La Francia vota sì alla criminalizzazione dell'acquisto dei servizi sessuali. Ma per Giorgia Serughetti, autrice di Uomini che pagano le donne, c'è bisogno di un altro paradigma per affrontare la prostituzione

Prostituzione. Anche la
Francia punisce i clienti

di Giorgia Serughetti

“Una nuova pagina nella storia di vittorie delle associazioni femministe”: così la European Women’s Lobby, che nel 2011 ha lanciato la campagna Un’Europa libera dalla prostituzione, ha commentato il voto francese sulla legge che criminalizza l’acquisto di servizi sessuali. Dopo la Svezia, che ha fatto da pioniera nel 1999, e poi la Norvegia, l’Islanda e l’Irlanda del Nord che ne hanno seguito l’esempio, la Francia ha scelto di aderire a una visione del commercio sessuale che attribuisce a chiunque venda sesso lo status di vittima, a chi l’acquista quello di carnefice. “La prostituzione è violenza e come tale va riconosciuta”, ha commentato la deputata socialista Maud Olivier che ha fortemente sostenuto il provvedimento nell’ottica di promuovere l’eguaglianza di genere e i diritti umani. La legge, mentre punisce severamente clienti e sfruttatori, depenalizza interamente la condotta delle donne che esercitano il lavoro sessuale, abrogando il reato di “adescamento passivo” istituito nel 2003 dall’allora ministro dell’interno Nicolas Sarkozy, ma soprattutto si propone di aiutarle a cambiare vita con lo stanziamento di un fondo ad hoc. “L’obiettivo è diminuire la prostituzione, proteggere le prostitute che vogliono lasciare, e cambiare la mentalità”, ha detto Olivier.

In apparenza, non c’è risposta più logica, in prospettiva femminista, di quella propugnata dal modello neo-proibizionista che abbiamo chiamato “nordico” finché non si è affermato in uno dei più grandi paesi dell’Europa centrale. Premessa numero uno: la prostituzione è una violazione della dignità umana. Premessa numero due: la domanda maschile è responsabile di questa stessa violazione. Conclusione: colpendo la domanda si pone fine alla prostituzione e alla violenza che costituisce. Il problema è che entrambe le premesse sono discutibili, e con ciò anche la conclusione si rivela meno necessaria di quanto sembrerebbe. Questo potrebbe spiegare anche perché nei paesi in cui il modello svedese è entrato in vigore non si sono verificati gli attesi successi.

Il primo problema è la definizione della prostituzione tutta, anche quando praticata in modo non coercitivo come risorsa di sopravvivenza o come autentica scelta professionale, come violenza. È quello che negli studi è stato definito il “paradigma dell’oppressione” applicato al lavoro sessuale, una lettura unidimensionale della prostituzione che, nonostante la pluralità intrinseca a questo mercato, vi ravvede solo la quintessenza delle relazioni di potere patriarcali. A questo paradigma si contrappone quello “emancipativo” (empowerment paradigm) - propugnato principalmente da teorici che provengono dal mondo stesso del lavoro sessuale o che sono altrimenti vicini ai movimenti internazionali delle/i sex worker - che invece mette in evidenza le forme di agency che possono esprimersi in questo campo e delinea la possibilità che il commercio sessuale sia esercitato come lavoro, al pari di altre attività che coinvolgono la corporeità, senza danno per chi vi è coinvolto. 

Ma un paradigma teorico più capace di illuminare la realtà del mercato del sesso è un terzo ancora, il  “paradigma polimorfo” proposto dallo studioso americano Ronald Weitzer, che supera la limitatezza degli altri due per descrivere invece il sex work come “una costellazione di accordi occupazionali, relazioni di potere, ed esperienze di lavoro. A differenza degli altri due, questo paradigma è sensibile alle complessità e alle condizioni strutturali che danno forma alla distribuzione diseguale di agency, subordinazione e soddisfazione lavorativa”[1].  Per riprendere una nozione diffusa negli studi economici, siamo di fronte a un mercato fortemente segmentato (per condizioni di lavoro, possibilità di guadagno, rischio di violenza, potere contrattuale delle/i sex worker), che andrebbe affrontato con politiche differenziate per i diversi “sottomercati”. Una mole ormai ponderosa di studi empirici sulla prostituzione, da ultimo in Italia il libro di Charlie Barnao Le prostitute vi precederanno (Rubbettino, 2016), che si basa su dieci anni di osservazioni sul campo, confermano la coesistenza di costrizione e autonomia, miseria e agio, nonché di forme lecite e illecite, esplicite e mascherate di esercizio del lavoro sessuale, sia all’aperto sia al chiuso. 

