Al centro delle retoriche anti-gender c'è la difesa di un'infanzia "minacciata" da un'ipotetica pericolosa ideologia. Un'analisi del discorso che si staglia contro l'educazione alle differenze nelle classi

La grammatica
del discorso anti-gender

di Elisa Bellè

In Italia assistiamo a una crescente ondata di panico morale - peraltro profittevolmente alimentata da alcune forze politiche -, che ha per tema la cosiddetta “ideologia del gender” o “teoria del gender”. Molto e bene è stato sinora argomentato in proposito, anche sulle pagine on line di in-Genere[1]. Tuttavia, vale la pena soffermarsi su alcuni aspetti di questa vicenda, che chiamano in causa l’oscuro e angoscioso tema dell’infanzia minacciata. A ben vedere, sono infatti le bambine e i bambini i più grandi e involontari protagonisti di questo dibattito. Se guardiamo alle strategie discorsive e alle retoriche adottate dalle associazioni maggiormente attive nella polemica anti-gender, un gran numero fa riferimento proprio alla questione della difesa dei bambini. Non è un caso, del resto, che la più grande manifestazione pubblica sinora organizzata in Italia a livello nazionale sul tema - il Family Day, tenutosi lo scorso 20 giugno a Roma - sia stata convocata e organizzata da un comitato di scopo denominato per l’appunto “Difendiamo i nostri figli”, che a sua volta raccoglie sotto un unico ombrello alcune delle più attive e importanti organizzazioni anti-gender[2]. 

L’analisi delle strategie discorsive impiegate in occasione della convocazione del Family Day è illuminante, in termini di costruzione di minaccia pubblica all’infanzia e alla sua innocenza. Infatti, il comunicato stampa di convocazione[3] presenta il comitato come un soggetto “apartitico e aconfessionale, formato da liberi cittadini che, dando voce a milioni di famiglie nel nostro paese, vogliono pubblicamente ribadire il diritto dei genitori a educare e istruire i figli, specialmente con riguardo alle tematiche della affettività e della sessualità milioni di famiglie […]. Il popolo è infatti sconcertato e preoccupato per figli e nipoti […]”. 

Il soggetto parlante qui non è né un partito, né una confessione religiosa - a dispetto della collocazione dei promotori - bensì “i liberi cittadini”, a loro volta parte di un più grande popolo, quello delle famiglie. La piazza del Family Day, il popolo delle famiglie, esprime un’unica, grande preoccupazione, ovvero la difesa dei “nostri figli”, toccando quindi le corde emotive dell’amore e dell’ “innocenza dei nostri bambini”, che necessita di essere salvaguardata contro la corruzione morale. 

Il popolo delle famiglie si contrappone a sua volta, secondo un procedimento tipicamente populista di demarcazione noi-loro[4], alle “lobby scientifiche, responsabili di una autentica invasione nascosta della ideologia Gender”, che indottrina e disorienta la maturazione dei bambini. Il “comune” - dunque maggioritario e intuitivo - sentire del popolo delle famiglie viene opposto alla 'lobby scientifica' del gender, etichetta che richiama una dimensione segreta, manipolatoria, quasi eugenetica di scienza. Inoltre, come evidenziato in altri contributi[5], l’utilizzo del termine Gender - non tradotto dall’inglese e in maiuscolo -, richiama il tema della colonizzazione ideologica da parte di altre culture e società - in particolare quella accademica anglofona -, estranee ai valori, alla società e alla cultura mediterranea cattolica. Si risolve così, in termini di delegittimazione scientifica, il problema della contrapposizione tra paesi che hanno, seppure in misure diverse, riconosciuto e regolato le unioni omosessuali e paesi nei quali tale riconoscimento ancora manca - nel contesto dell’Unione Europea a 28, latitano ormai soltanto 9 paesi: Italia, Grecia, Cipro, Lituania, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Bulgaria e Romania. In termini di costruzione di retorica pubblica, questa impostazione del discorso permette di contrastare ogni ipotesi di legge sulle unioni civili - più, nello specifico, il ddl Cirinnà, proprio in questo periodo giunto ad una nuova tappa del suo lungo iter parlamentare -, smarcandosi da eventuali accuse di oscurantismo e spostando il focus sui pericoli di una falsa scienza, che nasconde intenzioni colonizzatrici e pericoli per l’infanzia. 

