Verona si è affermata nel corso dei secoli come la città dell'amore eteronormativo e tradizionale, diventando negli ultimi anni la roccaforte del movimento anti-gender. Ma forse qualcosa adesso sta cambiando

Oltre la città, ripensare
l'amore a Verona

di Ipek Demirsu Di Biase

“Per Forza Nuova Verona si presenta come la Vandea d’Europa e si candida per il prossimo futuro a essere un laboratorio autenticamente rivoluzionario, per combattere i nemici dell'Europa dei Popoli, le leggi liberticide e contro la famiglia e la vita”. (Roberto Fiore, leader nazionale di Forza Nuova, Verona, 22 novembre 2018).[1]

Conosciuta nel mondo come la romantica ambientazione dell’opera shakespeariana Romeo e Giulietta, la città di Verona è arrivata a promuovere una formula dell’amore basata su copioni eteronormativi tradizionalisti, in cui la "famiglia naturale" di "autoctoni" è accolta come panacea contro i mali della società globalizzata. Non è un caso, dunque, che Verona sia stata scelta nel 2019 come sede per il Congresso mondiale delle famiglie, visto che l’amministrazione della città è stata storicamente pioniera di politiche anti-gender sostenute da movimenti locali di estrema destra, senza sosta contestati da gruppi femministi e Lgbtq+.

Per indagare la genesi di questa roccaforte anti-gender bisogna capire il passato turbolento di Verona e le lotte quotidiane che ha ospitato nei suoi spazi urbani condivisi.

Nel dopoguerra, Verona si è storicamente contraddistinta per l’omogeneità culturale del cristianesimo tradizionalista nel suo territorio, definito ‘bianco’ per l’adesione alla democrazia cristiana. Tale religiosità si è manifestata anche in varianti più radicali, patrocinanti valori illiberali, con associazioni religiose locali come famiglia e civiltà, spaccando l’immagine della città in due: quelli a favore di una "immoralità omosessuale" e quelli che difendono i valori tradizionali. 

Certi discorsi fra attori non istituzionali sono infine entrati nell’amministrazione cittadina attraverso una ‘santa alleanza’ fra ultracattolici, gruppi di estrema destra e la Lega, per cui la linea politica anti-gender costituiva un pilastro centrale. Tale configurazione politica ha dato spazio a casi come quello del consigliere leghista che nel 1995 suggeriva in consiglio comunale la castrazione degli uomini gay, mentre si discuteva la storica mozione (mozione n. 336, ancora vigente)[2] che avrebbe portato Verona alla ribalta internazionale come prima e unica città europea a rigettare la Risoluzione del Parlamento Europeo A3-0028/94, che raccomandava agli stati membri di attuare la parità di trattamento per individui di orientamento sessuale differente.[3]

La risoluzione europea è stata respinta dalla maggioranza del consiglio comunale di Verona col pretesto che potesse invocare la "promiscuità" contro i "fondamenti minimali dell’ordine familiare".[4] Il fatto che il comune stesse finanziando gruppi pro-famiglia composti da associazioni ultraconservatrici lo stesso anno in cui è passata la famosa mozione, seguita da altre due mozioni che consolidavano la linea ufficiale sulla "famiglia naturale tradizionale" (mozione n. 361 e n. 393), ha instillato nei gruppi locali di attivisti e attiviste Lgbtq+ un cocente senso di ingiustizia.

Il movimento Lgbtq+ ha quindi lanciato quella che sarebbe diventata una mobilitazione nazionale di riscrittura della cittadinanza al fine di includere pari riconoscimento per le minoranze sessuali, con lo slogan La cittadinanza va scritta. “A quel punto è nata la nostra lotta per mettere in discussione il termine ‘famiglia’. Ci siamo discostati da questa concezione e abbiamo intrapreso una battaglia legale contro i gruppi ultracattolici e i consiglieri comunali coinvolti. Le battaglie avevano un unico obiettivo, quello di ottenere giustizia, di diventare un soggetto giuridico come omosessuali, in modo tale che non si potesse attaccare una persona in quanto gay, dal momento che quella persona gay era ormai parte di una soggettività giuridica” mi ha raccontato l'attivista C.Z. a febbraio 2021 (la persona intervistata ha preferito restare anonima, ndr).

Nel corso degli anni, nuovi consigli comunali hanno continuato ad approvare mozioni controverse consolidando l’immagine di Verona come roccaforte del movimento anti-gender transnazionale, e nel frattempo la città ha ospitato numerosi Family Day e manifestazioni antiabortiste con la partecipazione di omologhi europei, così come proteste anti-pride a cui ha preso parte un ex sindaco.

Nel 2018, Verona si è ufficialmente dichiarata "città in favore della vita", spianando la strada al finanziamento pubblico dei gruppi antiabortisti.

