Il nuovo governo ha giurato. E non solo le donne sono poche e in maggioranza "senza portafoglio", ma a sinistra sono scomparse. Serve una reale mobilitazione di tutte, per non rimanere fuori

Governo Draghi. Non
ci siamo, non ci stiamo

di Roberta Carlini

Anche stavolta sarà per la prossima volta. Nel più largo dei governi – molti ministeri, qualcuno nuovo; moltissimi partiti, tutti tranne uno; molto apprezzamento, dai media locali agli alleati internazionali – non c’è sufficiente spazio per le donne.  Nel consiglio dei ministri siederanno 8 donne, un terzo del totale. Otto in tutto, 3 in quota “tecnici” e 5 in quota “politici”. Tra i politici, per Pd e Leu la quota è zero. Tutti uomini. Venerdì sera, a caldo, ho commentato su twitter: “Almeno adesso sappiamo cosa ha detto Zingaretti agli altri: le donne le portate voi?”. Molte risate e molti apprezzamenti, come sempre quando si motteggia sui social. Ma adesso non è il momento di scherzare.

Primo. Nel più improbabile dei totoministri sul quale si esercitava la stampa prima che Draghi sfornasse la lista (improbabile, poiché nelle stesse pagine nelle quali si pubblicavano le previsioni, si giurava sull’assoluto riserbo dell’Incaricato: ma allora, da dove venivano quei nomi?), girava una previsione: governo paritario. Che vuol dire, metà e metà, com’è nella popolazione, e come succede spesso nei posti nei quali si accede in base al merito, dato che le donne competenti non mancano nelle professioni aperte all’ingresso senza cooptazione. Perché? Il profilo internazionale di Draghi, la sua frequentazione degli ambienti europei nei quali la parità è più avanti che da noi, e anche del gotha dell’economia (ricordiamo che al momento le postazioni chiave delle istituzioni economiche mondiali sono occupate da donne: la direttrice e la capo economista del Fmi, la capo economista dell’Ocse, la presidente della Bce, la presidente dell’Unione europea, la segretaria al Tesoro Usa), faceva pensare che automaticamente avremmo importato quello stile. Invece no. Tra gli otto “tecnici” la percentuale delle donne (Luciana Lamorgese agli interni, Marta Cartabia alla giustizia, e Cristina Messa all’università e ricerca) è leggermente superiore a quella media ma comunque sotto la parità. Tutte e tre sono state scelte per le loro brillanti carriere nei rispettivi ambiti, indipendentemente dalle loro posizioni e battaglie sui temi della parità di genere e di politiche a essa orientate. Anzi, Marta Cartabia, stimatissima giurista, ha preso esplicitamente posizioni contro l’aborto e i matrimoni omosessuali.

Secondo. I partiti. Non sappiamo se le donne scelte in quota “politici” siano state indicate dai partiti oppure autonomamente scelte da presidente incaricato tra le persone ritenute più adatte nell’ambito di ciascun partito. Sta di fatto che anche in questo caso sono poche (5 su 15), e solo una viene da partiti appartenenti all’area del centrosinistra: Elena Bonetti di Italia Viva, alle pari opportunità: non solo una casella ovvia (qui a inGenere sogniamo un mondo nel quale le pari opportunità vadano a un uomo e l’economia a una donna), ma per giunta abbinata alla famiglia, secondo una interpretazione, che Bonetti probabilmente condivide, per cui il problema principale è la conciliazione tra famiglia e lavoro, ed è un problema delle donne-mamme. Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, si è come scusato promettendo maggiore equilibrio nella squadra, forse pensando ai sottosegretari – del resto, non è tra le segretarie che si ammassano le donne? Ma il punto non è quello che i segretari pensano e promettono, mentre guidano delegazioni tutte incravattate e posano in foto di gruppo monosessuali. Né, ovviamente, nella scarsa disponibilità di donne capaci (sempre per restare ai temi economici, il solo piccolo partito di Leu ha a disposizione due donne competentissime, Maria Cecilia Guerra e Nerina Dirindin, la prima esperta di finanza pubblica e la seconda di economia sanitaria, esattamente le due priorità in questo momento). Forse il punto è nella forma-partito: secondo Marta Bonafoni, consigliera della regione Lazio il problema è la logica delle correnti: se si accetta questa, e si accetta che facciano capo tutte a uomini, è chiaro che poi ci troveremo in queste condizioni. Ma anche Lega e Forza Italia hanno forma di partito, e persino, per quanto anomala, i Cinque stelle. Allora, la domanda è: perché proprio a sinistra le donne scompaiono sempre al momento decisivo? Forse per lo stesso motivo per cui tra le donne tecniche non ci sono femministe, né in vago rapporto con i movimenti delle donne. Le donne della destra – alcune competenti, capaci, altre assai meno – hanno una visione del mondo tradizionale, non sono lì per ribaltare i ruoli, e tant’è che sono state selezionate dai capi, in base a criteri di appartenenza e immagine (anche se poi sono state brave a farsi strada e mantenere le posizioni, smarcandosi dalla provenienza originaria; e in alcuni casi, com’è quello di Mara Carfagna, anche facendo proprie battaglie che prima non erano affatto nel suo orizzonte politico). Dalle donne di sinistra ci si potrebbe e dovrebbe aspettare una proposta politica diversa: dunque di cambiare l’agenda, non solo la distribuzione dei posti.

Terzo. Appunto, l’agenda. Nel nuovo governo la gestione del recovery plan, quello che dovrebbe essere orientato al gender mainstreaming, e avere come obiettivo trasversale il raggiungimento della parità economica, è saldamente in mani maschili. La domanda di parità nella governance è già stata respinta: e per i contenuti? Non mancano le liste delle cose da fare, e il metodo da seguire, per far sì che dalla terribile crisi in cui siamo si esca grazie e con il lavoro femminile; le hanno elaborate, anche nella diversità di approcci e vedute, tanti movimenti e gruppi di donne in questi mesi per esempio la piattaforma Half of it. Nessuna delle tante che hanno partecipato e parteciperanno a questa opera è stata “assunta” nel cielo governativo. Una lezione se ne può trarre: la lotta per imporre questa agenda dovrà crescere ma potrà contare poco sui partiti tradizionali, almeno a sinistra. Dovrà concentrarsi sui contenuti, e sui modi per comunicarli e imporli dal basso, senza più attendersi che dall’alto qualcuno apprezzi e conceda.


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