La Spagna è il paese dell'Unione europea che nel 2019 ha generato maggiore occupazione femminile. Intanto, mentre sempre più donne "appendono il grembiule" da casalinghe, gli uomini che si occupano delle case aumentano lentamente. Un'analisi a partire dagli ultimi dati disponibili

Le spagnole appendono
il grembiule al chiodo

di Marina Turi

In Spagna il numero delle casalinghe si è ridotto a 3,21 milioni, la metà delle quali hanno una età superiore ai 60 anni. A mostrarlo sono i risultati dell'ultima EPA (Indagine sulle forze di lavoro) dell'Ine (Istituto nazionale di statistica spagnolo). Come altrove, anche in Spagna quella della casalinga è un'occupazione ancora inclusa tra le classi di inattività non retribuita e, come confermano i dati dell'indagine, principalmente svolta da donne in età avanzata.

L'attività principale classificata come lavoro domestico per le donne ha mantenuto negli anni un andamento lievemente ondivago, ma con una tendenza al ribasso costante dal 2002, segnando una riduzione di oltre un terzo negli ultimi diciassette anni, fino a raggiungere il 35,2%. Una diminuzione costante, che ha subito un leggero rallentamento solo negli ultimi cinque anni.

Allo stesso tempo, il numero di uomini la cui attività principale è fare il casalingo, o meglio il numero di uomini formalmente inattivi che si dedicano alla pratica di lavori domestici, è più che quadruplicato nello stesso periodo, passando dalle 82mila alle 387mila unità.

Guardare ai dati sull'occupazione è utile a capire meglio cosa sta accadendo.

La Spagna è il paese dell'Unione europea che, nel 2019, ha generato più occupazione e in particolare più occupazione per le donne. A dirlo sono i dati pubblicati dall'Eurostat, l'ufficio statistico europeo: se si prende in esame l'intervallo di tempo compreso tra il terzo trimestre del 2018 e lo stesso trimestre del 2019, i posti di lavoro creati in Spagna sono stati 323.100, più dei 254.100 posti creati dalla Germania o dei 243.400 posti del Regno Unito, all'epoca della rilevazione ancora nell'Unione. Secondo i dati a disposizione la capacità di creare posti di lavoro ha avuto un tasso dell'1,7% per la Spagna, valore tre volte più alto dello 0,6% registrato per la media europea, compreso tra il tasso del Portogallo allo 0,9% e quello della Germania allo 0,6%, passando per l'Italia, più indietro, con uno 0,4%.

Ma c'è di più: la Spagna è attualmente il secondo paese dell'Unione europea a creare la maggior parte di occupazione femminile. I posti di lavoro rilevati per le donne risultano 173mila, meno della Germania con i suoi 189.500 contratti al femminile, ma sicuramente più dei 70.700 dell'Italia e degli 8.600 del Portogallo. Il tasso di creazione di posti di lavoro per le donne, in Spagna, è del 2%, il doppio della media dell'Eurozona ferma all'1%.

Questi dati sono confermati anche dall'indagine sulle forze di lavoro) dell'Ine. Considerando l'ultimo trimestre dell'anno passato si parla della migliore performance trimestrale dal 2006: 402.300 nuovi posti di lavoro, 155.500 assegnati agli uomini (+1,5% su base annua) e 246.800 assegnati alle donne (+2,8% sempre su base annua). Le donne che lavorano rappresentano il 45,9% del totale degli occupati, è una cifra record, quattro decimi in più rispetto all'anno precedente. Queste statistiche dicono che, per ben due trimestri nel 2019, il numero di donne occupate è stato superiore a 9 milioni, dato finora mai raggiunto, neanche durante il boom economico prima della battuta di arresto per la crisi dovuta allo scoppio della bolla immobiliare spagnola, alla fine del 2008. 

È a questo progressivo inserimento nel mercato del lavoro che corrisponde un minore numero di donne, classificate come inattive, che si dedicano al lavoro domestico.

Quindi: mai così tante donne inserite nel mercato del lavoro, sempre più donne che "appendono il grembiule" da casalinga, e qualche uomo in più che dichiara come sua attività principale di svolgere i lavori domestici e di cura.

