Piani di genere, carriere accademiche, politiche di conciliazione, diritti economici nella ricerca e dentro le università. Ne parliamo con Marina Marzia Brambilla, negli ultimi cento anni, prima rettrice alla guida dell'Università degli Studi di Milano, che da tempo ha adottato una serie di azioni per la parità in accademia

Parità
in ateneo

di Annalisa Murgia

La sua elezione nella ricorrenza del centenario della Statale assume un significato simbolico particolarmente rilevante: dopo cent'anni, una rettrice alla guida dell'Università degli Studi di Milano. Questo incoraggia tutte le donne, studentesse comprese, ad aspirare a posizioni dirigenziali. 

Credo – e spero – che questo traguardo di una rettrice donna dopo cento anni possa essere anche un segnale per le studentesse, per le colleghe. È tra l’altro un momento in cui a Milano abbiamo cinque rettrici donne, per cui mi piace anche pensare che non sia soltanto qualcosa di episodico, ma un segnale di un passo avanti nel coinvolgimento delle donne nella gestione di organizzazioni complesse come gli atenei.

Ci può raccontare il percorso che l'ha portata fin qui?

Marina Marzia Brambilla
Marina Marzia Brambilla

Sono una germanista. Mi sono laureata all’Università Iulm in Lingue e letterature straniere, con l'idea di poterne fare una professione: c'era una specializzazione su interpretariato e traduzione e per anni ho lavorato come interprete. Poi sono tornata all'università con il dottorato a Pavia, in cotutela con l'Università di Hildesheim. Da più di vent'anni faccio parte dell'Università degli Studi di Milano, la comunità accademica con cui condivido i valori di impegno scientifico, culturale e civico e di cui oggi sono onorata di essere Rettrice. In Statale, sono stata ricercatrice e insegnante di Linguistica tedesca presso il corso di laurea in Mediazione linguistica e culturale. Poi, passo dopo passo, dal 2004, ho partecipato alla vita accademica anche ricoprendo ruoli di governance, fino all'elezione dello scorso aprile per la leadership dell'ateneo.

Ci sono state delle donne che hanno influenzato il suo percorso accademico?

Certamente, sono stata influenzata da scienziate e letterate, e anche da donne forti e straordinarie che ho avuto il privilegio di incontrare nella vita di tutti i giorni. Donne che hanno sfidato le convenzioni, con il loro lavoro silenzioso e impegno costante. Tutti questi modelli hanno alimentato la mia determinazione a proseguire il percorso accademico e a credere che fosse possibile superare quelle barriere culturali che, spesso, hanno comportato una limitazione per le donne a raggiungere i vertici, pur avendo le capacità per farlo. 

Può farci qualche nome?

Nel mio settore Eva-Maria Thune, che è ancora docente all’Università di Bologna e da cui ho imparato molto, o Elda Morlicchio, che poi è stata rettrice dell’Orientale di Napoli, con le quali abbiamo condotto tanti studi anche sul linguaggio di genere; potrei indicare tante colleghe da cui ho imparato tanto. E poi, se posso dire la verità, i modelli non sono solo quelli scientifici. Ad esempio, dal punto di vista organizzativo, in questi dodici anni in cui ho avuto incarichi di governance ho imparato molto anche dalle colleghe dell’amministrazione. Penso ad esempio al placement o all’orientamento, nella nostra amministrazione ci sono delle persone che hanno veramente delle competenze di alto livello.

Tra le persone con cui ha condiviso esperienze professionali significative, ce n'è stata qualcuna che le ha dato dei consigli particolarmente utili per la sua carriera?

Mi sento di condividere un consiglio che è stato per me molto utile, specie in fase di crescita e formazione, ma che risulta sempre attuale: tutto è possibile se cuore, sguardo e cervello sono allineati. Questo significa che, prima di tutto, occorre ri-orientarsi, essere consapevoli dell'importanza delle scelte, che devono seguire inclinazioni e talenti. Se si rispetta la propria natura e vocazione, il contributo individuale può generare un concreto valore collettivo. Il consiglio che non ho mai dimenticato è stato proprio quello di seguire la propria passione. Sembra banale ma è, secondo me, uno dei concetti principali da tenere sempre a mente, anche quando orientiamo le giovani generazioni. Quindi, se, da un lato, è importante tener conto degli sbocchi occupazionali, del contesto, lo è altrettanto scegliere un percorso che ci appassiona, dove riusciamo a trovare ed esprimere una parte di noi. Il mio consiglio quindi è riorientarsi via via, e non avere paura dei fallimenti, di riprovare. 

