I dati dei primi monitoraggi dell'Osservatorio regionale sulla violenza raccontano cosa succede nei centri antiviolenza pugliesi
Centri antiviolenza,
cosa succede in Puglia
Nel territorio pugliese si è reso possibile l’avvio di una prima rilevazione[1], sia pure molto parziale, sul fenomeno della violenza di genere. Il report predisposto e diffuso in questi mesi dall’Osservatorio regionale sulla violenza alle donne e ai minori[2], si propone di offrire un ritratto chiaro e netto di ciò a cui si assiste. Attraverso la rielaborazione dei dati relativi agli accessi delle donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza nel corso dell’anno 2014, forniti da 15 centri antiviolenza, è stato possibile circoscrive le caratteristiche socio demografiche, le tipologie di violenze subite e gli aggressori delle donne.
Gli accessi delle donne ai centri antiviolenza nel 2014 - comparati a quelli relativi al 2013, pari a 1.453 - sono stati di poco superiori, per un totale di 1.502 donne. In riferimento alle modalità di accesso delle donne ai centri antiviolenza, è emerso che il 72% delle donne si rivolge spontaneamente ai centri – ciò ad indicare una maggiore consapevolezza nei confronti della violenza subìta, riconosciuta come tale e non paragonabile a una situazione di “conflittualità” della coppia; mentre nel 28% dei casi l’accesso delle donne ai centri è avvenuto su invio di altri servizi, una percentuale in crescita rispetto al dato del 2013 (21%).
Questo incremento rimanda sicuramente a una maggiore e più efficace attività di informazione/prevenzione dei servizi territoriali e delle forze dell’ordine, che orientano le donne verso i centri antiviolenza, fornendone i contatti utili in riferimento alla presenza sul territorio. Va richiamata, inoltre, l’importanza dell’adesione dei centri antiviolenza al 1522, il numero nazionale di pubblica utilità che riceve la chiamata in entrata della donna smistandola al centro antiviolenza a lei più vicino. Sempre dai dati rilevati, l’Osservatorio regionale pugliese sulla violenza alle donne e ai minori riconosce, quale fattore determinante per l’emersione del fenomeno e per la relativa domanda, l’importanza della presenza del centro antiviolenza sul territorio.
Rispetto alla nazionalità delle donne, la maggior parte risulta essere di cittadinanza italiana (91%), il 3,5% ha cittadinanza nei paesi Ue, il 5,5% è invece di cittadinanza extra Ue, a conferma dei dati registrati nel 2013.
I dati del 2014, anche in relazione all’annualità precedente, sintetizzano alcune linee di tendenza, e tra queste: la trasversalità della violenza agita sulle donne alle fasce di età (la più colpita dalla violenza risulta essere quella tra i 30 e i 49 anni, 47,3%), ai titoli di studio (37% con “diploma di scuola media superiore” e con “licenza media inferiore”, seguita dalla percentuale di donne in possesso del titolo di laurea, 14,3%, e da quella delle donne in possesso della licenza elementare 7,6%), e alla condizione lavorativa.
I dati confermano, inoltre, che le donne subiscono violenza prevalentemente nel contesto domestico e nelle relazioni intime, si rileva infatti una percentuale complessiva dell'80%, che apre uno spaccato immediato sul delicato e complesso tema della violenza assistita di cui potrebbero essere vittime i figli minori conviventi.
Un dato interessante, che merita una riflessione ulteriore, riguarda i servizi che le donne chiedono al centro antiviolenza e tra questi, in primis, vi è la richiesta di informazioni e ascolto (31,3%), seguita poi dalla consulenza legale (13,5%) e psicologica (12,1%).
Il bisogno di ascolto e di accoglienza, prima ancora degli altri, è quello con cui le operatrici dei centri antiviolenza si confrontano più spesso, lasciando emergere la tendenza, ancora troppo dominante, di una mancanza di riconoscimento - a volte anche da parte dei diversi contesti e servizi ai quali la donna si è rivolta nel suo percorso - al vissuto che ogni donna, con estrema fatica, porta.
Una richiesta che deve trovare, in nome di un’empatia - intesa nel significato più profondo del termine - e della “relazione tra donne”, metodologia e approccio storico dei centri antiviolenza, uno sguardo in grado non solo di riconoscere e accogliere il detto e “non detto”, ma di rimandare alle donne anche la "forza" e la "resilienza" della quale è ancora intrisa.
Laddove il centro antiviolenza inizia a essere percepito dalle donne, dalle operatrici che in esso vi operano e dagli attori territoriali come uno spazio di “libera espressione del sé”, nella garanzia del più completo anonimato, ha realmente inizio un percorso di fuoriuscita dalla violenza, volto al recupero di dimensioni quali la libertà, l’autodeterminazione nello scegliersi ancora, la ricostruzione di reti sociali coniugate con la fitta destrutturazione di quegli stereotipi di genere, che fungono da humus e collante nel rimanere all’interno di situazioni di violenza.
Il ruolo dei centri antiviolenza è sicuramente strategico nelle reti locali di prevenzione e contrasto alla violenza, ma è necessario continuare a lavorare in direzioni di sinergie da rimodulare tempestivamente, alla luce di criticità che via, via, potranno emergere, elicitando forme mentis e linguaggi condivisi, in assenza dei quali il rischio di impasse o di paralisi – a scapito delle donne - è altissimo. Non è sufficiente, seppur indispensabile, definire livelli di governance, ruoli e competenze, laddove essi non collimino nel profondo con la “mission” del contrasto nel pensiero e nel sentire, che spinge a estendere le prospettive e a leggere ogni segnale sospetto che riconduca a una possibile forma di violenza.
La violenza paralizza, è questa una certezza immediata, e a volte, purtroppo, non solo le donne, anche le professioniste e professionisti del settore che appaiono arenati in un’immobilità che uccide, e, nello scarico agghiacciante di responsabilità, impedisce di liberarsi dalla confusività di un ciclo che va invece spezzato a oltranza, senza remore alcuna.
È una responsabilità a cui tutte e tutti siamo chiamati se realmente vogliamo scandagliare un macigno che non concede sconti, né tempo da procrastinare.
NOTE
[1] Grazie al sostegno di una corposa normativa, la legge regionale n.29/2014 - “Norme per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere, il sostegno alle vittime, la promozione della libertà e dell’autodeterminazione delle donne” - espressamente varata a sostegno delle donne e delle attività dei centri antiviolenza- e al piano operativo antiviolenza di attuazione della stessa legge.
[2] I dati contenuti nell’articolo sono stati estratti dal Report I centri antiviolenza in Puglia. Dati di monitoraggio 2014. Fonte: Osservatorio regionale sulla violenza alle donne e ai minori. È in corso il secondo screenig relativo agli accessi delle donne ai centri antiviolenza pugliesi per il 2015, e parallelamente, la raccolta dei dati relativi ai minori vittime di violenza assistita.
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