L'elezione della prima donna alla presidenza della Corte costituzionale rappresenta in termini assoluti una conquista dal punto di vista della parità, ma quanto abbiamo davvero da festeggiare se questa nomina va a coincidere con visioni poco inclusive dal punto di vista dei diritti civili?

Cartabia. Quanto abbiamo
davvero da festeggiare?

di Marta Capesciotti

Marta Cartabia è la prima donna a capo della Corte costituzionale da quando nel 1956 tale organo entrò in funzione. Molte voci hanno interpretato questa notizia come un passo avanti nella parità di genere, una crepa nella perdurante esclusione delle donne dalle più alte cariche decisionali. Una frattura nel soffitto di cristallo. Un evento rilevante che richiama alla memoria l’elezione di Emma Marcegaglia alla presidenza di Confindustria nel 2008. 

Allora – come oggi – voci più critiche si alzarono, evidenziando come l’essere donna non basta a riparare dalle critiche per il ruolo che si ricopre: Emma Marcegaglia era sì donna, la prima donna a presiedere l’organo di rappresentanza dell’imprenditoria italiana. E però per la donna lavoratrice, precaria, povera non solo non rappresentava un modello, anzi incarnava potenzialmente, ma in rosa, il datore di lavoro. Rispolverando un’ottica di conflitto tra classi, il meccanismo di riconoscimento tra donne, tra la donna lavoratrice ed Emma Marcegaglia, si incrinava irrimediabilmente. Inoltre, attualmente Emma Marcegaglia è presidente dell’Eni, ovvero la multinazionale che fatica a ripulire la propria immagine a livello internazionale dopo le violazioni dei diritti ambientali perpetrate ai danni delle popolazioni autoctone in varie parti del mondo, dalla  Nigeria alle Filippine. In questo caso, sembra sia necessario scegliere se vedere in Emma Marcegaglia un modello di donna di successo a capo di una grande impresa, o il volto incarnato di una multinazionale che senza scrupoli compromette gli equilibri ambientali.

Lilli Gruber – altra donna di successo ma nel campo del giornalismo – ha recentemente pubblicato un libro dal titolo Basta! Il potere delle donne contro la politica del testosterone, denunciando la volgarità misogina del dibattito politico italiano e la perdurante esclusione delle donne dai ruoli decisionali. In un’intervista a una nota trasmissione televisiva di inizio novembre, incalzata dal conduttore a esprimere la sua opinione su Giorgia Meloni, Lilli Gruber ha detto che – pur non condividendo le opinioni politiche da lei espresse – va riconosciuto che è l’unica donna a capo di un partito politico. In questo caso, dunque, sembra necessario scegliere se vedere in Giorgia Meloni un modello di donna di successo che ha sconfitto il maschilismo della politica italiana tradizionale, o il volto incarnato della destra estrema, entrando nel merito delle sue numerose esternazioni razziste e omofobe. 

Tornando, infine, a Marta Cartabia, ci sono articoli scritti dalla nota costituzionalista nel corso degli anni in cui prende parola su temi delicati – quali il fine vita – e sui diritti civili, in primis sui matrimoni non eterosessuali. Alcuni siti e personalità afferenti alla galassia LGBTQ hanno sottolineato che c’è poco da festeggiare (vedi gli articoli usciti su Huffington post e su Gaypost), richiamando l’affiliazione della neo-presidente della Consulta a Comunione e Liberazione e le sue esternazioni sull’interpretazione conforme a costituzione dell’istituto familiare come esclusivamente eterosessuale. Sembra che anche in questo caso, dunque, essere una donna e di potere non basti a innescare un meccanismo di identificazione reciproca tra donne.

Una donna lesbica, ad esempio, non potrà che sentirsi minacciata. Questo perché la Corte costituzionale è l’organo di controllo giurisdizionale del rispetto della Costituzione; la giustizia costituzionale rende viva la Costituzione, contribuisce alla sua interpretazione e corretta applicazione. È l’organo che tutela la rigidità della Costituzione stessa e la tenuta del sistema democratico, nonché la garanzia dei diritti. L’articolo 29 della Costituzione riconosce e garantisce la tutela della famiglia come nucleo fondante della società. Ma quale famiglia? Come interpretare questa disposizione? In base all’interpretazione viene tracciato il solco che delimita la tutela dei diritti, quali famiglie stanno dentro e quali rimangono escluse. Probabilmente Marta Cartabia porrebbe tale limite in corrispondenza dell’orientamento sessuale, lasciando dentro solo le famiglie generate da un uomo e una donna. D'altronde, nel 2016 – anno di approvazione della legge sulle unioni civili – fu proprio questo il dibattito: esiste una sola famiglia, quella tradizionale, o il novero delle realtà che meritano tale appellativo si è ampliato? Alla fine, si optò per un compromesso, riconoscendo le unioni non eterosessuali, ma chiamandole, appunto, unioni civili e non matrimoni. 

Essere donne non basta per creare alleanze, per consentire l’identificazione reciproca tra soggetti che vivono in una condizione di strutturale svantaggio. Le vite di tutti gli individui – e anche delle donne – sono multidimensionali, si muovono tra più sfere e su più piani; nessuno dei quali è prescindibile. Per festeggiare l’elezione di Marta Cartabia, si dovrà, dunque, attendere di vedere l’orientamento che la Consulta – sotto la sua guida – adotterà sui temi pressanti dei nostri tempi. Intanto, tra le sue prime dichiarazioni, si è auto-conferita il merito di aver infranto il soffitto di cristallo, richiamando l’esperienza della neo-Premer finlandese, Sanna Marin. Che è una donna giovane a capo di una coalizione di partiti guidati tutti da donne. Però è anche figlia di una famiglia omogenitoriale composta da due donne lesbiche. Questo Marta Cartabia non lo dice. Come la mettiamo?


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