Un buon servizio all'infanzia è fatto di asili di qualità, che significa anche diritti delle persone che ci lavorano. Quindi salari adeguati, formazione continua, personale sufficiente e tempi di lavoro più distesi. Il commento di Laura Branca di Bologna Nidi

L'infanzia ha bisogno
di servizi di qualità

di Laura Branca

Nidi, l’investimento questa volta c’è ed è consistente. Si tratta di miliardi, esattamente 4,6, che il governo dedica ai servizi educativi rivolti alla prima infanzia. Come saranno investiti, almeno in linea teorica, e quali problemi già da ora sono all’orizzonte, ce lo ha puntualmente descritto Barbara Leda Kenny che nel suo ultimo articolo.

È ovvio che la notizia è e rimane positiva, un investimento tanto ingente non l’avevamo mai avuto prima, e parte di queste risorse, le prime a essere erogate, saranno destinate all’estensione dei nidi.

Cosa aggiungere allora? C'è si sicuro qualcosa di rilievo da aggiungere e da sottolineare.

Da anni gli scarsi investimenti nel settore 0-3 anni sono stati a favore di scelte politiche precise che potremmo sintetizzare in: investire in gestione indiretta e disinvestire nella gestione pubblica. Queste scelte hanno prodotto risultati misurabili che senza retorica, o presa di posizione ideologica, sono da indagare.

L’approvazione del Ddl Concorrenza sembra di nuovo andare in questa direzione. Nel testo, infatti, si precisa che gli enti pubblici dovranno dimostrare per quali ragioni si sceglie di mantenere i servizi a gestione diretta mettendo a bilancio "costi e qualità".

È un ragionamento corretto. Costi e qualità sono da confrontare e conoscere, certo non possiamo permetterci sprechi, ma per ora non ci sono linee guida che determinino la qualità.

Finora la compressione dei costi ha vinto su tutto, qualità non misurata compresa. Voglio spiegare con dati, ma anche con testimonianze dirette, perché i nidi dovrebbero essere estesi a gestione diretta nonostante i costi siano di certo maggiori.

Dati ed economie

Partendo da alcuni dati del recente passato. A livello nazionale sappiamo, dai dati Istat, che l’offerta dei servizi è cresciuta, anche se poco e non in modo costante. Nel 2007-08 avevamo 176 mila posti nido. Nel 2018 (non prendiamo in considerazione gli ultimissimi dati che sono influenzati dalla pandemia) abbiamo 356 mila posti. I nidi quindi sono aumentati e offrono un posto al 26% della potenziale domanda.

L’obiettivo UE del 33% (almeno) non è stato raggiunto, ma in pochi anni abbiamo più che raddoppiato l’offerta. Questa crescita è stata possibile quasi esclusivamente  dall’ingresso del privato nel sistema pubblico. 

L’ingresso è stato imponente. Nel 2007 i nidi convenzionati erano praticamente a zero, oggi sono circa metà dell’offerta totale. Questo intervento è stato strategico per più motivi.

Grazie al privato siamo riusciti a estendere l’offerta ma anche a contenere i costi. I nidi a gestione indiretta costano meno. La differenza dei costi tra un nido gestito direttamente (con personale assunto dal comune) e un nido gestito indirettamente (gestito da un soggetto privato attraverso appalto o convenzione) è notevole. Varia molto da territorio a territorio ma è sempre significativa.

Per dare cifre indicative potremmo dire che un bambino in un nido pubblico ha un costo complessivo di 10/12 mila euro annui, mentre in un nido a gestione indiretta ha un costo anche inferiore a 7/8 mila euro.

L’istituto degli Innocenti, una delle più antiche e autorevoli istituzioni dedicate alla tutela dell’infanzia a livello europeo, in uno studio specifico sui costi di gestione scrive che “i servizi con titolarità pubblica costano di più, soprattutto se gestiti direttamente, di quelli a titolarità privata, in ragione del maggior quadro di garanzie e di riconoscimento economico offerto al lavoro degli educatori e operatori impiegati”

O come spiega un’educatrice di un nido gestito da una cooperativa quando chiedo in un’intervista che differenza c’è tra un nido privato convenzionato e un nido pubblico “la differenza sta nella busta paga. E non solo in quella perché anche il mio contratto, che per essere un contratto di privati è buono, non è certo paragonabile a quello di un dipendente pubblico. Per intenderci abbiamo la maternità, ma non abbiamo diritto al riposo... quando non lavoriamo non veniamo pagate e i nostri giorni di ferie non coprono totalmente le chiusure. In sintesi siamo lavoratori di serie B”. 

A questo punto è legittimo chiedersi quanto percepisce un’educatrice di nido. Anche a questa domanda non è facile dare una risposta precisa, perché varia molto da un datore di lavoro all’altro e da territorio a territorio, ma possiamo affermare che a fine carriera lo stipendio di un’educatrice di nido è di circa 1450 euro mensili, mentre lo stipendio di un’educatrice di nido al privato, a cui spesso è richiesta la laurea, ma è inquadrata come se fosse senza, arriva, se tutto va bene, a 1200 euro mensili e si abbassa anche a 800 euro.

