Politiche

Reddito di cittadinanza e flat tax, chiederci che prezzo avrebbero le promesse elettorali, e per chi, può aiutarci a valutare le priorità del prossimo futuro. Ugo Colombino, economista che da più di vent’anni si occupa di valutare il benessere a partire da politiche alternative di tassazione, ha fatto i conti

Il prezzo delle
promesse elettorali

8 min lettura
Foto: Flickr/ G CACAKIAN

Le scorse elezioni hanno portato in primo piano due proposte, il cosiddetto reddito di cittadinanza e la tassazione ad aliquota unica, o flat tax. Mentre procede il tentativo di costituire un governo, vediamo quale sarebbe eventualmente il costo del pacchetto e a vantaggio di chi: capire le conseguenze delle promesse elettorali è indispensabile per valutare le priorità del prossimo futuro.

Il reddito di cittadinanza, proposto dal Movimento 5 Stelle, è in realtà un reddito minimo garantito: abbastanza simile alle politiche in atto nella maggior parte dei paesi Europei, ma molto generoso (780 euro mensili) se valutato in confronto agli altri paesi e in relazione alle attuali condizioni sociali ed economiche dell’Italia. 

La flat tax, proposta dalla Lega (e da Forza Italia), prevede una aliquota fissa (o forse due) intorno al 15-20%, probabilmente accompagnata da una quota esente, ovvero nessun prelievo al di sotto di una certa soglia di reddito. 

Entrambe le proposte prendono spunto da problemi reali e rientrano in una lunga tradizione che coinvolge anche (e forse soprattutto) i partiti di centro-sinistra.

Il reddito minimo garantito vorrebbe colmare il divario che separa l’Italia dalla maggior parte dei paesi Europei, dove vigono forme universalistiche (o quasi) di sostegno del reddito.  Il problema fu affrontato forse per la prima volta in modo sistematico nel 1996 dalla Commissione Onofri (Governo Prodi). Ne seguì una sperimentazione di reddito minimo garantito, poi interrotta dai governi successivi che demandarono la questione alle regioni. Più recentemente, una serie di provvedimenti (Governi Letta, Renzi e Gentiloni) sono culminati nell’introduzione del cosiddetto “reddito di inclusione”, sostanzialmente un reddito minimo garantito nazionale con disegno abbastanza simile al reddito di cittadinanza (cioè vincolato all’adesione a un programma personalizzato di reinserimento sociale) ma molto meno generoso.

La flat tax mira a rendere la tassazione personale più semplice e trasparente e a migliorare gli incentivi al lavoro. 

Destra, sinistra. Miti da sfatare

Il pacchetto ha una sua tradizione radicata sia a “destra”[1] che a “sinistra”[2]. Un sistema vicino alla flat tax era nel programma del governo Berlusconi nel 1994 (poi mai realizzato). Un pacchetto di flat tax e reddito minimo garantito era stato proposto da Dino Rizzi e Nicola Rossi[3]. Più recentemente una proposta completa e molto articolata è stata elaborata dall’Istituto Bruno Leoni

Siamo quindi in presenza di problemi veri e di un dibattito culturale e politico che ha coinvolto per vari decenni molte forze politiche di vario orientamento. La proposta di M5S e Lega tuttavia non è all’altezza della complessità e serietà dei problemi, sia rispetto al costo sia rispetto al disegno degli interventi. 

Una simulazione

Per capire quali sarebbero i costi del pacchetto per il paese, quali effetti avrebbe sul comportamento delle famiglie, sul reddito disponibile, sul benessere e con quali differenze tra uomini e donne, abbiamo utilizzato un modello che ci ha permesso di simulare gli effetti di diversi pacchetti flat tax-reddito di cittadinanza.[4]  

Il pacchetto articolato in vista contratto di governo M5S-Lega prevede un livello di reddito esente pari a 780 euro mensili (per un singolo, a crescere poi a seconda della dimensione della famiglia in base alla scala di equivalenza OCSE). Ciò significa che chi ha un reddito al di sotto del reddito esente riceve un sussidio pari alla differenza tra 780 euro e il proprio reddito. Chi invece supera il reddito esente paga il 20% (o magari il 15%, a seconda delle diverse proposte) sulla parte che eccede i 780 euro. 

I costi

Quanto costerebbe questo pacchetto? Il nostro modello ci fornisce una stima di circa 90 miliardi annui. Ciò significa che per rispettare il vincolo di bilancio pubblico (cioè per essere in grado di pagare – oltre al reddito di cittadinanza – anche la spesa corrente per tutto il resto: pensioni, sanità, strade, ecc.) lo Stato dovrebbe ricavare 90 miliardi all’anno dal taglio di altre spese. Oppure indurre un aumento di 90 miliardi di gettito fiscale (attraverso un aumento della produttività e/o del tasso di occupazione o grazie ad una riduzione dell’evasione). È questa la ragione per cui il pacchetto di governo viene ritenuto insostenibile.

Due casi limite

Ora rovesciamo la logica e chiediamoci: quali sono i numeri per la flat tax e il reddito di cittadinanza se partiamo dall’assunto che il vincolo di bilancio pubblico sia rispettato senza tagli? Facciamo chiarezza con due casi limite. Nel primo ipotizziamo che l’ammontare del reddito di cittadinanza sia quello proposto dal contratto di governo e ci chiediamo quale aliquota unica (su tutti i redditi personali) garantirebbe il rispetto del vincolo. Nel secondo ipotizziamo un’aliquota pari al 20%  quella massima prevista dal contratto di governo – e ci chiediamo quale ammontare del reddito di cittadinanza sarebbe compatibile con il suddetto vincolo. In entrambi i casi verrebbe cancellato qualsiasi sussidio o rimborso diverso dal reddito di cittadinanza.  

