Politiche

Quozienti familiari, moratorie sui nidi, libri gratis, detassazione dei prodotti per l'infanzia, esonero dal canone tv. Più che degli "stati generali della natalità" abbiamo bisogno di capire come governare la denatalità 

Stati generali
della denatalità

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Foto: Unsplash/Barbara Zandoval

Tra molto chiacchiericcio inconcludente su cagnolini e uteri in affitto, sul dress code della premier in bianco “papale”, sui panel maschili che discettano di natalità, non è molto chiaro quali siano i risultati degli Stati generali della natalità, iniziativa promossa dal Forum delle Associazioni Familiari giunta ormai alla terza edizione che quest'anno si è tenuta l'11 e il 12 maggio, e che, nelle intenzioni degli organizzatori sembrerebbe riproporre – sia pure sottovoce – l’introduzione del cosiddetto "quoziente familiare" e forse anche una moratoria sui nidi (se non ci sono i bambini, sarebbe proprio necessario costruirne tanti? Ha suggerito il presidente del Forum Associazioni Familiari Luigi De Palo intervistato da Omnibus su La7).

Anche i tanti discorsi sul crescente individualismo e la mancanza di quell’afflato comunitario e generativo capace di sostenere la scelta di far nascere bambini sembrano poco in grado di cominciare a produrre i risultati concreti che sarebbero necessari. Ed è opportuno porci una domanda: egoisti e individualisti esistono da sempre, cosa spiega che 50 anni fa queste persone egoiste i figli li facevano e oggi no? Non sarà meglio guardare all’organizzazione della società, anziché aspettare una, sia pur auspicabile, conversione degli animi?

Infine: sarebbe proprio necessario preoccuparsi oggi delle nascite in Italia, visto che siamo 8 miliardi su questo pianeta? Sì, io sono convinta che sia necessario, e non per il bilancio dell’Inps, sul quale le eventuali future nascite comincerebbero a influire solo fra 20 o 30 anni, ma perché la diminuzione della popolazione sarà importante, via via più accentuata e prolungata, e non solo in Italia, a meno che non si mettano in atto da subito efficaci contromosse per rallentare (almeno) il processo.

Diminuire è inevitabile, è anche positivo, ma la diminuzione va governata, altrimenti gli squilibri, territoriali e generazionali, saranno impossibili da gestire. Soprattutto, non siamo neanche preparate a vederla, questa diminuzione, a pensarla, e tanto meno a immaginare gli strumenti per “governarla”. Dobbiamo pensare noi stesse non solo come potenziali riproduttrici e, in quanto tali esposte a interventi di etero-regolazione, ma anche come “donne in tutto il corso della loro vita”, che si troveranno in difficoltà, quando non saranno più dispensatrici di cura, ma avranno bisogno di riceverne. E in ogni caso, qualsiasi intervento per favorire, incoraggiare, sostenere, incentivare (ognuna scelga il verbo più adatto) la decisione di fare figli sarà non solo inaccettabile, ma anche inefficace, se non poggerà saldamente sulla libertà femminile.

Cosa fare? Tutto, e subito. Se il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti promette “niente tasse per chi fa figli” (ma quali tasse? Quanti figli? Con quali fondi?), e il sottosegretario al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, Massimo Bitonci si spinge a quantificare una detrazione fiscale di 10 mila euro, spuntano altre proposte, più limitate, ma per questo anche più fattibili. Una “di sinistra” è quella di Maurizio Franzini, ex-presidente dell’Istat: “abbiamo scoperto quanto costerebbe dare i libri gratuiti almeno a tutti gli studenti delle scuole medie inferiori, che nel 2022 erano poco più di 1.612.000. La spesa media per i soli libri di testo calcolata per difetto è di meno di 200 euro annui per ciascun alunno, cosicché garantire a tutti gli studenti libri gratuiti costerebbe poco più di 300 milioni di euro l'anno, una somma di certo alla portata del settimo paese più ricco al mondo”. Anche ai ragazzi figli di genitori benestanti? Ma sì, in Germania i 200 euro del kindergeld (assegno per i figli) sono dati in misura uniforme a tutti, e distinguere secondo i redditi familiari, per un volume di spesa così contenuto, non è neanche conveniente.

