Per secoli disciplina studiata dagli uomini che raccontava gli uomini, oggi la storia si apre a narrazioni che vedono le donne protagoniste. Ne parliamo con Raffaella Sarti, che ha appena concluso il suo mandato da presidente della Società italiana delle storiche, a partire dai temi trattati nell'ultimo congresso annuale

Oltre i
confini

di Barbara Bonomi Romagnoli

A giugno, più di 260 studiose da tutto il mondo si sono incontrate a Palermo per parlare di Genere e storia oltre i confini,  il nono congresso della Società italiana delle storiche (Sis), nata nel 1989 dal movimento delle donne, con l'intento di valorizzare la soggettività femminile e la sua presenza nella storia, rinnovare la ricerca e l’insegnamento e promuovere la divulgazione del patrimonio scientifico e culturale prodotto dalle storiche. 

Le giornate del congresso hanno ospitato 59 panel, che oltre a rintracciare le radici delle scritture femminili e gli stimoli della critica femminista, si sono concentrati su temi come la mascolinità e la virilità, per analizzare il modo in cui i corpi maschili sono stati disciplinati fra era moderna ed età contemporanea, e qual è stato il ruolo della medicina nell’attribuzione delle caratteristiche di genere. Diversi sono stati poi gli approfondimenti dedicati alle donne che fanno esperienza di migrazioni e conflitti, e a comprendere come la memoria individuale possa diventare collettiva.

Per capire meglio in che modo il femminismo è presente all'interno del dibattito storico nel nostro paese, abbiamo rivolto alcune domande a Raffaella Sarti, presidente uscente della Sis e professoressa associata di Storia moderna e Storia dei generi all’Università di Urbino Carlo Bo. 

Professoressa, qual è lo stato dell'arte della critica femminista nelle discipline storiche italiane? 

Raffaella Sarti
Raffaella Sarti

Per rispondere a questa domanda partirei proprio dall'ultimo congresso, a cui hanno partecipato studiose e studiosi – in prevalenza dall'ambito storico, ma non solo – provenienti da 25 paesi e appartenenti a un centinaio di istituzioni diverse, che hanno esposto le loro ricerche in oltre cinquanta sessioni e due tavole rotonde, discutendo uno sterminato ventaglio di temi attinenti alla storia di genere dall’antichità al presente. Un'occasione, insomma, in cui sono stati superati molti confini geografici, disciplinari e tematici. Il fatto stesso che un evento di tali dimensioni e caratteristiche sia stato organizzato nel nostro paese, dimostra la vivacità del panorama italiano per quanto riguarda la storia delle donne e di genere. Peraltro, libri di storiche (molte socie Sis) alimentano il dibattito su temi cruciali come la violenza di genere e l’aborto

Dal suo osservatorio, quali sono gli aspetti su cui c'è ancora resistenza, da parte dell'accademia italiana, rispetto all'andare oltre i confini?

Nel complesso, possiamo dire che la storia si rivela un campo di studi piuttosto connotato al maschile, rispetto alle altre discipline vicine. Distinguerei però due livelli: da un lato, la presenza e la posizione accademica delle storiche, e in particolare delle storiche che si occupano di questioni di genere. Dall’altro, l’offerta di corsi curricolari, dottorati, corsi di perfezionamento, master in storia delle donne, di genere, dei generi. 

Cosa può dirci sulla presenza delle donne nella disciplina?

A livello accademico, storiche e storici sono inquadrati in diversi settori scientifico-disciplinari (Ssd). I più numerosi – Storia medievale, Storia moderna e Storia contemporanea – vedono una presenza di donne piuttosto bassa se comparata al totale dell’area in cui sono inquadrati, cioè quella delle Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche. Infatti, mentre sul complesso dei tre settori storici le donne sono il 36%, nel totale dell'area la loro percentuale raggiunge il 49,9%. Pur con una presenza femminile tendenzialmente maggiore e con differenze relative ai diversi settori disciplinari, la situazione è analoga anche per la Storia greca e per quella romana, e per le Storie relative a specifiche zone geografiche, inserite nelle aree di Scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche e Scienze politiche e sociali. Anche nell'ambito della Storia economica la presenza maschile è più accentuata rispetto all’area in cui è inserita – quella di Scienze economiche e statistiche. Rispetto alla Storia medievale, moderna e contemporanea, le donne sono decisamente più numerose nelle storie religiose e nelle discipline che un tempo, con un'espressione quantomai infelice, venivano considerate “ausiliarie della storia” – Archivistica, bibliografia e biblioteconomia e Paleografia –, così come nella Storia del diritto medioevale e moderno: settori dove (con la sola eccezione della Storia del cristianesimo e delle chiese) le donne superano la media dell’area.[1] 

Alla luce di questo, qual è la posizione di chi si occupa di storia delle donne, di genere e dei generi – in larga maggioranza donne?

