Le politiche non sono neutre. La nuova finanziaria, appena approvata dal governo Meloni, premia le donne già avvantaggiate, lasciando indietro quelle che invece avrebbero più bisogno di supporto, restituendoci un ideale preciso di femminilità

Signora
finanziaria

di Barbara Leda Kenny, Sabrina Marchetti

Le politiche non sono neutre, sottendono una visione di società. Chiamiamo i destinatari e le destinatarie delle politiche "beneficiari" perché sono coloro a cui queste politiche dovrebbero arrecare beneficio. Analizzandole, è dunque possibile comprendere quale idea di società, di famiglia e di donna guida le decisioni di chi governa.

Leggendo la finanziaria appena approvata in un'ottica di genere e guardando i dati disponibili, possiamo tracciare il profilo di chi trarrà maggior vantaggio dalla spesa pubblica. Sgravi fiscali, bonus nido, esenzioni di Iva sono alcune delle misure previste dal governo nella finanziaria, le poche pensate per facilitare la vita delle donne.

Partiamo dagli sgravi fiscali: sono indirizzati al cento per cento alle donne con un impiego a tempo indeterminato, che hanno tre o più figli (anche se una parte delle agevolazioni inizia dal secondo).

In primo luogo, bisogna dire che si tratta di una platea piuttosto ristretta: in Italia lavorano poche donne, la maternità rappresenta un concreto fattore di rischio di espulsione dal mercato del lavoro – rischio che aumenta all'aumentare del numero di figli. In 22 Paesi Ue su 27 il tasso di occupazione delle donne con tre figli è più alto di quello delle italiane con uno solo. Le lavoratrici con tre figli in Italia sono l'eccezione e non la regola.

In secondo luogo, essendo limitata alle lavoratrici con contratto di lavoro a tempo indeterminato, la misura rischia di coprire solo le donne che godono di maggior sicurezza, mentre sappiamo che il lavoro femminile è caratterizzato da una maggiore precarietà.

Poche donne, quindi, ma anche privilegiate, non solo perché lavorano a tempo indeterminato ma anche perché, a differenza di quello che si tende a pensare, sono le famiglie ad alto reddito e migliori condizioni di lavoro femminile a fare più figli.

Per capire meglio a chi si rivolge questa misura bisogna ribadire anche che in Italia accedono al mercato del lavoro le donne con livello di istruzione più alto (il tasso di occupazione tra le laureate è di 25,8 punti più elevato di quello tra le donne con al massimo la licenza media inferiore) e che si laureano principalmente i figli e le figlie di persone laureate, quindi le classi sociali benestanti. Infine, per concludere il quadro, che i figli si fanno dove c’è più lavoro e dove ci sono più servizi, ossia nelle aree urbane del nord est (Bolzano e Trento prima di tutte).

Per chi ha più di un figlio aumenta il bonus nido, che si può usare per asili pubblici e privati: sicuramente un aiuto alle famiglie, ma anche qui, siamo di fronte a una misura che riguarda chi fa il secondo figlio. I nidi svolgono importanti funzioni educative e di contrasto alla povertà infantile, per questo dovrebbero avere una copertura universale, soprattutto nelle aree svantaggiate, dove maggiore è la povertà infantile e minori sono anche le opportunità lavorative per le madri. 

Inoltre, l'universalità (e la certezza) della copertura fin dal primo figlio potrebbe funzionare da incentivo, dunque operare ex ante, e non solo ex post come aiuto a chi ha già fatto un figlio. Questo è importante se guardiamo al problema demografico. Esempi come quello di Roma ci dimostrano che ci sono politiche più democratiche ed efficaci per l’accesso ai nidi.

Diversi benefici della finanziaria, inclusa la facilitazione per l'acquisto della prima casa, sono previsti per le famiglie con più di due figli e i nuclei con un Indicatore di situazione economica equivalente (Isee) fino a 40.000 euro, o più alto.

L'Isee viene compilato dalle famiglie per accedere a welfare e servizi – nel 2021 lo hanno fatto 7,8 milioni di famiglie Un dato è particolarmente utile per capire quali sono i reali bisogni di  sostegno: l'Isee medio delle famiglie con bambini è di circa 12.000 euro ed è più basso nelle regioni del Sud. Creando un unico scaglione di aventi diritti, l'intenzione è quella di allargare le forme di sostegno anche ai ceti medi, senza dare priorità a chi è più vulnerabile, come, per esempio, le donne sole con figli a carico.

La nuova finanziaria pare quindi privilegiare soprattutto le donne benestanti, escludendo dal discorso le donne e le madri che più avrebbero bisogno di supporto: lavoratrici part-time e a tempo determinato, madri "casalinghe" non per scelta, ma per necessità o per mancanza di alternative o di servizi. 

Un discorso a parte vale per le lavoratrici domestiche, a cui non vengono rivolte le forme di agevolazione e sostegno riservate invece alle altre madri lavoratrici (la frase lapidaria "a esclusione dei rapporti di lavoro domestico" all’art. 180 sottolinea inequivocabilmente il concetto). 

Torna allora la conferma di una visione del lavoro domestico come un non-lavoro, un'occupazione di serie B, e delle lavoratrici domestiche come una categoria che può rinunciare alla propria vita familiare per il benessere della famiglia per cui lavora. Una visione miope che, agevolando apparentemente le famiglie che domandano cura, rischia di inasprire la cronica carenza di lavoro di cura e di favorire l'esplosione del problema dello squilibrio fra domanda e offerta di cura, reso sempre più intrattabile dall'invecchiamento demografico.

Infine – potrebbe sembrare una nota di colore ma sfortunatamente non lo è – se nel nostro paese l'Iva sul consumo si toglie ai prodotti e servizi considerati fondamentali, ora si torna indietro sulla recente decisione di toglierla sugli assorbenti e sui prodotti per l'infanzia, ripristinandola: l'aliquota passa dall'attuale 5 per cento al 10 per cento. 

Allo stesso tempo, però, viene tolta quella sulla chirurgia estetica e gli integratori alimentari. Secondo la Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva-rigenerativa ed estetica, l'intervento chirurgico più eseguito nel 2021 è risultato essere la mastoplastica additiva, eseguita principalmente da donne under 35. Il costo medio di un'operazione è di circa 8000 euro, sicuramente non alla portata di tutte. 

Venendo agli integratori, anche qui i dati parlano di un mercato in espansione, e, secondo un'indagine della società di ricerche di mercato Eumetra, sono le giovani, che vivono in città e hanno un livello di istruzione alto, le principali consumatrici di integratori e li usano principalmente per il "benessere": depurazione, gambe pesanti, rinforzo di capelli e unghie, eccetera.

Insomma, le politiche non sono neutre. Sottendono sempre una visione, un modello di famiglia, un ideale di donna. 

In un paese in cui il tasso di occupazione femminile è molto basso, così basso da essere il peggiore d'Europa, in cui la qualità del lavoro femminile è scarsa e caratterizzata da contratti a termine, in cui non si realizzano i desideri di fecondità, un paese in cui per le donne i figli rappresentano spesso l'uscita dal mercato del lavoro e l'anticamera della povertà, e in cui i divari sociali e territoriali sono fortemente accentuati a svantaggio del Sud specialmente se sei una donna, il governo Meloni decide di sostenere una donna che potremmo figurarci così: madre di almeno due figli, con una buona occupazione, laureata, con tate e colf, attenta al proprio aspetto estetico, che desidera essere magra e con un seno abbondante, e, molto spesso, vive in una città del centro-nord. 

A ognuno le sue priorità, però, possiamo dire che piove sul bagnato?


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