangono o desiderano un lavoro, fuori casa

Casalinghe oggi, in attesa di un mondo migliore

di Franca Maria Alacevich, Annalisa Tonarelli

Chi sono le casalinghe italiane oggi: angeli del focolare o frustrate, disperate? Mancando riflessione teorica, dati di ricerca e fonti statistiche fini, che ne descrivano i caratteri, si potrebbe pensare che si tratti di una specie in via di estinzione o di un residuo del passato che, abbandonata Voghera, esiste solo nelle serie televisive o nella pubblicità. Tutto il contrario. L'Indagine sulle Forze di lavoro mostra che circa un terzo delle donne in età lavorativa, anche tra le più istruite e le più giovani, si colloca nella categoria “atte a casa” (III trimestre 2012). Secondo il Rapporto Istat 2012, la percentuale di casalinghe aumenta proprio tra le neo madri, pur se con elevato titolo di studio. Il fenomeno appare “normale”, ovvio e, dunque, invisibile. La ricerca promossa dal Dipartimento di Scienza della Politica e Sociologia dell'Università di Firenze e finanziata dall'Amministrazione provinciale di Firenze ha cercato di guardarci dentro e spiegare come mai tante donne oggi restino o tornino a casa. In mancanza di fonti per costruire un campione rappresentativo, si è trattato anche di una sfida sul piano metodologico. Tra giugno e novembre 2012, sono state contattate donne inattive nei mercati e centri commerciali, davanti alle scuole, presso associazioni e ambulatori medici, e soprattutto in rete, raccogliendo circa 300 questionari e una ventina di interviste in profondità, nonché le testimonianze emerse nell’ampio dibattito online animato in forum dedicati. Nessuna pretesa di rappresentatività, dunque, ma una raccolta di elementi utili a studiare un universo ampio e ancora straordinariamente poco noto. 

I profili

L’analisi dei risultati è ancora in corso, ma già si nota come l'etichetta “casalinga” tradizionalmente intesa poco si adatti a rappresentare un universo composito e differenziato di identità, storie e aspirazioni, e appaia anche poco congeniale all’auto-rappresentazione delle donne. Ricomponendo alcune delle molte dimensioni indagate (motivazioni della “scelta”, aspettative, organizzazione della vita domestica, identificazione di ruolo) emergono quattro profili sociali diversi.  Le casalinghe appagate sono donne adulte (45-50enni) che hanno una visione tradizionale della famiglia e hanno scelto la vita domestica, ne rivendicano il valore e chiedono più riconoscimento sociale del loro ruolo. Si sentono donne fortunate, realizzate, privilegiate. Le casalinghe adattate sono donne adulte con una visione meno tradizionale dei ruoli di genere, generalmente lavoravano e si sono “adattate” ad occuparsi della casa e dei figli ma senza identificarsi con il ruolo tradizionale di casalinga, che sentono un po’ come un vestito cucito addosso e che rischia di diventare troppo stretto soprattutto quando, al crescere dei figli, diminuiscono le esigenze familiari. Si sentono sommerse da impegni familiari e avrebbe voglia di fare anche altro nella vita. Le casalinghe costrette sono donne scivolate nell’inattività per necessità (espulse dal mercato del lavoro) o scoraggiate. Quando lavoravano, sperimentavano le difficoltà della doppia presenza e rimpiangevano la possibilità di dedicarsi di più alla casa e, soprattutto, alla cura dei figli piccoli. Da casalinghe, vivono la dimensione domestica come una sorta di confino, si sentono costrette dalle circostanze a svolgere un ruolo in cui non si identificano. Le casalinghe temporanee sono donne più giovani e istruite che, nell’incertezza del futuro professionale, investono nella sfera familiare e domestica, vivendo la condizione di madri e mogli (o compagne) come una sorta di moratoria, in attesa di occasioni più favorevoli sul mercato del lavoro.

I percorsi

Oggi, forse più che in passato, non si diventa casalinghe per vocazione o per l'influenza di modelli culturali tradizionali. Da giovani, infatti, tutte le intervistate si prefiguravano un futuro professionale, la loro socializzazione è avvenuta all'interno di famiglie che ritenevano giusto e desiderabile per una donna investire nel lavoro. Cosa le ha spinte, dunque, a tornare a casa riproducendo un destino femminile dal quale le madri, spesso anche le nonne, si erano allontanate? Pur nella diversità dei percorsi individuali, la divisione familiare e sociale del lavoro si impongono come due dimensioni sempre presenti, pur se diversamente coniugate nei quattro profili.

