Pensioni: chi beneficierà della cosiddetta quota cento e quanto l'opzione donna aiuta davvero le lavoratrici? Un'analisi di genere delle nuove politiche previdenziali

Quota cento, opzione donna
La politica che non ci vede

di Tiziana Canal, Valeria Cirillo

Con l’approvazione del decreto legge del 28 gennaio 2019, il governo inaugura una nuova stagione politica intervenendo su due capisaldi del sistema di welfare: l’introduzione del reddito di cittadinanza – quale misura di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale – e il superamento delle disposizioni in materia di trattamento pensionistico previste dalla Riforma Fornero. Il titolo del decreto del 28 gennaio è infatti Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni.

Soffermiamoci sul secondo punto del provvedimento, ovvero sulla riforma del sistema previdenziale relativo al trattamento di pensione anticipata, la cosiddetta 'quota 100', al cui interno è prevista anche una 'opzione donna', con l’obiettivo di osservare la platea dei potenziali interessati, gli eventuali effetti redistributivi della manovra rispetto alla riforma Fornero, tenendo conto dei potenziali differenti esiti in termini di genere. 

La sperimentazione prevista da quota 100 – limitata al triennio 2019-2021 – è rivolta a coloro che abbiano compiuto 62 anni e maturato 38 anni di contributi. Ha quindi, fra i principali beneficiari, i lavoratori con lunghe carriere contributive nati nel 1957, 1958 e 1959 e consente loro di andare in pensione sino a 5 anni prima rispetto alla legge attuale. Chi si ritira con quota 100 non subisce alcuna penalizzazione 'esplicita' nell’importo della pensione, sebbene quest’ultimo sia, ovviamente, inferiore a quello che si sarebbe potuto ricevere con il pensionamento all’età di vecchiaia in virtù della maggiore anzianità contributiva (che va a incidere sulla quota retributiva della pensione) e dei meccanismi attuariali alla base della quota contributiva della pensione (che riguarda solo il periodo lavorato a partire dal 2012).

Come più volte ricordato, è alta la probabilità che al termine della sperimentazione si torni alle regole dettate dalla riforma Fornero, che rimane, inoltre, vigente per chi non decidesse di optare per “quota 100”, ma soprattutto per tutti coloro che non potranno farlo in assenza dei requisiti richiesti. 

Chi sono i potenziali beneficiari di quota 100? Dal momento che tale forma di anticipo è slegata da specifiche caratteristiche dell’attività lavorativa svolta (come avviene, invece per l’APE sociale), ma si basa unicamente su un relativamente alto requisito di anzianità contributiva, i beneficiari sono principalmente le persone che possono vantare una carriera lunga, ovvero per lo più uomini residenti nelle regioni del Nord Italia, della generazione dei baby boomers. Seguendo i dati presentati dall’attuale presidente dell’Inps all’audizione presso il Senato del 4 febbraio 2019, la platea dei potenziali beneficiari è composta  per il 62,6% da uomini e per il 37,4% da donne. Fra gli uomini, oltre la metà (34,1%) sarebbe costituita da dipendenti privati, al contrario fra le donne al primo posto vi sono le lavoratrici del pubblico impiego (19,3%), in ragione del fatto che sono relativamente più rare le donne con carriere lunghe nel settore privato (figura 1).

Figura 1. Potenziali beneficiari di “Quota 100”, per genere e comparto (%)

Fonte: Elaborazioni su dati Inps - Audizione Inps presso il Senato del 4 febbraio 2019

A livello geografico, il 42,2% dei beneficiari di quota 100 sono – secondo le proiezioni dell’Inps  residenti nel Nord Italia, il 24,7% nel Centro e il 33,1% al Sud e nelle Isole. Le donne potenziali beneficiarie sono per lo più residenti anch’esse nelle regioni del Nord Italia, equamente distribuite fra pubblico impiego e settore privato. Minore è invece la partecipazione delle donne del Sud e delle Isole e fra queste, quasi tre quarti, lavorano nel settore pubblico. Nel complesso quello che emerge dalla figura 2, che riproduce graficamente i dati dell’audizione di Boeri, è che quota 100 si configura come una manovra 'maschile' e 'settentrionale', ovvero una manovra la cui platea di beneficiari è composta principalmente da uomini, e in secondo luogo da uomini e donne residenti nelle regioni del Nord Italia. 