Se dunque la decisione francese è stata fortemente sostenuta da organizzazioni femministe che dichiarano di aver ascoltato le voci delle survivors, le sopravvissute a esperienze di tratta, sfruttamento o esercizio degradante della prostituzione, non deve sorprendere che contro la legge si sia schiarato lo Strass (il sindacato francese delle lavoratrici del sesso), supportato da ong come Médecins du Monde, Act Up-Paris e Planning familial, secondo cui c’è il rischio di promuovere repressione poliziesca, insicurezza e violenza. La preoccupazione per gli effetti negativi che la criminalizzazione dei clienti può avere sulle condizioni di vita delle persone che si prostituiscono, costrette a una maggiore invisibilità e quindi esposte a rischi accresciuti di violenza ed emarginazione, è più che una semplice arma retorica impiegata da chi ha interessi nel mercato del sesso, come spesso accusano le abolizioniste. 

Diverse ricerche svolte negli ultimi quindici anni in Svezia, tra cui quelle delle italiane Daniela Danna e Giulia Garofalo Geymonat, hanno mostrato come, nonostante la rappresentazione trionfante offerta dal governo dei risultati ottenuti con la repressione (essenzialmente la diminuzione visibile del fenomeno in strada), manchino in realtà le prove di un'effettiva restrizione del mercato del sesso e dell’assenza di un parallelo aumento del sommerso. Inoltre, ci sarebbero evidenze preoccupanti di un impatto negativo sulla vita delle persone che, nonostante gli interventi che incoraggiano la fuoriuscita, restano nella prostituzione, in particolare quelle più vulnerabili o più bisognose: isolamento spaziale, esposizione a rischi di violenza a causa del tempo ridotto a disposizione per la selezione dei clienti, crescente insicurezza sanitaria per la difficoltà di negoziazione sull’uso del preservativo e l’assenza di servizi di riduzione del danno, atteggiamento poco accogliente dei servizi dedicati alla prostituzione verso le donne che non desiderano lasciare il lavoro sessuale perché, per esempio, hanno bisogno di soldi per mantenere sé e la propria famiglia e non vedono reali alternative nel mondo del lavoro. 

C’è da chiedersi se la Francia abbia la concreta possibilità di fare meglio, con i 4,8 milioni di euro che intende stanziare su base annua per i programmi di exit, per un numero stimato di 40mila donne (ma anche trans e uomini) che si prostituiscono in strada e un numero sconosciuto di persone che operano al chiuso impiegando le nuove tecnologie. Senza dubbio si muove nella direzione giusta l’istituzione di un permesso di soggiorno per le straniere che intendano sottrarsi allo sfruttamento sessuale, ma la natura polimorfa della prostituzione può difficilmente essere affrontata mediante un modello unico di intervento, e c’è da immaginare che una componente numerosa si terrà lontana da offerte di aiuto che chiedano loro di lasciare “il mestiere”, di fronte a un mercato del lavoro così povero di opportunità come quello attuale.

L’esigenza di un paradigma polimorfo nella lettura del fenomeno-prostituzione emerge anche se si sposta lo sguardo sui clienti. Una rappresentazione del mercato del sesso sempre più compressa sul fenomeno della tratta e dello sfruttamento sessuale, come quella propugnata dalla European Women’s Lobby e dalle associazioni abolizioniste, ha rafforzato nel tempo la percezione degli uomini che pagano le donne come una popolazione di devianti, violenti e pericolosi, che devono essere fermati e, quanto possibile, rieducati. Questo, a discapito della complessità di profili, atteggiamenti, comportamenti, relazioni di potere messa in luce dagli studi empirici, anche italiani, di cui do ampiamente conto in un mio libro sul tema[2], e che indurrebbero a leggere la domanda di prostituzione attraverso la lente non della devianza (sociale, criminale) ma della “normalità” del maschile: la normalità di uomini, clienti e non clienti, che condividono un immaginario, una cultura, una concezione della sessualità per nulla esclusiva dello scambio sesso-denaro, rispetto a cui l’opzione repressiva appare lungi dall’essere la più appropriata. 

