Era al top tra i paradisi finanziari, ma assia in basso in tante altre classifiche, comprese quelle del gender gap. Il modello economico e finanziario fallito a Cipro era insostenibile. Il che ci consegna alcune rapide lezioni di macroeconomia, e anche qualche speranza per un nuovo corso, più produttivo per tutti

Il "capitalismo casinò"
affondato a Cipro

di Antigone Lyberaki, Platon Tinios

Alle idi di marzo, Cipro ha catalizzato su di sé l'attenzione e l'immaginazione del mondo intero. Nonostante il caso cipriota sia stato considerato da più parti come un caso "speciale", le ragioni di tanta attenzione nei suoi confronti sono dovute al fatto che a Cipro si sono concentrati e vividamente mostrati in un colpo solo molti dei problemi economici irrisolti che ci affliggono a livello internazionale. Questioni che erano rimaste nell'ombra dalle prime avvisaglie della crisi nel 2007 e da cui molti avevano cercato di distogliere lo sguardo, nel caso di Cipro sono emerse in maniera così evidente da non poter più essere taciute.

La velocità e il modo con cui le cose sono precipitate hanno spesso spostato i riflettori dal vero problema, inducendo a valutazioni forzate e a prese di posizione ingiustificate. E' facile dire cosa il problema di Cipro non è: non è una questione nord-sud, come invece è stata presentata dalla maggior parte degli opinionisti in Grecia e nella stessa Cipro; non è, per lo meno non in prima battuta, una questione legata alla punizione di un centro di riciclaggio di denaro sporco; non è effetto della ristrutturazione del debito greco e delle conseguenti perdite subite dai detentori privati dei titoli di stato greci, né è legata in altro modo alla crisi greca.

Perché allora l'attenzione del mondo intero si è concentrata su Cipro? La nostra ipotesi è che a Cipro si siano riproposti gli stessi nodi che erano emersi in occasione della stretta creditizia americana del 2007, della bancarotta in Islanda e nel salvataggio delle banche irlandesi: da un lato, il rapporto tra l'economia reale e i bilanci pubblici, dall'altro la relazione tra il settore finanziario e le banche. Dal 2007 in poi, è divenuto sempre più ovvio ed evidente che le dimensioni del settore finanziario erano cresciute ben oltre quelle che l'economia reale poteva sostenere.

Questa non è una novità: già nel 1984, il neo-premio Nobel James Tobin nutriva seri dubbi sulla ragionevolezza di una crescita incontrollata del settore finanziario.

Il caso di Cipro rappresenta la massima espressione del problema, perché negli ultimi 20 anni il paese ha basato la sua rapidissima crescita economica essenzialmente sulle sue potenzialità come centro finanziario off-shore. Il risultato è che quando le banche cipriote sono fallite, l'economia reale è risultata evidentemente troppo debole per sostenerle. In Irlanda, lo stesso problema è stato affrontato imponendo misure di austerità per tre anni e il salvataggio dei più ricchi a spese dei più poveri. Dopo molti e sofferti dibattiti in merito, a Cipro la questione è stata risolta considerando i depositanti più facoltosi alla stregua di investitori, costringendoli ad accettare delle perdite ingenti, secondo il principio del caveat emptor (stia in guardia il compratore!). Per la prima volta nella storia dell'Unione Europea, i grandi depositi sono stati trattati al pari degli investimenti rischiosi. Ciò ha sollevato non poche grida di dissenso. Gli apocalittici scenari che erano stati evocati per il resto dell'Eurozona non si sono materializzati, neanche nei paesi del Sud: cosa che fa capire quanto sia esagerato identificare il destino dell'economia con gli interessi delle lobbies finanziarie.

Ampliando il discorso: negli ultimi dieci anni, mentre alcune forme di accumulazione della ricchezza legate all'economia reale (dividendi, profitti, beni immobiliari) sono stati bistrattati, i depositi bancari sono stati considerati sacrosanti, nonostante il fatto che il loro tasso reale di rendimento fosse sostenuto, nell'eurozona, da un'inflazione prossima allo zero e dalla facilità con cui i grandi investitori potevano ricorrere all'elusione fiscale.

Gli istituti bancari più propensi al rischio hanno dovuto offrire premi generosi, per attrarre capitali; quando i rischi si sono poi effettivamente materializzati, invece, sono stati i contribuenti a pagare.

Il salvataggio di Cipro ha ricordato agli investitori che il rientro da un indebitamento eccessivo può essere ottenuto non solo attraverso manovre sull'economia reale, ma anche con il coinvolgimento del settore finanziario. I presagi erano lì da tempo. Cipro ha imparato la lezione nel giro di due settimane. Questo cambiamento repentino porterà indubbiamente ad una profonda recessione che durerà quest'anno e nei prossimi a venire. Ad ogni modo, la consapevolezza che il modello di business che ci è sembrato vincente per vent'anni non sia più praticabile, è senza dubbio una lezione importante che il caso Cipro ha insegnato.

Cipro sarà costretta a reinventarsi, dopo questo doloroso cambio di rotta. La Finlandia lo ha fatto con successo nel 1992, dopo il crollo dell'Unione Sovietica. Cipro stessa ci riuscì in seguito all'invasione turca del 1974, in cui perse il 30% del suo territorio.

Se si guarda oltre un fosco breve termine, si può sperare che la ricerca di un nuovo modello economico porterà i suoi frutti. Dopotutto, ad attrarre capitali verso Cipro sono stati i ciprioti con la loro creatività. Alcuni capitali se ne andranno, ma le persone resteranno. Christopher Pissarides, economista del lavoro e premio Nobel, ha di recente affermato che il mercato dei servizi finanziari può senz’altro continuare ad esistere anche in assenza di grandi banche.

Ad ogni modo, in due settimane di tempo abbiamo avuto la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, che il modello economico seguito da Cipro negli ultimi anni era insostenibile. Ciò certamente è positivo, rispetto ad una presa di coscienza graduale e possiamo scorgervi un'opportunità da cogliere per ricreare un sistema più stabile.

Come potrebbe configurarsi questo nuovo modello? Lo si capirà col tempo. Ma c'è un aspetto in particolare che almeno la metà della popolazione di Cipro sarebbe contenta di lasciarsi alle spalle: uno dei particolari meno noti che caratterizzano il modello di crescita bancocentrico è il forte divario salariale fra donne e uomini: il più alto dell’Unione Europea tra gli ultra quarantacinquenni, e uno dei più alti nel settore privato (dove la differenza tra salari maschili e femminili è di circa 25 punti percentuali). La possibilità di ripartire daccapo dovrebbe perlomeno consentire una risposta forte nei confronti di questa lampante diseguaglianza. Se il nuovo modello economico si basasse su criteri più ampi e inclusivi, sarebbe in grado di sfruttare il potenziale di questa parte di popolazione che il “Casino capitalism” ha lasciato indietro.

 


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