È qualcosa che ha vissuto anche personalmente? 

Ad esempio quando mi sono candidata al dottorato: il primo anno non sono entrata, ma il secondo sì. Il concorso da ricercatore è andato subito bene, mentre per diventare associata ho fatto tutti quelli che erano aperti quell’anno – avevo tra l’altro mio figlio di nove mesi, quindi l’ho portato in giro. L'importante è non abbattersi, anzi: magari imparare da eventuali fallimenti, perché possono essere utili per ripartire, tenendo sempre allineati, diciamo così, cuore e cervello.

Sebbene siano stati fatti dei progressi, la presenza delle donne in posizioni di responsabilità è ancora limitata, soprattutto nel contesto italiano.  

Credo che all'interno dell'università dobbiamo fare molto su questo tema e abbiamo, in un certo senso, una responsabilità in più. Mi spiego meglio: non solo dobbiamo essere un esempio di inclusività ed essere capaci di avere colleghe donne nei ruoli più alti dell’organizzazione; noi facciamo anche ricerca, formazione su questi temi. Quindi, rispetto a un’azienda, che deve ovviamente mettere in pratica politiche inclusive e di conciliazione, dal momento che studiamo e insegniamo queste tematiche, a maggior ragione non possiamo non essere all’avanguardia in questo tipo di politiche. Di conseguenza, credo che sia molto importante dare un esempio in quello che facciamo, sia nella formazione che negli eventi di terza missione, in quello che insegniamo e in come lo mettiamo in pratica al nostro interno.

Quali azioni pensa sia auspicabile intraprendere per rendere i ruoli dirigenziali più inclusivi?

È fondamentale promuovere una cultura della parità affinché la presenza femminile nei ruoli di vertice, anche all'interno del sistema universitario, non sia più un'eccezione. La mia elezione ha offerto all'ateneo la possibilità di avere alla sua guida una donna, per la prima volta dopo 100 anni. A Milano oggi la metà delle università è guidata da una donna – un traguardo importante –, ma c'è ancora molta strada da fare. 

Può indicarci qualche esempio di azione concreta?

Per avanzare verso una maggiore inclusività nei ruoli dirigenziali ritengo fondamentale agire in modo trasversale e integrato attraverso azioni di formazione e politiche di welfare: innanzitutto, è importante che vengano sviluppati percorsi educativi e di consapevolezza delle politiche di genere. Resta inoltre essenziale promuovere l'inclusione negli ambienti di lavoro, offrire programmi di mentorship per studentesse e giovani, supportandole nel loro percorso di carriera e nell'accesso a ruoli dirigenziali, e facilitare la conciliazione vita-lavoro, con strumenti di flessibilità.

Per quanto riguarda invece il contesto extra-universitario? 

C’è ancora un grosso tema, innanzitutto in termini di gap salariale: le indagini sull’occupazione ci dicono che, a parità di formazione e di impiego, c’è ancora un forte divario retributivo fra uomini e donne. Secondo me è molto importante tornare, con le giovani generazioni, sul tema dell’equità e della parità economica. Negli ultimi anni si è lavorato molto – e giustamente – sui diritti personali, mentre ho l’impressione che il tema dei diritti economici sia passato un po’ troppo in secondo piano. È giustissimo, i diritti personali servono, però credo con forza che la libertà delle donne passi, in primo luogo, e comunque sicuramente in misura importante, dall’indipendenza economica.

Sappiamo che, soprattutto per le ragazze, il livello di istruzione influisce tantissimo sulla loro futura carriera lavorativa, e che, quindi, incoraggiarle a frequentare l’università è una questione chiave anche proprio per la loro libertà futura.