L'evoluzione in corso resta comunque segnata da contrasti e interrogativi.

Analizzando il dettaglio si vede subito che il volume complessivo del lavoro femminile resta inferiore a quello degli uomini di 1,5 milioni di unità. A questo si aggiunge che tre disoccupati su cinque sono donne, e continuano a essere loro quelle che più subiscono gli aspetti dannosi dell'ultima crisi economica.

La segreteria per le donne e l'uguaglianza della Confederación Sindical de Comisiones Obreras (CCOO), la più importante confederazione sindacale spagnola, considera questi dati più incoraggianti rispetto a quelli pubblicati in altre occasioni, anche se “persistono importanti divari di genere che non vengono corretti, il che rafforza il loro carattere strutturale in un mercato del lavoro che non è in grado di basare la sua crescita su un'occupazione di qualità”.

Se il numero di donne occupate cresce, è infatti altra cosa la qualità del lavoro a cui hanno accesso. Non si hanno segnali di cambiamento nel modello di produzione e l'occupazione che si crea rimane concentrata in settori a medio-basso contenuto tecnologico, con un basso contributo dell'industria, dei servizi e del settore pubblico. Inoltre, permangono disuguaglianze strutturali che colpiscono da sempre la partecipazione femminile al mercato del lavoro in condizioni di piena parità e che condizionano altri aspetti della vita delle donne, a iniziare dalla capacità economica.

Infatti per le donne il  tasso di occupazione temporanea risulta del 28%, di due punti superiore a quello degli uomini e due volte superiore a quello europeo, e il tasso di occupazione a tempo parziale è del 25%, che cresce al 30% per il settore privato, tre volte superiore a quello degli uomini. L'inserimento delle donne nel mercato del lavoro è progressivo, ma sempre con discriminazione.

Disparità che salta agli occhi analizzando i dati dell'occupazione per tipo di contratto e settore: il 52% delle donne è spesso costretta ad accettare un lavoro part-time, perché non riesce a trovare un'occupazione a tempo pieno, mentre un 14% non può permettersi di rifiutare il tempo parziale, proprio perché deve occuparsi degli anziani, dei minori o delle persone a carico, per svolgere quel lavoro di cura che il welfare spagnolo non riesce più a garantire. Gli obblighi di assistenza e di cura continuano a ricadere principalmente sulle donne, ostacolando le loro opportunità di lavoro, peggiorando le loro condizioni di vita materiale e la loro autonomia.

Tuttavia, un timido entusiasmo viene da quei dati che evidenziano l'inizio di alcuni cambiamenti proprio in questa distribuzione dei compiti di cura, almeno nella sfera domestica, dove sia il numero che la percentuale di donne che lavorano come casalinghe registrano una riduzione significativa, sostituite, certo ancora troppo lentamente, dagli uomini.

Osservando la distribuzione di persone che si dichiarano responsabili delle mansioni domestiche, distinta per fasce d'età, offerta dalla stessa indagine delle forze lavoro, si capisce che  si tratta di gruppi di età avanzata con tendenze al ribasso, nel caso delle donne, a eccezione di quelle sopra i 70 anni e in leggero aumento, nel caso degli uomini, a partire dalla fascia di età al di sopra dei 50 anni. Tra il 2002 e il 2019, il tasso di uomini che si dedicano ai lavori domestici tra quelli in età lavorativa, gli attivi, è passato dallo 0,48% al 2,01%, mentre quello delle donne è sceso dal 27,43% al 15,86%.

Quello che non si può leggere nei numeri e nelle tabelle pubblicate dalle indagini è che il lavoro riproduttivo e di cura è alla base della coesione sociale, ed è quindi un'esigenza sociale che deve essere condivisa da donne e uomini, in modo corresponsabile, ma anche dalla società e dallo stato, attraverso politiche, misure, infrastrutture e servizi pubblici universali e di qualità.

Riferimenti

EPA, Indagine sulle forze lavoro, quarto trimestre 2019, 2020

Eurostat, GDP growth in the euro area and EU27, 2020

CCOO, Notas sobre la encuesta de población activa Cuarto trimestre de 2018, 2019  


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