Fornire dati precisi in questo caso è più complesso. In base alla mia esperienza e alla conoscenza del percorso di tante amiche e colleghe, non poche delle studiose che si occupano di questi temi non sono accademiche. A volte per scelta, spesso per problemi di accesso al mondo accademico. Oppure, una volta reclutate all’università, hanno avuto (e talvolta hanno tuttora) vita particolarmente difficile in termini di avanzamenti di carriera. D’altronde, la storia per secoli è stata soprattutto storia politica, dunque storia di un ambito fortemente connotato al maschile: storia (quasi solo) di uomini scritta (quasi solo) da uomini. Scrivere la storia delle donne ha implicato, per certi versi, modificare – dilatandoli – i confini stessi della disciplina. L’impegno in tal senso ha dato complessivamente ottimi risultati in termini di rinnovamento degli oggetti e dei metodi studio, di ricerche svolte e libri pubblicati. Nel mondo accademico non sono mancati e non mancano però atteggiamenti che spaziano dall’indifferenza alle fiere forme di resistenza, che di recente spesso si coagulano nel contrasto della presunta “ideologia gender”.

Il tema continua a creare spaccature nel dibattito pubblico, con derive di varia natura, tra cui l’idea, portata avanti dai movimenti populisti delle destre, del pericolo di una presunta ideologia. Come si riflette il dibattito tra le storiche in Italia? 

La Società italiana delle storiche è uno spazio aperto, in cui sono presenti studiose con sensibilità diverse. Tuttavia, ci sono dei punti fermi caratterizzanti. La Sis ha preso pubblicamente posizione contro l’idea, alla base delle elaborazioni relative alla fantomatica ideologia gender, che esista una ‘famiglia naturale’, ed è tra i soggetti promotori della Rete Gifts, nata per “valorizzare i saperi di genere, intersex, femministi, transfemministi e sulla sessualità nell’università e nella società tutta” e contrastare la manipolazione implicita nel concetto di ideologia gender. Inoltre, la Sis sostiene e collabora alle attività del Lgbt+ History Month e sta contribuendo a promuovere l'ultimo libro di Laura Schettini, fra le nostre socie più attive, L’ideologia gender è pericolosa, pubblicato dalla casa editrice Laterza nella collana Fact Checking - la Storia alla prova dei fatti, e volto, appunto, a dimostrare l’infondatezza della presunta ideologia gender. In proposito, mi pare peraltro importante ricordare che anche le Nazioni Unite (UN Women) si sono di recente pronunciate condannando gli atteggiamenti critici nei confronti del genere (gender critical) e sollecitando le femministe a impegnarsi per il riconoscimento dell’uguaglianza e dei diritti delle persone Lgbtqia+.

Tornando alle proposte formative, qual è il panorama in Italia?

In termini di corsi di studio offerti, un’indagine svolta prima del trentennale della Sis, nel 2019, aveva rivelato la presenza di una sessantina di corsi universitari relativi a questioni di genere, di cui circa venticinque di storia, insegnati da donne (molte delle quali socie Sis) in quasi il 90% dei casi. Non dispongo di dati precisi, ma mi pare di poter dire che da allora l’offerta di corsi e insegnamenti è aumentata. Nel mio caso, ad esempio, nel 2019 insegnavo un unico corso in questo ambito, Storia dei generi. Oggi, oltre a quel corso, dirigo un corso di perfezionamento in Storia di genere, globalizzazione e democrazia della cura, insegno un corso di Gender issues and university nel dottorato di Studi umanistici dell’Università di Urbino e faccio parte del collegio docenti del dottorato di interesse nazionale in Gender Studies che ha sede all’Università di Bari. Inoltre, con il Comitato Unico di Garanzia (Cug) del mio Ateneo ho organizzato e insegnato nel corso Generdì: una giornata per capire il genere, relativo alle competenze trasversali. Non mi pare che il mio sia un caso isolato, e questo grazie al tenace impegno di tante, che ha portato anche all’introduzione dei Gender Equality Plans e delle misure a favore dell’equità di genere nel Piano nazionale di ripresa e resilienza – misure certo non prive di problemi, ma con effetti anche positivi. 

Note

[1] Per maggiori dettagli, si suggerisce di consultare la tabella con elaborazioni sui dati del Ministero dell'Università e della Ricerca.


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