Questo è un altro punto chiave: l’autonomia, la libertà passa da una formazione di alto livello. Ed è anche per questo che, come atenei, abbiamo una sfida in più, che si traduce anche in un orientamento che deve essere più inclusivo. Molto spesso gli atenei – qui bisogna anche fare un po’ di autocritica – tendono a ricercare le e gli studenti nei migliori licei della città. Tutti vogliamo andare ai licei scientifici, ai licei classici e si fa fatica anche a trovare colleghi che abbiano voglia di andare a parlare negli istituti professionali, in provincia, fuori Milano. Però è proprio lì che ci sono ragazze e ragazzi in situazioni di maggiore difficoltà, e non è detto che perché hanno frequentato un istituto professionale non possano poi invece avere uno sviluppo lavorativo di alto livello. Molto spesso, in queste scuole ci sono studenti che non sono di nazionalità italiana, figli e figlie di persone immigrate. Se trascuriamo anche questa azione, sarà più difficile incoraggiare a livello ampio della nostra società questa capacità di arrivare alla formazione terziaria. Molto spesso si dà un po’ per scontato – e lo vedo anche nel lavorare con le scuole – che chi viene dal liceo classico o scientifico debba poi andare automaticamente all’università, mentre chi ha fatto il professionale, si debba fermare lì. Non è detto che si debba ragionare sempre in questo modo: è chiaro che le scelte che si fanno a 12-13 anni possano essere condizionate da quel momento della propria crescita oppure dalle scelte della famiglia. E quindi questo aspetto, secondo me, è molto importante: siamo un paese con un numero molto basso di persone laureate, e bisogna lavorare per abbattere i limiti e gli ostacoli all’accesso alla formazione.

Un altro stereotipo che viene riprodotto nelle scelte scolastiche – e che a cascata arriva fino all'università, quando forse è già troppo tardi – è il fatto che le ragazze vengono ancora incoraggiate troppo poco a intraprendere percorsi di studio nelle discipline Stem. Ha in mente delle politiche mirate per colmare questo gap?

Con riferimento alla formazione secondaria, penso che vada rafforzata l'istruzione tecnica e professionale. Dall'analisi del percorso di istruzione secondaria dei profili dei e delle laureate 2022, si riscontra una prevalenza di diplomi liceali (75%) in particolare di quelli scientifici (posseduto dal 39% delle persone laureate) e umanistici (13%). Seguono il diploma tecnico, che riguarda il 20% dei e delle laureate, e il diploma professionale (3%). Sarebbe opportuno rafforzare le filiere formative con un'attenzione alle competenze Stem in tutti i percorsi. Per la formazione terziaria, penso che si possa fare molto sul versante dell'ibridazione dei percorsi, promuovendo l'acquisizione di competenze Stem anche in quelli più "umanistici".

Il divario di genere nei percorsi accademici inizia fin dalle prime fasi della carriera: sappiamo che le carriere scientifiche sono caratterizzate da un andamento cosiddetto "a forbice". Si inizia con una larga presenza di donne, soprattutto tra studentesse, dottorande e assegniste, ma dalla posizione di Ricercatore a tempo determinato (Rtd) in poi, le progressioni di carriera delle donne tendono a essere comunque molto più lente rispetto a quelle degli uomini.

È molto vero – questo lo dicono proprio i dati, l’abbiamo visto anche nel nostro bilancio di genere: mentre nella fase degli studi le ragazze si laureano alla stessa velocità, anzi molto spesso meglio, dei loro compagni maschi, allo stesso modo entrano con la stessa rapidità nei percorsi di dottorato. Poi invece comincia veramente un percorso a due velocità, che molto spesso è in relazione al momento della genitorialità, o comunque al momento in cui si crea una famiglia o si decide di prendere in affido un figlio. In generale, sembra insomma che il carico relativo al lavoro di cura, figli o non figli, sia sempre più pesante per le donne. Quindi credo che qui il tema sia proprio quello della conciliazione vita-lavoro.

Rispetto al nesso tra genere e precarietà, nel suo mandato ha in mente delle politiche specifiche?

Per favorire il rientro dalla maternità delle giovani ricercatrici non assunte a tempo indeterminato, l'Università Statale di Milano ha lanciato nel 2023 un'azione pilota, con il Bando straordinario per progetti di ricerca coordinati da giovani ricercatrici al rientro dalla maternità (Re-Starting Grant 2023). Uno strumento per incoraggiare le giovani ricercatrici, non ancora assunte a tempo indeterminato, motivate a continuare la ricerca in accademia, rimuovendo i possibili ostacoli legati alla maternità che potrebbero impedire la prosecuzione della loro carriera scientifica. Abbiamo appena erogato sei assegni di ricerca, e intendiamo rifinanziare questo tipo di iniziative anche nei prossimi anni. Inoltre a me piacerebbe – forse è un po’ visionaria come cosa – che non fosse più necessario parlare di “rientro”.

Può spiegarci meglio che cosa intende?