Le attiviste femministe di Non una di meno Verona, nel frattempo, protestavano silenziosamente presentandosi al consiglio comunale vestite da ancelle, avvalendosi di questo nuovo simbolo universale della lotta per i diritti del corpo delle donne preso in prestito dalla serie TV The Handmaid’s Tale. La protesta è stata accolta dallo scandaloso saluto fascista di un consigliere, finito sotto processo per il gesto. La mozione ha funto da precedente per altre città italiane, giustificata dal suo ideatore con l’assunto nativista di promuovere la natalità italiana contro la minaccia di un’invasione della ‘patria’ da parte della minoranza islamica.

Due anni dopo, l’amministrazione cittadina ha approvato un’altra mozione anti-gender, contro la proposta di legge Zan-Scalfarotto presentata in Parlamento, mozione sostenuta in difesa della famiglia nucleare “come ultimo rifugio dell’Uomo in una società disintegrata e globalizzata” si leggeva in una nota su Facebook del 17 luglio 2020, sulla bacheca di un politico veronese di estrema destra.

In questo quadro politico Verona è diventata la sede ideale per il Congresso mondiale delle famiglie, riunendo nel suo centro storico l’universo anti-gender di tutto il mondo.

Ad accompagnare un tale posizionamento sociopolitico, forme quotidiane di boundary-making attraverso sistematici monitoraggi e minacce nei confronti delle minoranze sessuali. Come spiega lucidamente un noto attivista Lgbtq+: “Per noi, era quasi pericoloso attraversare il ponte e andare in centro perché era controllato dall’estrema destra. Ricordo gli anni in cui avevamo il nostro ufficio in via Scrimiari, uscivamo a gruppi, non potevamo andare via soli” ha dichiarato l'attivista C.Z. a febbraio 2021.

Un’altra pratica quotidiana di boundary-making a Verona consiste nell’apporre segnali sulla realtà materiale – scritte, poster, adesivi e altre forme di street art. Un esempio lampante: un manifesto trovato in un parco storicamente usato come luogo sicuro di incontro per uomini gay al confine meridionale della città nei primi anni 2000. Il manifesto porta la firma "Verona", con la pretesa di parlare per la città, e un simbolo che unisce il neonazista Wolfangel col tradizionale stemma veronese della scala. Il manifesto recita: “Attenzione, zona altamente inquinata da immondizia abbandonata e infestata da finocchi molesti. Tieni pulito l’ambiente, difendi la natura!”. Quindi, il concetto di protezione dell’area verde è usato come metafora per evocare i "rapporti sessuali naturali" contrapposti a ciò che viene considerato promiscuità omosessuale, territorializzando il parco con il copione della rettitudine eteronormativa.

Malgrado il contesto sociale veronese ostile alle minoranze sessuali e ai diritti delle donne, la lotta prolungata che i movimenti locali hanno portato avanti negli anni contro questa potente alleanza della rete anti-gender sta finalmente dando dei frutti.

Si è percepito un vento di cambiamento in città con le elezioni comunali dello scorso giugno, quando una coalizione di sinistra capeggiata dal nuovo sindaco Damiano Tommasi ha vinto con più del 53% dei voti. L’avversario principale ed ex sindaco Federico Sboarina ha messo in guardia i cittadini di Verona contro le possibili ripercussioni di una città trasformata in "capitale transgender" in caso di vittoria di Tommasi, per via del dialogo aperto con il movimento Lgbtq+ e le femministe durante la sua campagna. L'appello, è stato appoggiato dal vescovo di Verona, figura centrale dell’alleanza anti-gender, che ha esortato l'elettorato a scegliere la "famiglia tradizionale" alle elezioni in quello che è stato un grave colpo al principio di laicità.

Per questo la vittoria della lista di Tommasi ha rappresentato un risultato epocale per Verona, portando a un’amministrazione di sinistra per la prima volta dal 1994 (se si escludono i 5 anni in carica di Paolo Zanotto, che si è astenuto dal trattare questioni relative ai diritti sessuali e all’identità di genere), con un impatto immediato sul riconoscimento delle minoranze sessuali sul territorio.

Damiano Tommasi è anche stato il primo sindaco di Verona ad aver partecipato al Verona Pride 2022 subito dopo essere entrato in carica, un evento senza precedenti nella città modello del movimento anti-gender.

Note


 

[1] L’Arena, 22 novembre 2018.

[2] Consiglio Comunale di Verona (1995) Mozione n. 336, Unità Affari Consiglio (14 luglio 1995), Verona. 

[4] Consiglio Comunale di Verona (1995) Mozione n. 336, Unità Affari Consiglio (14 luglio 1995), Verona.

Questo articolo nasce dall'intervento che l'autrice ha tenuto nel corso della conferenza Weaving the Transnational Anti-Gender Network, che si è tenuta a Firenze a maggio 2022. La traduzione è a cura di Sara Concato.

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