Tania Groppi, ordinaria di diritto pubblico a Siena, racconta come le costituzionaliste in Italia si stanno faticosamente facendo strada nel mondo delle istituzioni. Un mondo ancora fortemente maschile e schiacciato su pregiudizi patriarcali
Prove di rete,
costituzionaliste in Italia
Quella che sto per raccontare è la storia del processo di aggregazione di un gruppo di donne, professoresse e ricercatrici universitarie di diritto costituzionale, in Italia, negli anni Venti del XXI secolo.
Chi non sia pratico di relazioni accademiche potrà forse trovare sorprendente che, a due anni dall’avvio, questo processo sia ancora nella fase iniziale, ma invito chi legge a considerare che stiamo parlando di una disciplina assai particolare, non tanto per il suo oggetto di studio, quanto per la prossimità al potere politico. Come in altri settori, la prima professoressa ordinaria, Lorenza Carlassare, è arrivata soltanto alla fine degli anni Settanta (per precisione, nel 1979) ed è rimasta l’unica per dieci anni, dopodiché si è assistito a un lento, progressivo incremento, fino a giungere alla situazione attuale, nella quale le donne costituiscono circa un quarto dei professori, associati e ordinari, della materia.
Ciò che colpisce, però, sono le resistenze dei vertici: ancora oggi, il Direttivo dell’Associazione italiana dei costituzionalisti è interamente composto, per la quota “ordinari” (i più alti in grado) da uomini (sei su sei), mentre tra gli “associati” (il secondo gradino di quella che resta una gerarchia) le donne sono due su tre. Mai, nella storia dell’associazione, una donna ne è stata presidente. Le donne hanno rappresentato una quota minima dei relatori nei convegni annuali, che costituiscono un po' la vetrina dell’associazione stessa. E potremmo continuare se, uscendo dall’accademia, osservassimo la principale istituzione nella quale i costituzionalisti si proiettano. Solo per dare un altro piccolo esempio, nella storia della Corte costituzionale ci sono state soltanto cinque donne giudice (su un totale di 114 giudici che si sono succeduti dal 1956 a oggi) e solo una di esse, l’attuale presidente, Marta Cartabia, è una costituzionalista.
C’è voluto il Presidente della Repubblica perché le costituzionaliste italiane cominciassero a prendere coscienza di se stesse, delle proprie specificità, del proprio ruolo e, di conseguenza, cominciassero a parlarsi, a coordinarsi, a mobilitarsi. In quanto accomunate, appunto, da due caratteristiche: donne ed esperte di diritto costituzionale.
Nel senso che è stato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, seguendo la pratica ormai abituale di invitare al Quirinale per l’8 marzo alcune specifiche categorie femminili, a pensare per la cerimonia dell’8 marzo del 2018 alle “costituzionaliste”, cogliendo l’occasione della celebrazione del 70° anniversario della Costituzione.
Ci siamo ritrovate così negli accoglienti saloni della Presidenza della Repubblica, tra specchi, quadri e tappeti, in tante, circondate da volti più o meno familiari di colleghe, a volte amiche. È in quella cornice istituzionale che, per la prima volta, ci siamo riconosciute: eccoci, siamo qui, oggi, perché abbiamo qualcosa in comune, qualcosa che va oltre agli steccati della politica, delle scuole, delle appartenenze territoriali. Il Presidente ci ha invitato in quanto costituzionaliste. Come qualche volta capita, è nel riflesso di uno sguardo esterno che, finalmente, riusciamo a vederci.
Molti mesi sono passati, e sono dovuti accadere molti eventi, perché quel primo momento di consapevolezza, e la email che ne è seguita, prontamente inviata da una delle più attive di noi, Marilisa D’Amico, da sempre attenta, nei suoi temi di ricerca e di presenza nella società civile, alle questioni di genere, trovasse, dopo le prime risposte entusiastiche di molte, un qualche riscontro fattuale.
L’evento che, nel cuore dell’estate (si era già nel mese di luglio del 2018) ha fatto scattare una molla è stata la vicenda delle nomine. Il Parlamento in un colpo solo ha nominato per ventuno posizioni disponibili negli organi di garanzia delle magistrature, Consiglio superiore della magistratura compreso, e per un seggio vacante alla Corte costituzionale, udite udite, ventuno uomini. Neppure si è tenuto conto di una quota di genere puramente simbolica, soltanto per evitare le critiche, come capita di solito. Niente: l’accordo tra i gruppi parlamentari non ha lasciato spazio alle donne.
Qui posso spendere una parola personale. Ho avuto ovviamente un primo momento di sorpresa, ma a ciò ha fatto subito seguito un cammino di accettazione: è l’Italia, sappiamo come vanno le cose, questo non è un paese per donne, ecc. Mi sono trovata però a parlarne con alcune colleghe tunisine, con le quali ho stretto una sincera amicizia nei miei anni di lavoro sul campo nella transizione democratica della Tunisia. Ecco, loro erano assai più impressionate di me e sono state categoriche: è inutile lamentarsi, vi dovete organizzare e lottare, le cose non cambiano da sole, nessuno vi regalerà niente, mi ha detto decisa Salwa Hamrouni, giovane e brillante costituzionalista, in prima linea nella difesa dei diritti delle donne.