Bisognerebbe che ci fosse la possibilità di vivere ogni momento della vita con delle modalità di conciliazione tali per cui non ci si debba fermare. È chiaro che magari ci sono dei momenti delicati, qualche mese. Però avendo, ad esempio, dei laboratori a cui possano accedere anche le donne in stato di gravidanza e in fase di allattamento, senza sostanze pericolose. Altrimenti, di solito succede che a livello medico venga data l'indicazione di non andare in laboratorio, il che per l’area scientifica significa non poter lavorare per un anno. Ovviamente con le modalità consone, ma ci sono tutta una serie di attività che si possono fare comunque, e lo stesso vale durante l’allattamento, e così via. Il nodo di non avere differenze e squilibri tra donne e uomini sta nella conciliazione tra i vari momenti della vita. Altrimenti poi quello della valutazione oggettiva della produttività diventa un po’ un alibi: se una donna deve fare un percorso a ostacoli e un uomo invece ha una via in discesa, è chiaro che, magari a 35 anni oggettivamente il numero delle pubblicazioni è diverso. Quindi non è sufficiente dire “abbiamo valutato le pubblicazioni”. Bisogna vedere se, appunto, negli anni che hanno portato tutti e due lì, quell'uomo e quella donna hanno avuto le stesse possibilità. Quindi, secondo me, il punto è lavorare sulle politiche di conciliazione. 

Quali altre azioni potrebbero essere messe in atto?

Abbiamo parlato molto delle donne, però il tema è che bisogna lavorare di più anche sulla condivisione dei momenti della cura: sarebbe importante che queste politiche venissero attivate anche per gli uomini, in modo tale da non dover dare per scontato che sia la figura femminile ad aver bisogno di supporto perché se ne deve fare carico, altrimenti diventa persino peggiorativo. Poi ci sono altre problematiche che invece hanno a che fare con quei settori dove, proprio anche per un discorso di genere, indipendentemente dalla difficoltà legata alla questione personale, esistono pregiudizi o comunque una prevalenza di figure maschili e una difficoltà a entrare in quegli ambiti. Quindi, secondo me, bisogna agire dal punto di vista personale su politiche di conciliazione in modo che non esista più un percorso in salita per le donne e uno in piano per gli uomini. E poi agire anche in modo tale che non ci siano ambiti che rimangano in qualche modo preclusi alle donne. E questo è un discorso indipendente dalla situazione personale e dai carichi di cura.

Rispetto invece alle progressioni di carriera del corpo docente, sappiamo che anche nei settori in cui c’è una larga presenza di donne, la loro presenza nelle posizioni di prima fascia resta limitata. C’è qualche meccanismo, incentivo o raccomandazione che pensa di implementare durante il suo mandato?

Sì, questa è una cosa che stiamo studiando all’interno del gruppo che sta rivedendo l’algoritmo anche in relazione al nuovo gender equality plan. Ovviamente è difficile, proprio perché in università si lavora con i concorsi. Però probabilmente possiamo riuscire a farlo con le chiamate dirette, le chiamate di “chiara fama”, con i finanziamenti dello European Research Council (ERC). È chiaro che è più difficile agire in un contesto di bando perché non possiamo inserire delle clausole. Possiamo quindi, ex post, premiare i dipartimenti, che comunque vanno verso un riequilibrio. e agire laddove invece la chiamata diretta permette di indicare anche la persona. Un altro punto, secondo me, di rilievo, riguarda le nomine a professore emerito. Gli emeriti sono quasi tutti maschi, anche in quei settori dove abbiamo tantissime colleghe che sono andate in pensione e che hanno fatto tantissimo per la loro disciplina. Anche questo è qualcosa dove possiamo assolutamente agire al nostro interno, facendo, a livello di dipartimenti, un maggior numero di proposte anche di valorizzazione delle colleghe. La stessa cosa si può fare con le lauree ad honorem.

Che tipo di azioni sono state o saranno introdotte dall'ateneo per facilitare la conciliazione tra vita privata e vita lavorativa e formativa?