Vengo perciò alla seconda premessa del sillogismo neo-proibizionista. Mentre è fin troppo ovvio sostenere, come ho fatto anch’io nei miei studi sul tema, che se non ci fosse una domanda non esisterebbe un’offerta di servizi sessuali, e che la prostituzione interroga primariamente le relazioni di genere e la sessualità maschile, meno ovvio è sostenere che tra domanda maschile e offerta femminile di sesso a pagamento ci sia un rapporto di proporzionalità diretta. Nel modello economico proposto da Marina Della Giusta, Maria Laura Di Tommaso e Steinar Strøm[3], l’offerta di servizi sessuali è una funzione di variabili come il prezzo di questi servizi, i costi di reputazione (stigma) e le possibilità di guadagno in “occupazioni ordinarie”. Più alto è il prezzo, minore lo stigma associato al lavoro sessuale, più scarse le opportunità alternative, maggiore sarà la disponibilità ad entrare nel mercato della prostituzione. Se tuttavia si decide di agire solo sull’aumento dello stigma, lasciando inalterate le condizioni del mercato del lavoro, resterà elevato il numero di chi assume il rischio di questa perdita di reputazione. Per quanto riguarda la domanda, anch’essa è definita come una funzione del prezzo e dei rischi di perdita della reputazione. “Le politiche che aumentano lo stigma dell’essere clienti”, concludono i tre studiosi, “riducono la volontà marginale di pagare per la prostituzione e possono ridurre la quantità di prostituzione venduta, così come il prezzo di equilibrio. Ma i clienti possono provare a ridurre il rischio di venire scoperti anziché ridurre la loro domanda”. Specialmente se l’offerta, contestualmente, non trova ragioni di diminuire.

La descrizione neo-proibizionista del mercato del sesso tende dunque a isolare la vendita e l'acquisto di servizi sessuali rispetto alle istituzioni sociali, economiche e culturali in cui si inserisce, rimuovendo per esempio i suoi legami con i processi di “normalizzazione” del consumo sessuale, di intensiva commercializzazione della sessualità nella società post-industriale, e di profonda trasformazione del mercato del lavoro globale. E questo è solo uno degli elementi di irrazionalità che, sostiene l’antropologa Laura Agustín[4], si nasconde dietro la pretesa illuministica di trovare il modello più razionale di governo della prostituzione, quello che garantisca un effettivo progresso sociale. Una pretesa che si scontra con il fallimento di tutte le opzioni di policy sperimentate in Europa negli ultimi decenni.

Non è forse un caso che la Francia, la patria dell’illuminismo, sia diventata, oltre che uno paesi leader del movimento abolizionista anti-prostituzione, anche l’epicentro di un altro abolizionismo di matrice femminista, quello che ha come obiettivo il divieto universale della maternità surrogata: un fenomeno completamente diverso dalla prostituzione, che solleva un’altra serie di problemi, ma che è stato esplicitamente accostato al commercio sessuale dalle organizzatrici delle Assise di Parigi del febbraio di quest’anno. Incurante della molteplicità di relazioni e significati delle pratiche, delle diverse vulnerabilità e capacità d’azione con cui le donne abitano il presente, anche nell’incontro problematico di intimità e denaro, questo femminismo sicuro delle proprie buone ragioni, deciso a difenderle con la forza di proibizioni e reati, rischia di decretare il trionfo di un’etica delle intenzioni, lontano da ogni riguardo per le conseguenze. 

Leggi il dossier di inGenere "Prostitute e clienti"

NOTE

[1] Weitzer R., “Sociology of Sex Work”, Annual Review of Sociology, Vol. 35 (2009), pp. 213-234

[2] Serughetti G., Uomini che pagano le donne: dalla strada al web, i clienti nel mercato del sesso contemporaneo. Ediesse, Roma 2013.

[3] Della Giusta M., Di Tommaso M.L., Steinar Strøm, “Who is watching? The market for prostitution services”, Journal of Population Economics, Vol. 22, No. 2 (Apr., 2009), pp. 501-516

[4] Agustín L., “Sex and the Limits of Enlightenment: The Irrationality of Legal Regimes to Control Prostitution”, Sexuality Research & Social Policy, Vol. 5, No. 4 (Dec. 2008), pp. 73-86


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