La dimensione familiare e, soprattutto, la divisione dei ruoli nella coppia sono centrali nei percorsi delle appagate e delle adattate. Per le prime, la divisione familiare del lavoro è frutto di una strategia condivisa con il partner, il lavoro domestico ha un valore morale, soprattutto quello di cura, cui anche il marito/padre partecipa all'interno del ménage familiare. Per le seconde, la divisione dei ruoli è più rigida, tradizionale e funzionale, e il marito/padre è assente dalla vita familiare se non quando si tratta di assumere decisioni importanti. In altri periodi storici questo “aggiustamento” poteva essere appagante, ed era comunque naturale. Con la diffusione di nuovi modelli, le adattate  mostrano quell’insofferenza che già negli anni ‘70 la letteratura anglosassone descriveva nelle mad houswife novels (Kaufman 1967; Gennaro 2007), chiedono più condivisione dei compiti domestici, non per ottenere gratificazione quanto per poter tornare a investire nel lavoro come prima del matrimonio e della nascita dei figli. Tutte le intervistate hanno infatti alle spalle una carriera lavorativa.

Se le casalinghe gratificate e adattathanno abbandonato il lavoro volontariamente per dedicarsi alla famiglia, non è così per le costrette e le temporanee, per le quali la divisone sociale del lavoro acquista maggiore rilevanza, che hanno sperimentato difficoltà nel mercato del lavoro e nell’occupazione. Le prime, a seguito di un licenziamento o della fine di un contratto, si trovano confinate in un ruolo con cui non vogliono e non riescono ad indentificarsi, assomigliano più alle disoccupate che alle casalinghe. Le seconde rappresentano invece un universo per certi aspetti nuovo, su cui vale la pena  soffermarsi. Il loro stare a casa, che difficilmente denotano con il termine casalinga, è la risposta ad un mercato incapace di integrarle in modo permanente, o congruente con il capitale culturale accumulato. Sono giovani donne che, pur dando per scontata la parità tra i generi, manifestano una preoccupante disponibilità alla subordinazione di genere, sia nella sfera domestica che in quella lavorativa, un’inattesa disinvoltura nell'accettare la dipendenza, anche economica, da partner molto orientati all'affermazione professionale e poco coinvolti nella cura della casa e dei figli. Si ripropongono modelli del passato? O c’è una nuova divisione dei ruoli basata su diverse priorità nelle diverse fasi della vita? La seconda ipotesi appare più verosimile se si tiene conto che tra le temporary permane la certezza che, cresciuti i figli, potranno nuovamente investire nel lavoro, e la speranza che nel frattempo crescano opportunità di lavoro che consentano a donne, non più giovani, di coronare le proprie aspettative professionali senza rinunciare alla vita familiare. La “casalinghitudine” rappresenterebbe “quell'angolino caldo” di cui parla Clara Sereni (1987), un “temporaneo rifugio” per donne giovani e istruite con poche chances di realizzare le proprie ambizioni lavorative e che esorcizzano il sentimento di “inutilità sociale” che ne deriva investendo nella maternità e nella riscoperta di ruoli tradizionali (Margain 2007).

I problemi

Molto, e giustamente, si continua a discutere sul valore economico e simbolico del lavoro domestico:  una ricchezza prodotta all'interno dell'economia “fatta in casa” che va misurata e chiede soprattutto riconoscimento (per es, attraverso retribuzione e previdenza). Molto meno si è affrontato il tema dei costi, individuali e sociali, associati alla condizione di casalinga. La disponibilità delle donne a provvedere autonomamente alle esigenze domestiche, ritirandosi dal mercato, è non solo uno spreco di capacità e competenze ma anche un freno alla dinamica occupazionale: ostacola quel circuito virtuoso tra attività femminile, domanda crescente di servizi, aumento delle opportunità di lavoro e della ricchezza di un paese, non solo economica ma anche culturale. Gli atteggiamenti delle giovani temporanee fanno temere che si possa tornare indietro nella difficile strada dell’emancipazione femminile (Badinter 2003). Da questo punto di vista non va trascurato l’effetto che il rientro tra le mura di casa può avere nell’educazione dei figli e soprattutto delle figlie di queste casalinghe.

Tranne che nel caso delle appagate, tutte le donne intervistate sarebbero interessate a lavorare se fossero disponibili occupazioni che, magari valorizzando le competenze acquisite nella gestione domestica, favorissero la conciliazione dei ruoli. All'interno del dibattito animato in rete intorno alla ricerca, le posizioni delle donne si sono polarizzate tra casalinghe e lavoratrici che rivendicano entrambe il primato della propria scelta. Obiettivo dell'indagine era proprio quello di spostare la riflessione da questa contrapposizione, nella convinzione che la libertà non stia nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi alla prescrittività della scelta (Adorno 1994).

 

Riferimenti bibliografici:

Adorno T. W.  - Minima Moralia / Meditazioni della vita offesa - Einaudi, 1994

Badinter E., La strada degli errori, Milano, Feltrinelli, 2003

Margain C., La femme au foyer est-elle l'avenir du féminisme ?, Paris, Edition 1, 2007

Sereni C., Casalinghitudine, Torino, Einaudi, 1987

Kaufman S., Diary of a Mad Housewife, New York, Random House, 1967

Gennaro V., Tina e le sue sorelle, Torino, Einaudi, 2007


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