In questi giorni però c’è stata anche una proposta dell’ultimo presidente dell’Istat, Carlo Blangiardo, nominato a suo tempo in quota Lega. Una proposta molto “pop”: esoneriamo dal pagamento del canone tv chi fa almeno due figli. Tutto sommato, potremmo cominciare da queste piccole cose, entrambe: non costano troppo, e sono ben visibili, la gente se ne accorge. L’approccio dev’essere bipartisan, e duraturo: una politica non si fa in un giorno. In Francia hanno cominciato 70 anni fa.

A fronte di queste idee, più o meno lungimiranti e fantasiose, per ora c’è solo la promessa del governo, espressa dal ministro delle imprese Adolfo Urso, di abbassare l’Iva sui prodotti per l’infanzia. Promessa di cui sembrano non fidarsi alcune associazioni di consumatori, per i precedenti poco incoraggianti – ammessi dallo stesso ministro – di analoghe riduzioni, incamerate dai produttori e non pervenute ai consumatori.

È vero che spendiamo tanto per i vecchi e troppo poco per i giovani? In generale, forse sì, ma bisogna vedere come: se il 16% del Pil per le pensioni è molto, il 6,7% per la sanità è veramente troppo poco, per di più è previsto che scenda al 6,2 nel 2025, come indicato nel Documento di economia e finanza del governo per il 2023 (Def). Percentuale che  grida vendetta dopo la pandemia, mentre  Francia e Germania superano il 9%, pur avendo una popolazione meno vecchia della nostra.

Inoltre, per la non autosufficienza non spendiamo quasi niente: la lungamente attesa legge 33, approvata di recente, non prevede alcun finanziamento, e i decreti attuativi sono ancora da venire. La legge conta molto su volontariato e terzo settore (nel testo, il termine “servizio civile universale” ricorre 8 volte, così come l’espressione “compatibilità finanziarie”), ma l’Istat ci avverte: fra il 2015 e il 2021 i volontari sono diminuiti del 15,7%, anche per effetto del calo demografico dei giovani.

Nel frattempo, ho misurato l’ascensore di casa mia, e ho scoperto che, con una larghezza di 65 cm, sarà dura farci entrare una sedia a rotelle, quando qualcuno ne avrà bisogno. Forse era meglio fare il bonus edilizio non per le facciate, ma per rimuovere le barriere architettoniche.

C’è un punto poco esplorato nella tendenza a fare meno figli: 30 anni fa si diceva che quasi tutte facevano il primo figlio, e che il problema era passare al secondo: nella generazione delle donne nate nel 1950, solo una su 10 (11,5%) non ha fatto figli. Tra le nate nel 1980, le childless sono salite al 25%. Nei paesi dell’estremo oriente (Corea del Sud, Giappone, Hong Kong, Taiwan) è ancora peggio, e questo fattore spiega molto della loro demografia catastrofica: in Sud Corea siamo a 0,8 figli per donna, roba da farci inorgoglire del nostro scarso 1,2/1,3.

I matrimoni in Italia si sono dimezzati, e l’aumento delle convivenze non sembra aver compensato la diminuzione dei matrimoni. In generale, c’è una difficoltà a “formare una coppia”: i ruoli tradizionali sono a pezzi, quelli “nuovi” sono malfermi, ancora in gestazione, e in questo intermezzo fra donne e uomini cresce una difficoltà a relazionarsi, ad amarsi, a desiderarsi. Anche questo c’è, alla radice delle poche nascite.

Ultimo punto. Non esistono i 60 milioni di italiani: diciamolo a Salvini, a Tajani, a Bianca Berlinguer, ai tanti politici e giornalisti che continuano a ripetere questa frottola, senza neanche chiederlo all’Istat.

Gli italiani sono 54 milioni, forse anche un po’ di meno. I residenti sul territorio italiano sono 59 milioni scarsi (58 milioni e 851mila al primo gennaio 2023). A questi dobbiamo togliere oltre 5 milioni di stranieri che non sono italiani, perché la cittadinanza non ce l’hanno. Dunque 54 milioni di cittadini italiani, di cui varie migliaia si trovano all’estero, senza aver spostato la residenza dall’Italia. Se poi volessimo ancora sottilizzare, oltre un milione di cittadini residenti sul nostro territorio sono ex stranieri che hanno finalmente acquisito la cittadinanza per naturalizzazione.

Siamo molto più “mescolati” di quanto vorrebbero credere gli affezionati alla “sostituzione etnica”. In ogni caso, i 60 milioni di italiani sono una suggestiva semplificazione, per chi ci vuole credere.