Primo caso. Con un reddito di cittadinanza pari a 780 euro (per un single, a crescere con la dimensione della famiglia) e redditi esenti fino a questo stesso ammontare, l’aliquota unica necessaria per finanziare il reddito di cittadinanza nel rispetto del vincolo di bilancio salirebbe al 54%. Sia il reddito di cittadinanza che la flat tax sono molto elevati e scoraggiano l’offerta di lavoro fino a far diminuire sia il reddito disponibile (-11.6%) che il benessere (-4.2) complessivi. La diminuzione di reddito e benessere farebbe seguito a una variazione delle ore lavorate compresa fra il -4% per le donne e il -5% per gli uomini, con una punta del -14% per le donne single, che percependo guadagni generalmente più bassi, sarebbero fortemente scoraggiate da un reddito di cittadinanza così generoso. Più in generale, la cosiddetta ‘trappola della povertà’ farebbe aumentare il numero dei poveri inducendo un certo numero di famiglie a ridurre l’offerta di lavoro per non dover rinunciare al generoso sussidio. Tutti perdenti quindi in questo caso? Non tutti ma molti. Il Grafico 1 illustra la percentuale di vincitori (tra le coppie, tra le single donne e tra i single uomini) nei diversi decili di reddito.[5]

I vincitori sono ampia maggioranza nel trenta percento più povero delle coppie e nel quaranta o cinquanta percento più povero dei single (donne o uomini). Insomma la combinazione di una flat tax al 54% e un reddito di cittadinanza di 780 euro avrebbe un forte effetto redistributivo a favore dei meno abbienti e, in particolare, delle donne sole, al prezzo però di una diminuzione complessiva di reddito e benessere e nell’ipotesi non pacifica che una tassazione del 54% sia realisticamente esigibile. 

Secondo caso. Un’aliquota unica al 20% permetterebbe di finanziare un reddito di cittadinanza pari a 330 euro per un single e sempre nel rispetto dell’attuale vincolo di bilancio pubblico. Questi 330 euro diventerebbero anche la soglia al di sotto la quale non si viene tassati. Complessivamente le cose  andrebbero un po’ meglio rispetto al caso precedente. Il reddito disponibile medio terrebbe e il benessere complessivo crescerebbe. Le ore lavorate subirebbero una diminuzione significativa solo tra le donne single (-14.4%). La trappola della povertà continuerebbe a colpire e si tradurrebbe in un aumento del numero di poveri. Rispetto al primo caso, però, la distribuzione dei vincitori e dei perdenti sarebbe assai diversa, con i vincitori ben rappresentati fra i più ricchi e fra i poverissimi (Grafico 2). A perdere questa volta sarebbe soprattutto chi siede sugli scalini medio-bassi della piramide del reddito. La distribuzione dei vincitori è ancora piuttosto squilibrata, con notevoli differenze fra decili, generi e tipi di famiglia.   

Si possono immaginare sistemi migliori. Quello che ci dà il massimo incremento di benessere (sempre compatibilmente con il vincolo di bilancio pubblico) richiede di fissare il reddito esente a 860 euro mensili e l’aliquota unica a 36%. Con una differenza cruciale rispetto agli esempi precedenti: se guadagno meno di 860 euro al mese, il sussidio che ricevo non è l’intera differenza tra 860 e quel che guadagno, ma solo un terzo (33%) della stessa. In questo modo abbiamo un buon compromesso tra sostegno ai redditi bassi e incentivi al lavoro. Il benessere complessivo aumenta (+1.19%). Le ore lavorate aumentano fra le coppie. Diminuiscono tra le donne single (-1.6%) ma molto meno che nei casi precedenti. Anche la distribuzione dei vincitori tra i diversi decili, tra coppie e single e tra maschi e femmine è molto più equilibrata (Grafico 3). 

In questo sistema, se sono senza redditi, ricevo un terzo di 860, cioè circa 287 euro (a crescere in base alle dimensioni della famiglia). Troppo poco? Ricordiamo anche che il reddito di inclusione a regime potrebbe garantire non più di 188 euro. Comunque, politiche molto più generose di quella illustrata sopra e nel Grafico 3 al momento non sembrano compatibili con le condizioni dell’economia italiana e con il sostegno equamente distribuito di una maggioranza di famiglie. A meno che non ci si impegni ad aumentare la produttività e/o il tasso di occupazione o a ridurre le altre spese pubbliche.

Note

[1] Milton Friedman, Capitalism and freedom, University of Chicago Press, 1962.

[2] Anthony Atkinson, Public Economics in action: the basic income – flat tax proposal, Oxford University Press, 1996. 

[3] Dino Rizzi e Nicola Rossi, Minimo vitale e flat tax, Il Mulino, 1996, pp. 706-713  

[4] Per gli aspetti tecnici e metodologici si può consultare Islam & Colombino, The case for negative income tax with flat tax in Europe, ECINEQ WP 2018-454. Il modello utilizza un dataset EUROMOD basato sull’indagine EU-SILC-IT 2010. Il sistema fiscale e le variabili economiche rilevanti per l’analisi non hanno subito mutamenti significativi a partire dal 2010.

[5] I decili sono i gruppi – dal più povero al più ricco – che si ottengono suddividendo in dieci parti l’insieme delle famiglie. Ad esempio, il decile 1 delle donne single contiene il 10% più povero delle donne single, e così via fino al decile 10 che contiene il 10% più ricco. Le famiglie vincitrici sono quelle il cui reddito disponibile aumenta dopo la riforma. Tutte le altre sono perdenti, non ci sono posizioni invariate.