Scheda. La prospettiva di genere
in ambito militare

di Stefania Bonaldi

Approvata all’unanimità il 31 Ottobre 2000, la risoluzione ONU n.1325 Women, Peace and Security è divenuta, nel corso degli ultimi quindici anni, il principale documento di riferimento per la questione di genere in ambito militare. La risoluzione, che fa esplicito riferimento all’impatto della guerra sulle donne e al contributo che le donne possono fornire alla risoluzione dei conflitti e alla definizione di una pace duratura nel tempo, fu adottata dopo anni di battaglie e appelli comuni da parte dell’intera società civile e di numerose organizzazioni femministe. 

Nell’anno 2000 erano ancora vivi i ricordi dei massacri e degli stupri etnici nei Balcani, in particolare durante la guerra in Bosnia Erzegovina, e in Ruanda, nel corso del genocidio della popolazione di etnia Tutzi del 1994, di cui le donne e le bambine furono le vittime principali.

La risoluzione ONU 1325 si concentra su quattro obiettivi prioritari:

  • il riconoscimento del fondamentale ruolo che le donne possono giocare nella prevenzione e risoluzione dei conflitti;
  • l’adozione di una “prospettiva di genere” nell’approcciare le questioni legate agli effetti dei conflitti e alla definizione di soluzioni pacifiche degli stessi;
  • una maggiore partecipazione delle donne, in virtù del ruolo a cui si faceva cenno sopra, ai tavoli tesi a prevenire o a risolvere i conflitti e le situazioni di crisi;
  • la formazione sulle tematiche afferenti alle questioni di genere, in particolare del personale che si trova a operare in zone di guerra/crisi.   

La risoluzione 1325, conosciuta anche come risoluzione delle 3P, mira, dunque, ad assicurare la prevenzione, la partecipazione e la protezione delle donne negli scenari dei moderni conflitti; allo stesso tempo rappresenta il punto di partenza per l’approvazione di una serie successiva di risoluzioni dal contenuto più specifico (n. 1820, n. 1888, n. 1889, n. 1960, n. 2106 e n. 2122) approvate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. A fattor comune, tutte queste risoluzioni sottolineano la necessità di una piena partecipazione delle donne, a tutti i livelli e in tutte le fasi delle crisi contemporanee, da quella di prevenzione del conflitto fino a quelle dell’individuazione di soluzioni dello stesso e della ricostruzione post-conflitto. 

Negli ultimi dieci anni, il mondo militare ha mostrato un crescente interesse verso l’implementazione della prospettiva di genere nelle cosiddette operazioni di supporto alla pace o operazioni di risposta alle crisi, riconoscendone la valenza sul piano operativo in termini di contributo al raggiungimento della missione militare da assolvere. 

Dall’esperienza maturata sul campo, in particolare nella missione afghana, e sulla base di quanto scritto nei documenti delle Nazioni Unite, presenti in tante aree con migliaia di peacekeepers, la NATO ha elaborato una serie di definizioni sulla questione di genere, riconosciute da tutti i paesi del Patto Atlantico e non solo. In particolare, con il termine genere ci si riferisce ad “aspetti che, definiti socialmente e connessi al fatto di essere uomo o donna, determinano la posizione di una persona in un dato contesto, oltre che le relazioni tra gli uomini e le donne e tra i ragazzi e le ragazze, come pure quelle tra le donne e tra gli uomini”. L’Integrazione della prospettiva di Genere è definita quale “strumento per valutare le differenze di genere tra uomini e donne in termini dei rispettivi ruoli sociali, della distribuzione del potere e dell’accesso alle risorse”.

Altro concetto divenuto fondamentale nel contesto militare è quello di gender mainstreaming, inteso come “strategia per raggiungere l’uguaglianza di genere, valutando le implicazioni per donne, uomini, ragazzi e ragazze di ogni azione pianificata e adottata con l’intento di assicurare che le situazioni e le esperienze degli uomini e delle donne siano presi in considerazione nella pianificazione, implementazione, monitoraggio e valutazione delle politiche e dei programmi da mettere in pratica”. Volendo semplificare tale concetto, si potrebbe dire che il gender mainstreaming implica che tutti gli operatori delle missioni internazionali si interroghino, prima di intraprendere qualunque azione, su quali siano le conseguenze su tutti gli attori che in esse saranno coinvolti direttamente e indirettamente, così da implementare nel modo più corretto possibile la prospettiva di genere e raggiungere l’uguaglianza di genere. Una tale azione non può prescindere dalla condotta di un’analisi di genere del contesto in cui si opera, ossia dalla comprensione della relazione tra uomini e donne nella società di riferimento. Volendo rimanere nel campo militare, nella fase di pianificazione di una missione sarà fondamentale capire i differenti bisogni degli uomini e delle donne e dei ragazzi e delle ragazze in termini di sicurezza nell’area d’operazione nonché delle relazioni di potere tra di loro, ad esempio, per ciò che riguarda l’accesso all’assistenza umanitaria che viene fornita dai contingenti militari. Non meno rilevante è il tentativo di capire come, in relazione alla cultura locale, lo stato sociale di uomini e donne possa mutare a causa del conflitto che ha portato all’intervento di peacekeeping

La prospettiva di genere è stata progressivamente definita quale strumento, al pari degli altri strumenti militari disponibili, utile all’assolvimento della missione militare con la caratteristica di essere un combat reducer e un force multiplayer, ossia di permettere il raggiungimento dell’obiettivo militare con una riduzione dello scontro diretto tra parti contrapposte.

Le lezioni apprese sul campo delle missioni internazionali hanno mostrato che il successo nella gestione delle situazioni di crisi passa attraverso il coinvolgimento dei canali politici, militari e civili, secondo quello che la NATO ha definito comprehensive approach, inteso quale complesso di azioni a 360 gradi che vede la partecipazione di tutti coloro che si trovano in zona d’operazione. L’applicazione di questo tipo di approccio richiede a tutti gli attori coinvolti, internazionali e locali, militari e civili, di prendere parte attivamente alla risoluzione della crisi, condividendone le responsabilità e contribuendo secondo la propria posizione nella società e le proprie possibilità. Dal comprehensive approach non possono essere escluse, naturalmente, le donne, insieme ai ragazzi e alle ragazze, ossia tutte quelle fasce di popolazione che fino a qualche anno fa erano considerate solo vittime dei conflitti e alle quali non veniva riconosciuto alcun ruolo attivo nella risoluzione delle crisi. In tal senso, l’adozione della prospettiva di genere nelle missioni militari internazionali è coniugata quale strumento analitico che aiuta a leggere la realtà in cui ci si trova e a operare tenendo in considerazione il punto di vista di tutti gli attori coinvolti (uomini, donne e ragazzi/e), così da poter mettere in pratica azioni che possano condurre a soluzioni durature dei conflitti e delle crisi. 

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