Figura 2 Potenziali beneficiari di 'quota 100', per genere e comparto (%)

Fonte: Elaborazioni su dati Inps - Audizione Inps presso il Senato del 4 febbraio 2019

Le elaborazioni Inps raffigurano inoltre una platea di potenziali beneficiari con importi medi delle pensioni relativamente elevati, pari a circa 30.000 euro all’anno e che spiegano dunque vite lavorative medio-lunghe (38 anni di contributi) in lavori con retribuzioni medio alte. Tuttavia, se si osservano le retribuzioni medie e mediane lorde delle coorti d’età prossime alla pensione (55-64 anni) degli ultimi dieci anni (si veda la figura 3) – emerge che il reddito medio e mediano lordo degli uomini e delle donne si pone ben al di sotto dei 30.000 euro lordi annui. In particolare, al 2017 la retribuzione media di una donna di età compresa fra i 55-64 anni è pari a circa 20.817 euro lordi, 814 euro in meno all’anno rispetto a quella media di un uomo. 

Figura 3  Redditi medi e mediani degli over 55 per genere, Anni 2008-2017

Fonte: Elaborazioni delle autrici su dati Eu-silc, Eurostat.

Quota 100 non sembra dunque riparare le note disuguaglianze di genere del mercato del lavoro. Retribuzioni più basse, cui corrispondono pensioni più modeste, derivano infatti da una minore anzianità lavorativa – le donne hanno spesso percorsi di studio più lunghi, entrano più tardi sul mercato del lavoro e hanno carriere lavorative più discontinue (l’aspettativa di durata media della vita lavorativa attesa, degli individui con più di 15 anni, per una donna è di circa 10 anni inferiore a quella di un uomo – figura 4).

Figura 4. Durata media della vita lavorativa attesa per genere, Anni 2008-2017

Fonte: Elaborazioni delle autrici su dati Labour Force Survey, Eurostat

Inoltre, al 2017, in riferimento alla coorte di potenziali pensionabili (55-64 anni), sul totale degli occupati le donne nell’oltre 20% dei casi hanno un impiego con basi orarie ridotte, mentre gli uomini con contratto part-time sono poco più del 5%. In sostanza le carriere delle donne sono meno retribuite, ma soprattutto più discontinue, per cui accedere ai 38 anni di anzianità previsti da quota 100, al di là della penalizzazione in termini retributivi, risulterebbe per molte solo un miraggio. 

Da questo punto di vista, la scelta operata dal governo di mantenere la cosiddetta 'opzione donna' che consentirebbe alle nate entro il 31 dicembre 1960 – per le dipendenti – e il 31 dicembre 1961 – per le lavoratrici autonome  di ritirarsi raggiunta un’anzianità contributiva di 35 anni, non sembra rimediare a un problema strutturale dato dalla sovrarappresentazione delle donne, nate negli anni ’60, fra le occupazioni non qualificate e con le più basse retribuzioni. A ciò si aggiunga che l'opzione donna prevede il calcolo del trattamento pensionistico anticipato esclusivamente secondo le regole del sistema contributivo e per tanto rischierebbe di liquidare pensioni estremamente esigue per quelle categorie di donne operanti in settori a bassa retribuzione e alta presenza di contratti atipici, quali ad esempio quelli relativi ai servizi alla persona. A conferma di ciò va notato che fra le mansioni poco qualificate e a bassa retribuzione, la quota delle donne supera quella degli uomini (figura 5), mentre gli uomini risultano nettamente sovrarappresentati all’interno delle professioni maggiormente retribuite, come quelle manageriali e intellettuali (figura 6).

Figura 5. Occupati in professioni non qualificate per genere e classe d’età, Anni 2008-2017 (%)

Fonte: Elaborazioni delle autrici su dati Labour Force Survey, Eurostat

Figura 6. Occupati nelle professioni maggiormente retribuite per genere e classe  d’età, Anni 2008-2017

Fonte: Elaborazioni delle autrici su dati Labour Force Survey, Eurostat

Le riforme previdenziali, opportune per garantire sostenibilità al sistema dei conti pubblici, non possono certo rimediare alle 'imperfezioni' di un mercato del lavoro in cui la componente femminile continua a confrontarsi con numerose difficoltà in termini di accesso, equità retributiva, segregazione orizzontale e verticale, difficoltà di work life balance. Tuttavia, forse maggiore attenzione dovrebbe essere riposta, in riforme di tale portata, nella scelta dei parametri per descrivere le posizioni lavorative e contributive di uomini e donne, poiché condizionano fortemente l’esito finale in termini di prestazioni erogate, importo della pensione, risorse allocate e grado di copertura del sistema. Il rischio, in ultima analisi, è che quota 100 e opzione donna oltre a non sanare, in fase di ritiro dal lavoro, i gap di genere connessi alle differenti storie lavorative di uomini e donne li ribadiscano, favorendo ancora una volta una ridotta platea di beneficiari maschi.


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