Dopo la sentenza della Cassazione sul post-divorzio apriamo il dibattito sull'economia di coppia. Valentina racconta come lei e suo marito Mattia hanno organizzato la gestione delle entrate e delle spese
Economia di coppia
Valentina e Mattia
Io e il mio compagno eravamo amici prima di diventare una coppia, quindi c’ero quando si è separato da quella prima di me, e mi ricordo che uno dei problemi che avevano era la risoluzione del conto in comune. Conto in comune? Ero scandalizzata, mi sembrava la preistoria.
Un anno dopo siamo andati a convivere e, mentre ero molto concentrata nello stabilire un’equa ripartizione della cura della casa, sul fronte economico non mi preoccupavo: ero abituata a convivere con amiche e fidanzati e a una gestione condivisa delle spese. La nostra dinamica è cambiata quando la nostra situazione economica è migliorata, guadagnavamo più o meno lo stesso, vivevamo in una casa prestata e abbiamo deciso di destinare uno dei due stipendi al risparmio. Quindi il mio conto è diventato il conto risparmio – lo usavo solo per le mie spese personali – e il suo il conto corrente copriva le spese del vivere comune: casa, assicurazione, manutenzione della macchina, cibo, ecc. Quando siamo finalmente riusciti a comprare una casa, la banca ci ha chiesto l’apertura di un conto cointestato.
Ad oggi abbiamo due conti cointestati, in uno viene accreditato il mio stipendio nell’altro il suo. Il mio stipendio copre mutuo e spese di casa, il suo il vivere comune. Lui non ha mai controllato in che cosa spendo i soldi né io in cosa li spende lui, e mi sono sempre sentita libera di spendere nei limiti della nostra economia.
Probabilmente il fatto di essere diventati adulti insieme e aver iniziato la nostra relazione a ventisei anni comporta "uno stile economico" costruito insieme. La cura della casa si è un po’ sbilanciata perché io ho molti più impegni extralavoro, è lui che si fa carico completamente della nostra alimentazione e della gestione amministrativa e burocratica della famiglia. Quello che è cambiato in questi dieci anni è che, così come credo che la cura non sia un mio destino, penso anche che al vivere economico comune ognuno debba contribuire non in maniera paritaria, ma in maniera proporzionale, stabilendo uno standard di vita condiviso. Nel frattempo il gap di genere di questo paese si riflette nella nostra coppia: il suo stipendio è diventato il 40% più alto del mio.
Dedico molte energie al mio lavoro e mai rinuncerei alla possibilità di essere autonoma, la mia indipendenza è parte della salute della nostra relazione: la necessità non c’entra niente con i motivi che ci tengono insieme. L'indipendenza non è solo avere un lavoro: è avere un lavoro che ti gratifichi, che ti stimoli e ti dia un senso che va oltre il ruolo familiare. Credo che le donne abbiano imparato due cose fondamentali: la prima è che nessuna relazione è per sempre, la seconda è a volere una definizione sociale ed economica nostra e non data dalle relazioni (insomma non vogliamo essere identificate sempre e solo come "la moglie del" né come la "mamma di"). Abbiamo interiorizzato il valore dell’autonomia, ma anche della mutualità, voglio dire: saremo pronte se e quando uno dei due scapperà di casa, perderà il lavoro, ci chiederà sostegno per iniziare una nuova attività.
Quello che mi sembra anacronistico è che per le donne il lavoro formale possa continuare a essere considerato un’alternativa o un’integrazione al matrimonio e/o alla maternità intese come "lavoro principale". Sarò un po’ dura, ma penso che oggi quelle che non negoziano la condivisione della cura e delegano la propria dimensione economica a un uomo, debbano essere consapevoli dei rischi che corrono e assumersi quella responsabilità, magari correndo ai ripari con un contratto o con un fondo personale. Molte di noi sono in fuga dalla narrazione che vede la casa e la dipendenza economica come una possibile scelta, mentre per gli uomini non è negoziabile: il lavoro è fondante della loro identità, non c'è una matrice di "scelta" nel loro dedicarsi al lavoro. Sappiamo che la nostra autonomia è il nostro salvagente e come dice Ada questo è diventato un presupposto per la decisione di avere dei figli, non credo che sia solo perché in moltissimi casi si ha bisogno di due redditi. L’ultima cosa, come dice Chiara: i diritti non ti servono finché va tutto bene, quando ti trovi in situazioni complicate le tutele sono invece necessarie, che sia la salute, che sia una separazione… e io per esempio ho scelto di sposarmi.
Valentina, 38 anni
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