Lettere a inGenere. Cambiare lingue e dizionari
A proposito di lingua sessista, vorrei affrontare l'argomento dalla prospettiva di un'insegnante che in modo funzionale ne utilizza i diversi registri. Aderire ad uno o all'altro serve (funziona a) a intrattenere una comunicazione con diversi tipi di parlanti ma anche a comunicare il proprio posizionamento.
In classe posso abbassare il registro linguistico per farmi capire, ma anche usare il dialetto per condividere l'appartenenza o una terminologia più specifica per far entrare alunni e alunne in un nuovo universo anche simbolico da esplorare.
Pure nella comunicazione di tutti i giorni le scelte terminologiche con la nostra lingua, più sessista di altre, dice anche del nostro posizionarci, del nostro condividere un punto di vista piuttosto che un altro. Un modo d'indossare un abito mentale stavolta. Se sto all'estero e non voglio accontentarmi dell'inglese e faccio uno sforzo per imparare delle parole in un'altra lingua, dico qualcosa anche di me.
Allora dire avvocate, architette, dirigenti scolastiche, direttore, ministre etc. dice molto anche di dove vogliamo essere. Del resto poi comunicare significa mettere in comune. E si può mettere in comune solo ciò che ci appartiene. Che ci appartiene per studio, esperienza o scelta.
C'è sempre un po'di noi, sennò è un semplice trasmettere che non ci riguarda e in cui non mettiamo niente di nostro: lo riceviamo dalla società, dal patriarcato, dalla tradizione e lo lasciamo inalterato come se non ci riguardasse. Un abito cui ci adattiamo invece di adattarlo a noi stesse, un titolo di cui siamo insignite, ma che teniamo ben lontano dal nostro nome.
Combattiamo allora il sessismo non dall'idea che solo la grammatica possa dirci cosa è giusto o sbagliato, ma dall'idea che la scelta terminologica dipenda da ciò che si persegue e da dove ci si colloca. Uso per esempio dire che sono una poeta o la direttora di una biblioteca in un certo contesto mentre quando prendere posizione non è importante uso "poetessa' o 'direttrice'.
Quando penso al linguaggio mi vengono sempre in mente i bei versi di Iolanda Insana "(...)/ Non ho capito bene/non ho deciso ancora/se la lingua mi lascia dire/o mi obbliga". Da una parte ci leggo la consapevolezza del condizionamento del linguaggio che delega alla"inesistenza ciò che non è dicibile, ma anche l'aspetto soggettivo della scelta.
È un decidere anche per sé, uno scegliere da che parte stare senza subire passivamente e insieme un indicare la strada determinando poi quella necessità che serve a cambiare le lingue e insieme i dizionari.
Stefania De Biase, Direttora della Biblioteca 'Archivia' della Casa Internazionale delle Donne di Roma