Infatti, è in relazione alla salvaguardia del diritto all’educazione dei figli e alla loro “maturazione psico-affettiva” che viene proposto il tema portante della mobilitazione, vero cuore del problema, ovvero il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali. Sono le “ideologie del gender”, infatti, che mettono in discussione “il fondamento stesso della famiglia, così come riconosciuta dalla nostra Costituzione”. Tali ideologie “sono pronte a sacrificare sull’altare dei diritti civili il diritto naturale dei bambini a crescere con mamma e papà”. Un discorso di saldatura abile: l’educazione al genere mina lo sviluppo identitario di bambine e bambini, aprendo la strada alla legittimazione culturale delle unioni omosessuali. A conti fatti, davvero una sciagurata idea, quella di insegnare nelle scuole pubbliche, alle bambine e ai bambini, che possono essere libere/i di scegliere che cosa vogliono essere e fare della loro vita, della loro identità, dei loro desideri e della loro affettività, senza pregiudizi e discriminazioni.

Il discorso in opposizione viene costruito in maniera efficace perché ambigua: da una parte, richiama la definizione costituzionale di famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio” (art.29 della Costituzione italiana), rimandando dunque a un orizzonte ampio e generale, fondamento del quadro democratico comune. L’attenzione del soggetto è tesa a costruirsi come forza maggioritaria, larga e soprattutto legata ad una dimensione fondativa, sociale e statuale al contempo, secondo un procedimento proprio del populismo: il soggetto populista si dà come sintesi globale e cicatrizzante del popolo intero[6]. Dall’altra, la strategia discorsiva chiude quello stesso alveo, definendolo implicitamente come immutabilmente eterosessuale, attraverso la connessione con la dimensione della naturalità. 

È importante notare come la leva centrale della costruzione discorsiva - non solo del Family Day, ma di buona parte delle retoriche anti-gender - giri attorno alla dicotomia natura-cultura. È questa l’argomentazione che permette di connettere la questione dell’educazione dei figli a quella delle unioni omosessuali, ribadendo l’esistenza di maschilità e femminilità naturalmente differenti e complementari, poiché generate da differenze fisiche e psicologiche incommensurabili[7]. In sintesi: ci sono modi ben precisi, dati, definiti e naturali di essere uomini e donne, tutto il resto è corruzione ideologica. Ecco come delegittimare, in due semplici mosse, la storia decennale degli studi femministi, di genere e dei queer studies - a loro volta nati da lotte e rivendicazioni che hanno permesso l’acquisizione di diritti fondamentali, tanto per le singole esistenze, quanto per un avanzamento culturale e sociale collettivo. Studi e, ebbene sì, teorie - terribile parola, in un mondo in cui tutto è natura… anche il dogma religioso? -, che riccamente e variamente ci hanno detto che donne e uomini non si nasce, ma si diventa. Che è più intelligente pensare per processi, anziché per dicotomie e che questo divenire in cui siamo immerse/i è animato da elementi storici, culturali, geografici, e dà forma ed è formato dal potere. D’altra parte, la difesa di questa naturalità dell’ordine di genere - e, in esso, delle relazioni affettive e di cura legittimate e a denominarsi “famiglia” - viene fatta in nome e per conto di un soggetto che difficilmente può parlare per sé e che viene dunque facilmente “parlato” da altri/e: l’infanzia da proteggere, ovvero le bambine e i bambini, quelli in carne e ossa. 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Si vedano i contributi su In-genere.it di Barbara Poggio, Se l’educazione di genere fa paura e di Barbara De Micheli, Stereotipi, parliamone dalle materne.

[2] Se si verificano le biografie politiche (pubbliche e disponibili on line) di molti/e dei/lle componenti del comitato promotore di Difendiamo i nostri figli, è possibile risalire alle seguenti organizzazioni: Non Si Tocca la Famiglia, La Manif pour Tous, Scienza e Vita, Giuristi per la Vita, Provita.

[3] I virgolettati indicano citazioni letterali del Comunicato stampa di convocazione della manifestazione Family Day, datato 8 giugno 2015.

[4] Mény Yves, Surel Yves (2002), “The Constitutive Ambiguity of Populism”, in Y. Mény, Y. Surel (a cura di), Democracies and the Populist Challenge, Palgrave Macmillan, London, 1-21.

[5] Garbagnoli, Sara (2014), “‘L’ideologia del genere’: l’irresistibile ascesa di un’invenzione retorica vaticana contro la denaturalizzazione dell’ordine sessuale”, About Gender, 3(6), 250-263.

[6] Incisa di Camerana, Ludovico (2000), Fascismo, populismo, modernizzazione, Pellicani, Roma.

[7] Si tratta della posizione ufficiale della Chiesa cattolica, rintracciabile tanto nella teologia della donna promulgata da Giovanni Paolo II, quanto nel successivo Lexicon del Pontificio Consiglio per la famiglia della Chiesa cattolica, pubblicato per la prima volta nel 2003.


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