Se i dati non esistono le persone non esistono
Viviamo immerse nella società dei dati. E ormai lo abbiamo ripetuto a sufficienza: i dati servono a misurare la realtà, ma anche e soprattutto a farla esistere. Diversi sono i progetti che in questi anni proprio dai dati sono partiti per rendere visibili le disuguaglianze.
Uno di questi è DisabledData, e per far emergere il problema dei dati sulle persone con disabilità in Italia ha appena diffuso una prima mappatura per agevolarne la lettura, l’analisi critica e la messa a disposizione per l’adozione di politiche efficaci. "Quante sono le persone con disabilità in Italia? Di preciso non ci è dato saperlo, e non è un’operazione facile" commentano in una nota gli ideatori della piattaforma digitale che è promossa dalla Fondazione FightTheStroke e progettata da Sheldon.studio con il supporto di onData per aprire i dati a un pubblico più ampio.
"Raccogliere dati sulla disabilità significa riconoscere che la disabilità non esiste come fenomeno astratto, e che quando parliamo di disabilità in realtà stiamo parlando di persone che oltre ad avere un qualche tipo di menomazione (fisica, sensoriale o intellettiva), hanno anche molte altre caratteristiche che influiscono in vario modo sulla possibilità di integrarsi e di partecipare in tutti gli ambiti della vita" commenta Simona Lancioni, sociologa, tra gli esperti che hanno contribuito al progetto.
"Concentrarsi su una variabile alla volta - la disabilità, il genere (binario e non), l’orientamento sessuale, l’appartenenza etnica, com’è stato fatto sinora" continua Lancioni "impedisce di cogliere la persona nella sua interezza. Ma nella realtà, giusto per fare un esempio, le discriminazioni di genere subite da una donna con disabilità vanno a sommarsi a quelle che la stessa donna subisce in quanto persona con disabilità. Dunque, che senso ha continuare a trattare questi due dati (ammesso che vengano raccolti) come se si riferissero a due soggetti diversi? Per dare risposte adeguate alle reali esigenze delle persone (disabili e non), dobbiamo smettere di smembrare le persone e iniziare a smembrare (disaggregare) i dati. Mi sembra che Disabled Data vada in questa direzione".
L'altro progetto che vogliamo segnalare è stato realizzato lo scorso anno dall'Osservatorio Balcani Transeuropa e Sheldon.studio per lo European Data Journalism Network. Si chiama Mapping Diversity, e ha vinto il premio "Data Journalism" al Festival Glocal di Varese. Si tratta di una mappatura digitale delle strade dei capoluoghi di regioni e province autonome italiane, in cui ai nomi di vie e piazze dedicate a persone sono stati associati il genere e la professione, con la possibilità di esplorare e consultare i profili delle donne a cui sono state intitolate strade e piazze, e il ruolo di mettere in luce quanto pochi siano i luoghi che nel nostro paese portino nomi di donne. "Non basta certamente cambiare i nomi alle strade per ritrovarsi a vivere in una società più equa" dichiarano Giorgio Comai e Alice Corona che hanno curato il progetto "ma allo stesso tempo una società più equa non può che interrogarsi su quali stereotipi e immaginari collettivi si perpetuano quando il 93% dei nomi presenti nelle strade è di un uomo".
I dati sono stati raccolti attingendo a fonti aperte e costruite attraverso il crowdsourcing, come OpenStreetMap e Wikidata. "Ciò che abbiamo fatto" spiegano "è stato abbinare l’archivio di strade costruito da OpenStreetMap con l’identificativo Wikidata dei nomi a cui sono dedicate, prima in modo automatico e poi manualmente utilizzando un’interfaccia dedicata". Anche in questo caso, potrebbe sembrare una questione di poco conto. E invece i nomi di vie e piazze sono frutto di processi decisionali legati alla legittimazione del passato e alla costruzione della memoria storica collettiva. "La mappa stradale dell’Italia di oggi racconta qualcosa su chi è visibile e chi invece resta nascosto in questi processi. Tra i tanti modi possibili di raccontare questa storia, abbiamo scelto di adottare una prospettiva di genere" raccontano Comai e Corona.
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