Altre colleghe, autonomamente, passato il primo momento di sorpresa, hanno avuto la stessa reazione: Marilisa, Elisabetta (Catelani), Ginevra (Cerrina Feroni). In poche ore è nato un pool di regia per un’operazione a tutto campo, che in pochissimi giorni ha portato a scrivere una lettera aperta ai presidenti delle camere, sottoscritta da 65 costituzionaliste, professoresse ordinarie e associate, quasi tutte le socie dell’associazione, volta a sottolineare la necessità di rispettare l’articolo 51 della Costituzione, sul diritto, per uomini e donne, di accedere in condizioni di uguaglianza agli uffici pubblici e alle cariche elettive, che fu appositamente emendato nel 2003, con il richiamo alla necessità che la Repubblica adotti appositi provvedimenti.
La lettera, pubblicata tra l’altro in Questione giustizia, ha subito messo in evidenza diverse questioni.
Innanzitutto, la mobilitazione convinta delle colleghe, costituzionaliste e non solo: i confini della categoria si sono rivelati, com’era prevedibile, fluidi ed è stato necessario allargare l’ambito di riferimento. Così la sottoscrizione è stata aperta all’adesione di giuriste non iscritte a quella che, nonostante la sua autorevolezza, resta un’associazione che non rappresenta l’intera categoria delle accademiche di diritto pubblico: basti pensare alle comparatiste o alle amministrativiste e comunque a quelle che, per varie ragioni, non si sono mai iscritte all’associazione.
Ci sono state poi le variegate reazioni dei colleghi uomini, informati dell’iniziativa a cose fatte: reazioni che hanno avuto le più diverse declinazioni, ma che comunque hanno mostrato immediatamente la necessità di accogliere la partecipazione di coloro che fin dall’inizio sono stati solidali con l’iniziativa. Desidero ricordare in particolare con affetto, oggi, a pochi giorni dalla sua prematura scomparsa, il caro collega Joerg Luther, fin dall’inizio al nostro fianco. Anche molti colleghi hanno quindi sottoscritto la lettera, che è giunta in tal modo a 550 firme.
Al contrario, la politica non ha dato nessun segno di reazione. Nonostante le parole pronunciate, a pochi giorni dall’iniziativa, dal Presidente della Repubblica (che, rivolgendosi ai giovani magistrati il 23 luglio 2018, ha esortato le istituzioni politiche a tenere conto che “il mondo è composto da donne e da uomini”), i presidenti delle camere non hanno mai formalmente risposto e soltanto dopo innumerevoli sollecitazioni è stato possibile avviare qualche contatto.
Tuttavia, questa vicenda, al di là dell’impatto, assai limitato, sul problema che ne è all’origine (nessuna delle modifiche legislative e regolamentari che la lettera chiedeva è stata realizzata), ha messo in moto quel processo aggregativo che l’incontro dell’8 marzo aveva fatto auspicare: una volta scoperteci “costituzionaliste italiane”, abbiamo avvertito la necessità di vederci, conoscerci, coordinarci.
E così è stato. Piano piano, riunione dopo riunione, invito dopo invito, convegno dopo convegno, dall’autunno del 2018 abbiamo cominciato a ragionare insieme. Piccole cose: una mailing list, una chat poco invasiva, un ciclo di seminari. E un’attenzione diversa, da parte di tutte, agli studi di genere, su eguaglianza, violenza, sulle madri costituenti, che alcune costituzionaliste portano avanti da anni. Insomma, uno sguardo nuovo, su di noi e sulla nostra realtà.
L’attenzione del gruppo si è subito indirizzata a due temi: la vita dell’Associazione dei costituzionalisti e il rispetto dell’articolo 51 della Costituzione nei procedimenti di nomina, con qualche risultato su entrambi i fronti.
Così, per la prima volta, l’Associazione dei costituzionalisti ha recepito come tema per il convegno annuale del 2019 quello dell’eguaglianza formale, inclusa l’eguaglianza di genere, e ha dato vita a un panel di relatori in cui le costituzionaliste sono state in maggioranza. Non senza qualche difficoltà, è stata introdotta per l’elezione del direttivo dell’associazione, a partire dalla prossima elezione, nel 2021, la preferenza di genere.
Sul tema dei procedimenti di nomina è stata lanciata una ricerca a tutto tondo sulla presenza femminile negli organi di garanzia e autorità indipendenti, in Italia e in Europa, capofila l’Università di Firenze, con la partecipazione di giovani ricercatrici e ricercatori di diversi atenei italiani e il supporto di corrispondenti esteri, che si avvia nel 2020 a dar vita a un convegno internazionale e a una serie di pubblicazioni.
Insomma, a due anni di distanza da quell’8 marzo 2018, questo è quello che abbiamo costruito. Restano ancora tanti interrogativi e questioni aperte: continuiamo a interrogarci se costituire un’associazione, aprire un sito web dedicato, dar vita a una rivista o una collana. La strada è ancora lunga: per fare solo un esempio, siamo ben lontane dalla Spagna, dove un gruppo nutrito di costituzionaliste già da anni opera come associazione, con una propria pagina web, convegni e pubblicazioni.
D’altra parte, le difficoltà tra le quali, come costituzionaliste italiane siamo chiamate a destreggiarci, con coraggio ma anche con prudenza, altro non sono che lo specchio della nostra società: una società che, come mostrano i dati (e in questo il confronto con la Spagna è impietoso) resta profondamente patriarcale e maschilista. Una società che siamo chiamate a cambiare, passo passo – anzi, passettino per passettino – ma sempre standoci pienamente dentro.
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