Abbiamo previsto un periodo di congedo parentale universitario di sei mesi richiedibile da studenti madri, padri, genitori adottivi e affidatari, che non avranno obbligo di frequenza delle lezioni. Le madri potranno seguire le lezioni da remoto nei due mesi prima del parto e nei sei successivi dalla nascita, anche in caso di corsi che normalmente prevedono la frequenza obbligatoria, mentre i padri potranno usufruire della misura a partire dalla data di nascita del bambino o della bambina e fino ai suoi primi sei mesi di vita. Ecco, credo che questo sia un percorso che va incentivato ulteriormente. Probabilmente sarebbe anche opportuno valutare di estendere questo periodo, capire se sei mesi sono sufficienti, in che modo. Penso che sia di grande aiuto, anche perché abbiamo ormai tutta la strumentazione per erogare didattica anche a distanza. Al momento è una possibilità legata alla genitorialità ma, secondo me, è un tema che si può applicare anche a per periodi di malattia. Utilizzare queste nuove tecnologie a supporto della conciliazione è fondamentale per chi frequenta l'università.

Allargando invece lo sguardo a tutto il personale dell'ateneo?

Abbiamo attenzione anche per il personale tecnico, bibliotecario e amministrativo (Ptba): molte dei e delle nostre impiegate hanno la necessità di conciliare il tempo sia di accudimento di figlie e figli piccoli, ma anche di genitori anziani, la cui cura è ancora affidata alle donne, nella maggioranza dei casi. Un uso consapevole dello smart working può aiutare a riequilibrare l'impegno. Credo sia anche importante procedere a una serie di indagini per recepire i bisogni più diffusi degli e delle studenti e del personale, e agire sulla base dei dati e delle necessità che emergono dalla comunità. Ad esempio abbiamo potenziato il counseling psicologico a tutto campo.

L'Università di Milano fa parte delle università virtuose che hanno implementato la carriera alias per le persone transgender. Sono presenti o pensa che saranno introdotte nel corso del suo mandato delle politiche rivolte alle persone Lgbtqia+, sia studenti che docenti e personale Ptba?

L'Università degli Studi di Milano ha adottato, già nel 2023, il Regolamento per l'attivazione e la gestione di un'identità alias per persone in transizione di genere. Si tratta di uno strumento che è stato ben accolto da studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo e che consente, qualora sia richiesto, di utilizzare un'identità alternativa, con un nome di elezione diverso da quello anagrafico, all'interno dell'ambiente universitario. Nel corso del mio mandato mi impegnerò a continuare a sviluppare queste politiche e a promuovere tutti i percorsi di formazione inclusiva per gli e le studenti, promuovendo un ambiente rispettoso anche dell'autodeterminazione di genere.

Cos'altro si può fare in questa direzione?

Anche il linguaggio ovviamente è importante, che sia sempre più inclusivo. E su questo devo dire che forse anche il nostro vademecum per il linguaggio di genere, in un certo senso, è un po’ superato, perché per ora prevede maschile e femminile. Qualche tempo fa avevo mandato un questionario, ancora quando ero prorettrice dei servizi agli studenti, con “Cari studenti e studentesse”. Mi arrivò una risposta di vari studenti che dicevano che non si riconoscevano né nell’uno né nell’altro genere. Quindi, forse, un’altra cosa che può essere utile, è capire che quanto abbiamo già stabilito come linguaggio di genere (che peraltro non è ancora nemmeno applicato in tutti i regolamenti, soprattutto dalla popolazione studentesca) è vissuto già come quasi superato. Questo è un tema che è interessante da osservare proprio nelle varie generazioni: in Ateneo abbiamo persone giovanissime, mediamente giovani e vicine alla pensione. Mentre per i colleghi e le colleghe vicine alla pensione spesso si fa anche già fatica a far passare il femminile nei verbali, nei regolamenti, i ragazzi e le ragazze lo sentono già come estremamente superato, ed è uno di quegli ambiti dove sono proprio gli e le studenti a essere propulsivi. Abbiamo anche delle associazioni studentesche che si occupano proprio dei diritti delle persone Lgbtqia+, che portano avanti moltissime attività su questi temi. Un’altra cosa che si potrebbe fare è valorizzare questo tipo di attività.

Le questioni di genere in campo accademico non riguardano solo i percorsi professionali e formativi dello staff e della componente studentesca, ma anche la ricerca, la didattica e la terza missione. La Gender Equality Strategy 2020-2025 della Commissione europea inserisce l'integrazione di approcci di genere e intersezionali nella ricerca e nella didattica tra le aree strategiche del Gender Equality Plan, diventato requisito imprescindibile per l'accesso ai finanziamenti predisposti dal Programma quadro della Ricerca dell'Ue Horizon Europe. In che modo questi approcci saranno valorizzati nell'ateneo, non solo nelle discipline umanistiche e sociali, ma anche in quelle Stem?

