Scritto in un lessico familiare, condensa luoghi comuni e poesie. Però un paese ci vuole è un romanzo di Giovanna Grignaffini, diario di una generazione che ha respirato il benessere e le contestazioni del ’68, da una provincia emiliana.
Però un paese ci vuole è il primo romanzo di Giovanna Grignaffini. Un romanzo che non vive della sua trama, ma che lascia emergere come vere protagoniste le idee, le emozioni e le parole. Un romanzo avvincente dalla prima all’ultima pagina.
Un filo guida il lettore fra le presenze e i personaggi che animano questa storia tutta emiliana. Francesca, sulla soglia dei quaranta anni, decide di tornare a Fontanellato, suo paese di origine. Diverse ragioni l’hanno tenuta lontano, ormai da molto tempo. Ma Francesca da qualche mese riceve delle misteriose buste gialle e il suo istinto le suggerisce che a Fontanellato potrà trovare le risposte che cerca. O forse questo è solamente ciò che Francesca riesce a confessare a se stessa, perché in realtà proprio a Fontanellato l’aspettano molti altri nodi da sciogliere.
Francesca ritrova e riscopre il suo passato mai sopito.
Carlo e Cinzia con i quali è cresciuta e ai quali è da sempre profondamente legata. Franco, di qualche anno più giovane, che si unisce al trio. La compagnia così composta trascorre insieme una calda estate fra passeggiate intorno al castello, gite in automobile, sigarette, caffè in piazza ai tavolini del bar. Ma non si tratta di un’estate qualunque. È l’agosto del 1989, un punto di sospensione fra le prime avvisaglie del cambiamento e il mutamento epocale.
Lo sguardo si volge indietro agli anni Sessanta, ripercorrendo la rivolta studentesca, la conquista della libertà, la celebrazione della musica come nuovo linguaggio. Un percorso privo di nostalgia, che compone un ritratto vitale e ironico. Un ragionamento sull’eredità, sul cambiamento, sulle cose che restano e che pesano davvero.
Fontanellato, “ridente paesino annegato nella Bassa parmense”, si muove fra due rappresentazioni. La prima, che lo inchioda all’immobilità; un sistema di controllo sociale dove tutti sanno tutto di tutti, emblema della conservazione. La seconda, che emerge in maniera sottile fra le righe e che ritrae il paese come un luogo di mutamento, refrattario agli stereotipi; dove tutti presumono di sapere, ma dove nessuno a dire il vero sa nulla della vita degli altri. E, allora, Fontanellato, o meglio il luogo dell’anima di ciascuno di noi, emerge come quello spazio familiare dove esistiamo anche attraverso lo sguardo degli altri che ci salvano dall’anonimato e dalla solitudine assoluta; e con il quale tutti noi instauriamo una relazione che non è fatta solo della distanza geografica, ma di un moto continuo, interno e sentimentale.
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Fra i tanti protagonisti di questo romanzo affiorano le donne: una figlia, una madre, una zia. L’Emilia dalle ampie piazze, pensosa, fattiva, dove le biciclette sfrecciano per ogni dove, dove tavole imbandite sono sempre pronte per accogliere, dove ci si interroga ancora sulla vita e “ci si impiccia” dei fatti del mondo. La nebbia che non mistifica la realtà, ma la ammorbidisce, lasciando spazio all’immaginazione e permettendoci di fantasticare almeno un po’. La musica che accompagna la lettura come colonna sonora, ma anche come vera e propria interprete che contribuisce alla scena con parole ed emozioni proprie. La ciclicità che attraversa questo romanzo, legando non solamente l’inizio con la fine e viceversa, ma costellandolo di cerchi concentrici che si inanellano lungo la narrazione. Raffinate teorie calcistiche, fra cui emerge imponente e imperdibile quella dedicata al ruolo del portiere.
Infine, un tributo a Carlo, personaggio irresistibile, prestigiatore di parole ed emozioni, teorie e massime, idee e genialità che regala il titolo a questo straordinario romanzo con una frase evocativa e premonitrice: “Bisogna andarsene, però un paese ci vuole”.