In entrambi i casi, è bene precisarlo, si tratta di un lavoro particolarmente faticoso sia fisicamente che psicologicamente, un lavoro di grande responsabilità, in cui si è esposti al concreto rischio di stress che potrebbe sfociare in bournout.  

Il contratto non è un problema solo sindacale     

Anche se volessimo ignorare le disparità tra i lavoratori, che spesso si trovano a relazionarsi e confrontarsi molto da vicino, questi sono problemi “nostri”. Per nostri intendo problemi di noi donne. 

Perché nei nidi ci lavorano sopratutto donne, donne che nel settore privato sono spesso pagate male, donne con contratti che garantiscono pochi se non pochissimi diritti, donne che sono esposte, più di altre, a entrare nelle tristi statistiche che descrivono le grandi disparità di genere. 

Spesso si scrive, e molto giustamente, che i costi sostenuti dalle famiglie per mandare il figlio o la figlia al nido, sono molto alte e andrebbero abbassate. Verissimo, ma è altrettanto vero che dovremmo porci anche il problema dei diritti delle lavoratrici. 

Qualità dei servizi

L’abbassamento dei diritti e dei salari ha una ricaduta sulla qualità dello stesso servizio educativo.

Nei servizi a gestione indiretta, ad esempio, c’è maggiore turnazione del personale (la stabilità del personale è un elemento di qualità) spesso mancano le mense interne dove si prepara la pappa. Ci sono anche tanti altri risparmi che passano sotto traccia e sono difficili da verificare, che sono però molti e invariabilmente si ripercuotono sul personale.    

In Francia, durante un recente incontro della Commissione Nazionale Infanzia, Géraldine Libreau, coordinatrice dell’ET2020 Working Group ECEC (Commissione europea, Direzione generale per l'educazione, i giovani e la cultura) ha ricordato come sia essenziale tutelare il benessere di chi opera nei servizi educativi.

Il suggerimento principale che indica Libreau è quello di motivare le educatrici e gli educatori, riconoscendo il valore sociale del loro lavoro educativo, garantendo buoni contratti, stipendi adeguati, formazione continua e di qualità e avendo sempre a disposizione il numero di personale necessario con tempi di lavoro distesi. 

Il benessere dell’adulto-lavoratore è a beneficio, non solo della società, ad esempio dei genitori, ma anche e sopratutto dei bambini che li frequentano. Le attenzioni che Lebreu sottolinea sono la prima garanzia per offrire un servizio di qualità.

Tanta letteratura scientifica ci ricorda, ormai da tempo, come il nido “faccia bene” e restituisce valore sociale ma la stessa letteratura specifica che la qualità deve essere alta.

Ma se il servizio è di bassa qualità? Cosa succede ai bambini? Di questo sappiamo pochissimo.

In questi anni l’abbassamento dei costi è andato a intaccare la qualità. I nidi convenzionati costano meno al pubblico e costano lo stesso ai genitori, ma devono anche rendere in guadagno al privato che lo gestisce.

Come fanno allora a costare tanto meno e a garantire la stessa qualità? Necessariamente si comprimono i costi. L’ottanta per cento dei costi in un servizio lo fa il personale e così arriviamo a chiudere il cerchio. La compressione di costi del convenzionato sta corrodendo anche la qualità del pubblico che ha subito tanti tagli, tanti smantellamenti e spesso un processo mediatico al dipendente pubblico additato come nulla facente.     

Per concludere

Oggi che abbiamo finalmente la reale possibilità di estendere l’offerta dei nidi dovremmo anche ragionare molto attentamente sulla qualità.

Se non possiamo pensare di tornare a un sistema di servizi solo pubblici, se la realtà discussa in questo articolo non è uguale per tutti e ci sono molte sfumature differenti e anche tanti nidi in convenzione di buona qualità, generalizzando possiamo affermare che dovremmo: 

  • Tutelare il servizio pubblico che è già presente sul territorio e che è si sta smantellando in virtù di facili risparmi, mantenendolo sempre almeno al 50% dell’offerta totale.
  • Avviare un ripensamento rispetto ai diritti e i salari delle educatrici, e dei pochi educatori, che lavorano nel convenzionato.
  • Avviare un ragionamento attento e trasparente sulla qualità. 

È urgente farlo perché i finanziamenti sono già arrivati, le prime cabine di regia in molte città metropolitane si sono già messe al lavoro, ma sindacati a parte, il tema del lavoro e della qualità nei servizi non si pone all’attenzione. Si tratta di un lavoro prettamente politico, fatto di scelte precise, e di avere una visione strategica del futuro guardando alla tradizione di un servizio pubblico che ha restituito vera eccellenza educativa in tutto il paese.      

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