L'Università degli Studi di Milano ha intrapreso iniziative significative per promuovere l'uguaglianza di genere, come l'adozione del Bilancio di genere nel 2019 e il suo aggiornamento nel 2020, oltre alla creazione dell'Ufficio Politiche di genere, che coordina strategie e progetti per l'inclusione. L'ateneo intende rafforzare il suo impegno verso un ambiente accademico più equo e inclusivo, in linea con le raccomandazioni della Commissione europea e i requisiti del programma Horizon Europe, valorizzando l'integrazione di approcci di genere, specialmente nelle discipline Stem. Sappiamo quanto è importante avvicinare le bambine alle Stem sin dalla scuola primaria e secondaria, poiché è in quel periodo della vita che si sviluppano i bias radicati che influenzano le scelte accademiche e professionali future. Questo fenomeno si riscontra in maniera più evidente guardando, ad esempio, alle rilevazioni nazionali Invalsi 2023, che mostrano un divario tra le competenze scientifiche degli e delle studenti. In tal senso, l'attività di orientamento è essenziale: come Statale stiamo portando avanti, anche attraverso il finanziamento del Pnrr, efficaci attività di carattere pratico e sperimentale. Un esempio è il CusMiBio – un progetto per la diffusione delle bioscienze gestito dal Centro orientamento, stage e placement –, dove i ragazzi e le ragazze delle scuole superiori tengono laboratori e attività scientifiche sotto la guida di tutor. Molto apprezzata è anche la testimonianza di studenti iscritti ai percorsi Stem o di neo laureati e laureate che presentino la loro esperienza. Sicuramente, poi, è imprescindibile l'attività di informazione e divulgazione di giovani studenti, ricercatrici e ricercatori appassionati che possano trasferire la loro passione a chi si appresta a fare una scelta.

Qual è stato il riscontro rispetto all'adozione di queste politiche?

Negli ultimi anni, queste politiche ci hanno premiato: l'Università degli Studi di Milano ha registrato un incremento nelle iscrizioni ai corsi di laurea Stem. Questo trend riflette una tendenza nazionale, dove l'interesse per le discipline tecnico-scientifiche è in crescita, seppur con variazioni tra le diverse aree di studio. In particolare, si è osservato un aumento significativo nelle immatricolazioni ai corsi di Informatica e Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione (ICT), ma, nel complesso, persiste un divario di genere nelle iscrizioni alle facoltà Stem. C’è una grande attenzione da parte nostra su questi temi, siamo anche un po’ agevolati dal fatto che la Statale da tanti anni porta avanti queste tematiche dal punto di vista della ricerca – dal gruppo di Bianca Beccalli, che ha fondato il Centro di Ricerca Genders –, e poi negli ultimi anni anche tutto il gruppo di Marilisa D’Amico, attuale Prorettrice alla Terza Missione e alle Pari opportunità. Quindi partiamo da una storia di eccellenza su questi temi, ma non ci si deve fermare. Stiamo lavorando molto su questi temi anche con il Comune di Milano, in particolare con la delegata del sindaco, Elena Attuada. Penso che, in una prospettiva di maggiore apertura alla città e interazione col territorio, sia importante coinvolgere anche le istituzioni nelle nostre azioni, che ovviamente facciamo al nostro interno, ma in questo modo diventano anche più impattanti.

In ultima analisi, dove c'è ancora da lavorare, secondo lei?

Sulla comunicazione. Siamo docenti, persone che hanno l'abitudine a usare un tipo di comunicazione giustamente diversa, di riflessione, di convegni, di formazione. Io però ho un figlio di 16 anni, e mi rendo conto che leggono sempre di meno, il formato convegno per loro è improponibile. L'intervento nelle scuole spesso viene vissuto come frontale, l’ennesima lezione, e quindi credo che dobbiamo avere un po’ di fantasia nel capire come arrivare ai e alle giovani: lo strumento del corso di formazione o del convegno parla alla città, alle persone adulte, ai e alle studiose, a chi fa ricerca, alla cittadinanza. Però diciamo che dai 18 anni in giù è come se non si entrasse in questo mondo. Quindi, secondo me, è importante, anche come università, trovare il modo di parlare un po’ il linguaggio dei giovani, con le loro modalità. Non ho una proposta preconfezionata, ma dobbiamo lavorare di più per confrontarci con le nuove generazioni.


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