Opinioni

Il "bonus mamme" introdotto dal governo Meloni privilegia le madri naturali non tenendo conto di quelle adottive, rivelandosi una misura discriminatoria in un paese dove la genitorialità adottiva è ancora considerata una parentela di serie b

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Bonus mamme
Credits Unsplash/Hugo Jones

La Legge di bilancio 2024 (ovvero la legge n. 213 del 30 dicembre 2023, art. 1 comma 180 e 181) ha introdotto un esonero contributivo per le madri lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato, con tre o più figli, fino alla maggiore età del figlio o della figlia più piccola, noto come "bonus mamme". 

L'esonero è pari al 100% della quota dei contributi previdenziali a carico delle lavoratrici, nel limite massimo di 3.000 euro l'anno. La misura è valida dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026, e solo per l'anno 2024, in via sperimentale, possono beneficiare del bonus anche le lavoratrici madri di due figli, purché il più piccolo o la più piccola abbia un'età inferiore ai dieci anni.

Da tempo gli studi raccomandano la rinuncia ai meccanismi dei bonus: in quanto frammentati e occasionali, si configurano spesso come inefficaci nel raggiungimento degli obiettivi prefissati (incremento occupazione femminile, giovanile, natalità, ecc.), oltre a replicare le disuguaglianze, nella misura in cui le quote di trasferimenti sui redditi individuali (e non familiari) sotto forma di detrazioni fiscali non incentivano la redistribuzione.[1]

Al di là, quindi, dell'efficacia della misura del "bonus mamme" – per la quale sono stati previsti gli esoneri, ossia incentivare e mantenere l'occupazione femminile e fornire un supporto alle famiglie attraverso l'aumento del valore della busta paga –, emerge però un profilo di discriminazione, dal momento che le madri lavoratrici adottive ricadono in un caveat giuridico che ostacola il pieno riconoscimento dei loro diritti. 

La legge infatti non prevede una formula di salvaguardia per chi è diventata madre attraverso l'adozione, facendo quindi risultare la norma discriminatoria. Nella fattispecie, non viene specificato che il beneficio può essere usufruito a partire dall'ingresso in famiglia del figlio o della figlia più piccola fino alla sua maggiore età, penalizzando così questa categoria specifica di nuclei familiari. 

Nelle disposizioni di questo tipo si può osservare quanto non sia sufficiente l'espressione "nato/a o adottato/a" – usata in maniera ricorrente nella normativa che riguarda le materie di tutela e sostegno alla maternità, di work-life balance o di sostegno al reddito legato alla genitorialità – per garantire equità di diritti e parità di trattamento, come specificato nel Decreto legislativo 151/2001, che equipara la filiazione naturale all'adozione e all'affidamento.[2]

Se ci si focalizza sulle adozioni internazionali, l'età media dei bambini e delle bambine arrivate in Italia nel 2022 era di circa sette anni. Sebbene non siano disponibili i dati, si presume che anche per le adozioni nazionali l'età media si avvicini a questo valore.

Di conseguenza, le madri lavoratrici adottive potrebbero o non poter accedere al "bonus mamme", o beneficiarne per un periodo minore rispetto a quanto spetterebbe loro, se si considerasse non tanto la parità di trattamento, quanto l'equità.

Queste madri si troverebbero infatti ad avere una riduzione del periodo di fruizione del bonus in ragione dell'età di arrivo in famiglia dei loro figli o delle loro figlie. Addirittura, potrebbero non avere i requisiti se il secondo figlio o la seconda figlia, al momento dell'ingresso in famiglia o subito prima, avesse un'età pari o superiore ai dieci anni. Questo vuoto normativo non riconosce, pertanto, la peculiarità della filiazione adottiva, dove i bambini e le bambine possono diventare figli e figlie sia a pochi mesi che, sempre più frequentemente, più in là nel tempo, anche a sette o dieci anni di età.

Le misure di compensazione previste per altri sostegni alla genitorialità (congedi di maternità e paternità, congedi parentali, permessi per allattamento, ecc.) equiparano opportunamente la nascita all'ingresso nella famiglia adottiva, indipendentemente dall'età del bambino o della bambina. 

Tuttavia, poiché lo sgravio contributivo in questione è stato formulato anche come uno strumento per incentivare la natalità, si può supporre che per le adozioni questa compensazione non sia stata intenzionalmente prevista. 

Provando a tracciarne una logica, una parziale giustificazione a questo approccio potrebbe valere per le adozioni nazionali, in quanto si tratta di bambini e bambine già presenti sul territorio italiano, ma certamente non è sostenibile per le adozioni internazionali, nel momento in cui i e le minori provenienti dall'estero incrementano di fatto la popolazione giovane italiana. 

Allo stesso tempo, bisogna riconoscere che, anche nel caso delle adozioni nazionali, i bambini e le bambine che vengono adottate diventano figli e figlie attraverso un diritto che viene loro riconosciuto – quello alla famiglia (L. 184/83). Quindi, in maniera non tanto simbolica e sicuramente efficace, contribuiscono ugualmente ad aumentare la natalità. In questo modo si prevengono e/o respingono tutte le leve discriminatorie che ancora oggi fanno della genitorialità adottiva una genitorialità percepita come "di serie b".

Infine, è necessario sottolineare che questa discriminazione si ripercuote anche sulle famiglie in cosiddetto "collocamento provvisorio", quindi in situazione di rischio giuridico – che può durare anni – e sulle famiglie affidatarie, per le quali, nel caso di questa misura, vale lo stesso principio di uguaglianza ma non di equità dei diritti. 

Per il carattere solidaristico e sussidiario di questo istituto è ancora più stridente la mancanza di misure di compensazione che permettano alle madri lavoratrici affidatarie di poter accedere al "bonus mamme" se ne hanno i requisiti. Anche, ma non solo, perché è noto quanto l'affidamento familiare contribuisca in maniera consistente a ridurre i costi dovuti alla tariffazione del sistema dell'accoglienza residenziale dei e delle minorenni a carico delle amministrazioni comunali.

Note

[1] C. Saraceno, Politiche per le famiglie e disuguaglianze, in "Rivista delle Politiche Sociali", n. 1, pp. 103-124, 2020. e C. Solera, Il pacchetto famiglia del governo: tante misure frammentate di dubbia efficacia, in "Rivista delle Politiche Sociali", n. 1, pp. 149-152, 2019. 

[2] Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (a norma dell'articolo 15 della L. 53/2000).