Secondo l'ultimo rapporto delle Nazioni Unite sullo stato della popolazione nel mondo, la vera crisi demografica globale riguarda l'autonomia delle persone nella sfera riproduttiva. Vale a dire la libertà di scegliere se, come, quando e con chi diventare genitori, ricevendo un sostegno adeguato in termini di diritti e politiche
Libere di
scegliere
L'Italia è passata dal Dipartimento per le pari opportunità al Dipartimento per la famiglia, la natalità e le pari opportunità. Parole che segnano un posizionamento netto e una narrazione altrettanto chiara: l’orizzonte (strettissimo) in cui si iscrivono i diritti delle donne è quello della famiglia, e in particolare della famiglia con figli (anzi, “Più figli! Che se ne fanno troppo pochi”).
Abbiamo gli "stati generali della natalità", si moltiplicano le leggi regionali “della famiglia”, ed esiste un piano nazionale che ha come obiettivo quello di sostenere la natalità e valorizzare la famiglia come “nucleo fondamentale della società”, ma solo se questo nucleo è di stampo “tradizionale” o “naturale”, intendendo per naturale eterosessuale.
In questo scenario, il nuovo rapporto sullo stato della popolazione nel mondo del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (United Nations Population Fund, Unfpa), La crisi reale della fecondità: l’autonomia riproduttiva in un mondo che cambia, curato in Italia dall’Associazione italiana donne per lo sviluppo (Aidos) è particolarmente interessante da leggere.
Il documento muove da una duplice premessa: quella per cui mentre in un paese su quattro la popolazione decresce, allo stesso tempo il mondo si prepara a raggiungere il picco di abitanti sul pianeta. Così si oscilla tra un numero consistente di gravidanze indesiderate – per cui il numero di figli per donna supera quelli desiderati – e coppie che non riescono a realizzare i loro desideri di fertilità – che quindi hanno meno figli di quelli che vorrebbero. Questi due fenomeni caratterizzano i paesi, ma possono coesistere anche nello stesso paese in contesti sociali o geografici diversi.
Le retoriche di sovrappopolamento e di inverno demografico dunque coesistono, e ognuna delle due solleva problemi di carattere politico e risposte in termini di politiche. Più di tutto, in questo rapporto, è interessante la visione: perché si dice chiaramente che non c’è né una crisi perché siamo troppe persone nel mondo, né una crisi perché stiamo diventando troppo pochi, ma che la vera crisi oggi riguarda la libertà di scelta. In particolare, la reproductive agency, vale a dire la capacità delle persone di fare scelte informate e senza restrizioni su tutto quello che concerne la sfera riproduttiva: dall’avere relazioni sessuali, all’usare la contraccezione, alla scelta di avere o non avere figli. Questa capacità o possibilità delle persone non si riduce a un sì o un no, ma al rintracciare nel proprio contesto le condizioni abilitanti: ossia le condizioni sociali, economiche e legali/di diritto.
Il rapporto sposta quindi l’asse dai bisogni dei governi (in termini di gestione della popolazione per cui si stabilisce un obiettivo numerico) e le politiche pro o anti-nataliste che cercano di controllare o orientare le scelte riproduttive, a una visione che, invece, mette al centro il desiderio e la libertà di scelta delle persone.
La pubblicazione ha il pregio di partire dai dati – con un'indagine su 14.000 adulti, sia uomini che donne, in 14 paesi che insieme rappresentano il 37% della popolazione globale – e di cercare di individuare le cause per cui le persone non fanno i figli che davvero desiderano.
Possiamo distinguere le cause per la mancata realizzazione dei desideri in due grandi gruppi: il primo riconducibile a fattori sociali come soldi, casa, lavoro. Quindi alle difficoltà economiche legate ai salari bassi e al costo che l'avere figli comporta, al difficile accesso alla casa e alla mancanza di lavoro o a condizioni di lavoro precarie. Cause che possiamo legare alla difficile transizione alla vita adulta.
Il secondo gruppo di ragioni lo possiamo definire “personale”, per raggruppare le condizioni di salute e quindi i problemi di fertilità, relazionali – ossia la mancanza di un partner, o di un partner che voglia fare figli, o che venga considerato/a adatto/a a un progetto genitoriale. Per molte donne, per esempio, un partner “poco collaborativo” nel lavoro di cura è uno dei motivi per cui, dopo il primo figlio o la prima figlia, non se ne fanno altri. E infine c'è la paura del futuro, che viene indicata da quasi il 20% delle persone che hanno partecipato all’indagine come uno dei motivi per cui non riusciranno ad avere i figli che vogliono. Queste cause agiscono sia come elementi reali, quindi fattori che vengono indicati a posteriori per non aver realizzato i propri desideri di fecondità, che come proiezioni dei fattori che si presume avranno un impatto sulla realizzazione di questo desiderio.
Se queste sono le cause, le risposte che sono state date in termini di politiche non hanno funzionato.
La prima cosa che non ha funzionato è parlare di questi temi come di un discorso che riguarda solo le donne: gli uomini sono esclusi dai messaggi e dalle discussioni sulle scelte riproduttive, e, spesso anche dalle politiche. Per esempio, in Italia ci siamo adeguati alla richiesta europea di dieci giorni di congedo di paternità, mentre altri paesi ottenevano il congedo paritario alla maternità. Ciononostante, molti uomini non usano questo congedo perché pensano che verrebbero penalizzati sui luoghi di lavoro. Le nuove mascolinità legate alla cura incontrano molte resistenze: è l’altra faccia dello stesso stereotipo, quello per cui i figli e le figlie sono delle donne, che sarebbero anche le più adatte a prendersene cura. Stereotipi funzionali a mantenere i ruoli tradizionali per cui il lavoro non retribuito è ancora appannaggio principalmente delle donne.
La seconda cosa che non funziona è la coercizione, cioè costringere le persone ad avere un determinato numero di figli o figlie, o limitare il loro accesso ai diritti riproduttivi – per esempio garantendoli solo alle persone eterosessuali o proibendo la contraccezione. Azione, questa, che non favorisce il controllo pro o anti-natalista.
Così come, secondo il rapporto, non funzionano nemmeno gli incentivi economico-finanziari come i bonus bebè o bonus mamma. Ma le politiche che ottengono un effetto davvero avverso, spiega Unfpa, sono quelle che minacciano e rimettono in discussione i diritti conquistati dalle donne con lo scopo, presunto, di aumentare la fecondità – come, per esempio, le limitazioni o il divieto di abortire.
Cosa funzionerebbe allora?
Un approccio olistico che sostenga le scelte delle persone, lavoro di qualità per le persone giovani e in particolare per le donne, accesso all’abitare, maggiore coinvolgimento degli uomini nella cura, e soprattutto l’autonomia riproduttiva, ossia che le persone possano decidere se, come, quando e con chi diventare genitori e che questa loro scelta sia sostenuta dalla società con diritti e servizi adeguati.